- “San
Benedetto, le rondini tornano al tetto”. Con questo
adagio la tradizione popolare italiana ricorda l’arrivo
delle prime rondini il 21 marzo, la festa appunto del
Santo, in concomitanza con l’equinozio di primavera.
Ogni anno, come fossero guidate da un occulto magnete
biologico che fornisce loro le esatte coordinate per l’orientamento,
lasciano le oasi del Nord Africa, i monti dell’Atlante
marocchino, l’Ahaggar pietroso, e affrontano il balzo
sul vuoto marino verso i nostri lidi, dove giungono
stremate ma felici: inizia per loro l’epoca della
riproduzione. Fedeli e abitudinarie, cercano di sistemarsi
nei nidi dell’anno precedente, e li rintracciano con la
stessa stupefacente precisione con la quale hanno seguíto
la rotta dall’Africa. Ma non sempre. A volte, per
imprevedibili quanto incresciose evenienze, non trovano
piú i buchi, le nicchie e i ripari sotto le gronde, nelle
vecchie mura di castelli, chiese e conventi. Capitò una
primavera di tanti anni fa.
- La
mattina del 15 febbraio 1944, le fortezze volanti
americane e inglesi avevano scaricato centinaia di bombe
ad alto potenziale sull’Abbazia di Montecassino. I raid
erano durati ininterrottamente dall’alba fin quasi all’una.
Al termine dell’operazione, del cenobio eretto da San
Benedetto da Norcia nel 529 su quello che era stato il
tempio di Apollo, non rimanevano in piedi che brevi
monconi di pietra.
- Furono
le prime bombe “intelligenti” della storia bellica.
Realizzarono infatti alla perfezione l’intento del
generale neozelandese Freyberg, che ne aveva ordinato lo
sganciamento, col beneplacito, pare soltanto a mezzo
telefono, di Churchill e Alexander, e in disaccordo col
generale americano Clarke, che riteneva il bombardamento
del tutto inutile, data la relativa importanza strategica
dell’Abbazia. I tedeschi, come poi i fatti dovevano
provare, si erano attestati piú a Nord, e vennero
affrontati, oltre che da rari contingenti angloamericani,
soprattutto da polacchi, francesi, indiani e marocchini in
un’epica battaglia che durò per tutta la primavera.
- A
guerra finita, Freyberg, a nome dell’alto comando
britannico, si scusò dicendo che su notizie raccolte dall’Intelligence
l’Abbazia era stata ritenuta un vecchio fortino
abbandonato, per questo adattissimo ad ospitare un nido di
artiglieria…
- Sotto
le bombe “furbe”, o come dicono a Roma “finte tonte”,
morirono alcune centinaia di persone: oltre a diversi
monaci, molti contadini del circondario di Cassino
rifugiatisi nell’Abbazia, certi che un luogo tanto sacro
e rispettabile sarebbe stato
risparmiato dalle violenze dei belligeranti.
- Fortunatamente
giorni prima, paventando il peggio, o forse per divina
ispirazione, l’Abate aveva fatto trasportare a Roma, in
luogo sicuro, incunaboli, libri, arredi e oggetti sacri,
oltre a varie opere d’arte. Vale a dire, tutto ciò che
rappresentava il corredo del monastero e la devota e
sapiente fatica di generazioni di frati amanuensi. Grazie
alla loro opera oscura e anonima, erano stati
salvaguardati nei secoli i valori della classicità latina
e quelli del cristianesimo partecipato.
- Come
non rilevare certe concomitanze nei fatti apparentemente
casuali della storia, un loro soggiacere a cliché
immanenti ancorché indefinibili? Nel 529 due personaggi
distanti tra loro geograficamente e dissimili per
magistero e ruolo, diedero avvio, ciascuno nel proprio
ambito d’azione, a un’opera che doveva segnare la
vicenda culturale, religiosa e civile di tutto l’Occidente.
