- In
quel periodo della mia vita praticavo ossessivamente la
concentrazione.
- Ogni
momento libero diventava il momento buono per l’esercizio.
- Nutrivo
poca fiducia nella meditazione che non padroneggiavo;
anche la concentrazione era, se cosí si può dire, un
tantino grossolana, ma qualche scusante c’era. Avevo
passato molto tempo in un caos di discipline orientali,
caratterizzate dalla immobilità fisica e dalla fissità
interiore per ridurre al minimo il “disturbo” del
pensiero. Ora tutto era cambiato, mi dedicavo a due
esperienze nuove e opposte a quelle del passato: il
pensiero e l’attivo sforzo interiore.
- A
quel tempo non conoscevo la cornice
immaginativo-metafisica della concentrazione e della
meditazione. Con la concentrazione si attraversa l’oscuro
dedalo sotterraneo dominato da Arimane, mentre la
meditazione porta l’asceta verso gli aerei spazi
estatici di Lucifero. Ma forse era meglio cosí, perché
negli anni successivi avrei visto molta viltà frenare le
anime degli antroposofi piú intimoriti che sollecitati
dalle rappresentazioni degli Ostacolatori, non sapendo
attingere al coraggio e alla dignità che qualsiasi uomo
porta in sé.
- Certo
è che non attendevo alcuna prova interiore, e quando
questa giunse, giunse forte e inattesa a persona
impreparata.
- Ricordo,
come fosse ieri: una domenica pomeriggio, con amici in
casa, si discuteva animatamente di problemi spirituali da
diversi punti di vista, in una sorta di concordia
discordante.
- Mi
sentii all’improvviso afferrato dal freddo. Non da
fuori. Il riscaldamento della casa funzionava, ero ben
vestito e non si trattava nemmeno delle note avvisaglie di
un incipiente raffreddore: era puro freddo animico.
- L’inusuale
impressione a poco a poco disparve, e poiché avevo altro
che mi occupava la mente la catalogai come una momentanea
bizzarria da riporre nel cassetto delle mille cose senza
risposta.
- L’esperienza
si manifestò di nuovo il pomeriggio successivo mentre mi
trovavo solo in casa, seduto nel mio studiolo. Non
cercherò frasi complicate o allusive: il freddo era
tornato, piú forte, e mi mangiava l’anima (o la
congelava). Rimase un’alterata sensazione corporea e un
limitato spazio di coscienza. Avvertii inequivocabilmente
che il processo non si sarebbe fermato, e per la seconda
volta nella mia vita mi trovai lanciato incontro alla
morte.
- Pensai
faticosamente che, sebbene tramortito e impotente, dovevo
testimoniare almeno la mia dignità d’uomo. A mala pena
riuscii a trascinarmi sul letto, poi incrociai le braccia
sul petto e rimasi immobile nella postura che gli artisti
hanno sempre scolpito sui sarcofagi degli antichi
guerrieri.
- In
quelle condizioni era il massimo gesto di sfida che potevo
contrapporre alla Forza che, dopo l’anima, mi rubava
velocemente la vita. Precipitavo allo zero del mio
esistere, qualcosa di ostile o di incomprensibile mi stava
estinguendo. Ancora oggi non trovo una definizione che
possa evocare la terribile impressione di venir divorato
vivo nel mio essere. Di mio rimaneva ancora un minuscolo
lembo di coscienza pensante.
- Improvvisamente
da un punto sconosciuto ma ben preciso della coscienza il
moto dei pensieri si trasformò in chiare immagini. I miei
occhi erano aperti e tutto intorno a me era rimasto
identico, solo il pensiero, attraverso quel punto, si
squadernava in forti immagini.
- Sentii
e vidi le mie braccia stendersi da sé ai due lati del
corpo, che ora imitava la forma della croce. Chiusi e
riaprii piú volte le palpebre, che erano diventate come
trasparenti. Mi avvidi che a destra era apparso un caro
amico, uno dei rari sperimentatori dell’Occulto.
Sembrava piú alto e irradiava una solennità
assolutamente celata nella vita ordinaria. Mi parve
dicesse «Coraggio amico mio, afferra la mia mano!». La
mia mano destra si strinse alla sua mentre la sinistra si
stringeva quasi simultaneamente alla mano di una persona
apparsa all’altro lato del mio corpo; una figura
maestosa e familiare ma che non riuscii a riconoscere.
- La
“vista” come rinvigorita, nonostante avvertissi l’erosione
della coscienza stessa, mi permise di contemplare che ai
due lati, oltre alle entità piú vicine, si snodava una
sequenza, che mi sembrò quasi infinita, di uomini
paludati in ugual misura di nebbie cangianti e abiti
inconsueti, uniti in un intenso atteggiamento di assorta
dedizione: capii che provenivano da luoghi e da tempi
diversi e lontani. Sentii l’accendersi di una profonda e
totale gratitudine verso quella catena umana che
attraversava i secoli e trascendeva ciò che chiamiamo
vita e morte.
- Nel
momento fatale non ero solo, ma congiunto con la piú
nobile Fratellanza.
- Colmo
di una simile benedizione, anche se privo di garanzie o
promesse, accettai allora, senza rimpianti, l’ultima
onda nera che inghiottí quanto rimaneva di me stesso.
- Questa
fu la seconda morte che sperimentai in questa vita.