

I
rappresentanti della scienza convenzionale odierna, pur
ammantando di obiettività le proprie ricerche, in
realtà, per lo piú inconsapevolmente, sono intrisi di
pregiudizi ed abitudini di pensiero legati
unilateralmente alle concezioni della vita di stampo
materialista o razionalista.
Due
fenomeni in particolare turbano le eburnee convinzioni
della comunità scientifica internazionale: l’effetto
placebo e l’arto fantasma.
Da
decine d’anni si sono susseguite centinaia di
pubblicazioni in cui si sono alternate altalene di
percentuali statistiche, svariati tentativi di
ridimensionamento o, di controbalzo, di ingigantimento
dei due fenomeni; in ogni caso per lo piú con la netta
difficoltà di fuoriuscire dalle categorie di pensiero
convenzionali. Eppure se venisse spinta a fondo, senza
pregiudizi di partenza, l’indagine sulla forma fisica
dell’uomo, se ci si interrogasse sugli enigmi della
sua costituzione, della sua conservazione e del suo
dissolvimento, si potrebbe aprire uno spiraglio per l’operare
del corpo eterico.
È
arduo tuttora accogliere nei propri pensieri, ubriacati
di materialismo, il concetto di corpo eterico, eppure l’enigma
dell’arto fantasma potrebbe essere sciolto proprio
grazie ad esso. E invece vi resiste una consolidata
abitudine di pensiero: l’elemento animico è
strettamente legato a quello corporeo (e naturalmente in
tal caso si intende solo fisico-corporeo). Allora come
si spiega che un uomo, a cui sia stato amputato una
gamba od un braccio, abbia la distinta percezione della
gamba o del braccio mancante? Pur di non contraddire la
predetta linea di pensiero, Brugger, un neurologo
zurighese, si arrampica cosí sugli specchi del proprio
opaco pensiero: «I pazienti con arti amputati
continuano a ricevere sensazioni dalle parti di corpo
che non hanno piú proprio grazie a una sorta di “mappa
del corpo” che è scritta nei nostri geni».
Geniale
soluzione, ma un po’ scontata in tempi di genoma e
proteoma! Ma chi ha scritto la mappa del corpo? E chi la
legge?
Se
si ha il coraggio di scomodare a questo punto il
concetto di corpo eterico e nello stesso tempo di
ammettere che l’anima (colei che prova sensazioni) ha
un certo grado di indipendenza dal corpo fisico (e può
ricevere sensazioni dal corpo eterico), allora anche l’arto
fantasma non verrà grattato via come un “fantasma”
della nostra mente.
Analizziamo
ora il secondo fenomeno: l’effetto placebo. Esso è
stato identificato per la prima volta nel 1955 da un
anestesista americano, Henry K. Beecher, che pubblicò
un’analisi dei risultati di quindici studi clinici,
stimandone l’incidenza intorno al 35%. L’effetto
placebo consiste nel guarire grazie alla sola certezza
che il trattamento preso è efficace; e, come si
conviene in ogni trattamento farmacologo (nonostante in
tal caso sia fittizio) in un terzo dei casi possono
sovrapporsi effetti collaterali tipo sonnolenza,
astenia, nausea, denominati nell’insieme effetto
nocebo (!).
La
scienza medica da allora è costretta a tenerne conto e
per questo sono stati escogitati gli studi in doppio
cieco per dimostrare l’efficacia dei farmaci in
sperimentazione e nel novembre 2000 è stato indetto un
congresso internazionale su questo tema specifico alla
presenza di 500 ricercatori.
Recentemente
hanno destato scalpore tre studi clinici (effettuati
rispettivamente su pazienti con morbo di Parkinson, su
pazienti con depressione e su volontari sottoposti a
trattamento antidolorifico) che hanno visualizzato,
tramite la tomografia per emissione di positroni
(PET-SCAN), in maniera pressoché identica, l’area
cerebrale attivata dall’azione del farmaco
convenzionale e del placebo (acqua salata, tanto per
parlar chiari). Nell’affannoso tentativo di
giustificare la realtà scottante dell’effetto
placebo, uno degli autori delle ricerche citate, lo
svedese Martin Ingvar, alla provocante domanda:
«Perché il placebo agisce su certi pazienti e di meno,
o per niente, su altri?» si appella alla differente
capacità di risposta del sistema oppioide (a base di
endorfine) dell’uomo.
Ci
risiamo. Ma chi comanda, chi governa il sistema oppioide
nell’uomo? Forse è piú umile e piú gravida di
prospettive la risposta di un altro studioso, Patrick
Lemoin, che attribuisce l’effetto placebo all’incontro
fra medico e paziente, ma anche distintamente alla fede
vissuta del paziente e del medico.
Già,
non è proprio grazie alla forza della fede – alla pistis
greca – che fa appello il principe dei terapeuti, il
Cristo, nelle sue guarigioni? Basta che due (o piú)
persone siano riunite nel Suo nome, cito a memoria dall’evangelista
Matteo, che Lui è presente, è operante con la forza
della guarigione, che è in grado di mobilitare le
risorse del corpo eterico; cosí rispunta di nuovo il
concetto misconosciuto dalla presbite scienza
convenzionale odierna.
Pazienza:
l’effetto placebo costituirà ancora una piacevole
(almeno per me) occasione di provocazione a pensare.
Angelo
Fierro
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