- A
Bisanzio, l’imperatore Giustiniano costituiva il
collegio di giuristi che, in un decennio di immane lavoro
di classificazione e codificazione, avrebbe stilato il Corpus
Iuris Civilis, le Pandette, leggi derivate in massima
parte dal Diritto Romano, che dovevano formare, negli anni
a venire, la base giuridica degli ordinamenti di quasi
tutti gli Stati europei e di quelli che, benché al di
fuori di tale area, si rifacevano alla legislazione
occidentale.
- Contemporaneamente
in Italia un monaco eremita dettava ai suoi confratelli la
Regula, e faceva dell’Abbazia da lui fondata
pochi anni prima sul dorso di un aspro colle della
Ciociaria, già votato dai pagani all’adorazione del dio
solare, una fucina di fervore mistico e al tempo stesso
operativo nella realtà culturale e sociale del tempo. “Ora
et labora”, questa era la sintesi del decalogo
monastico stabilito da Benedetto per i frati che, lasciato
il mondo secolare, si dedicavano a Dio. Ma era, la loro,
una dedizione fattiva che accanto alla preghiera poneva l’infaticabile
impegno teso a preservare i tesori della cultura classica
nei libri miniati, nelle rare pergamene, raccogliendo i
testi sparsi della latinità e riunendoli in ragionate e
omogenee raccolte, spesso facendo mirabolanti scoperte di
opere di autori ritenute introvabili.
- Qual
era la molla che spingeva due figure tanto diverse, l’imperatore
di Bisanzio e il monaco di Norcia trapiantato a Cassino
nelle pietraie assolate del Meridione, a salvaguardare il
retaggio legale da una parte e quello letterario,
scientifico e artistico dall’altra? L’Impero romano si
disfaceva, da ogni parte premevano i barbari: Visigoti,
Unni, Ostrogoti, Slavi e altri popoli che, diversi per
cultura e fede, rischiavano di cancellare o snaturare il
patrimonio di tutta una civiltà, quella romana, ormai
già pervasa dal fervido seme del cristianesimo, che ne
sosteneva e rinsanguava lo spirito declinante verso l’abbandono
ineluttabile della decadenza.
- Passato
al sapiente vaglio dei giuristi bizantini e a quello
intriso di pietà e devozione degli umili monaci
benedettini, il patrimonio di alti valori che la latinità
aveva saputo esprimere per oltre mille anni lasciava le
preziose pepite di un mandato morale e culturale che
altrimenti le orde barbariche e i vandalici poteri in
lotta per la supremazia politica avrebbero disperso.
- A
periodi ricorrenti si presenta, per gli uomini di buona
volontà, l’onere di approntare arche adatte a salvare l’armonia
e la bellezza dai flutti del diluvio di turno. Ciò non
implica obbligatoriamente che la fatica di questi “bonavoglia”
dediti all’impresa di salvataggio duri per sempre, senza
vituperazioni e tradimenti. L’uomo è fatto di nobili
slanci verso le alte vette della civiltà e di altrettanto
irresistibili attrazioni verso l’abisso della barbarie.
Per cui, correndo i secoli, propositi e progetti si
deteriorano, perdono smalto e pregnanza, gli uomini
smarriscono le motivazioni originarie da cui la pulsione
di eccellenza partí, perdono memoria di quanta
preziosità essa era portatrice.
- Bisanzio
cadde, restò Santa Sofia a declamare nel tempo,
immemorabile e imperitura, la gloria di Giustiniano.
Montecassino venne rasa al suolo dalla capziosa furia
della guerra. Ricostruita, seppe ritrovare il fulgore che
aveva prima dell’oltraggio bellico. Ma anche fosse
rimasta un cumulo di ruderi fulminati dalle bombe, lo
spirito di Benedetto, l’oro sorgivo del cristianesimo
incorruttibile, il mito arcano di Febo, avrebbero nei
secoli ricordato agli uomini che il soffio divino è
invincibile, indistruttibile e incancellabile. Esso è
dentro l’uomo, negli atomi segreti del mondo, nel
respiro del creato. Fluisce libero, fustiga, infiamma,
muove e sublima. Dalla cenere suscita a nuovo la
spiritualità umana.