Azione interiore

 
In un articolo sul precedente numero dell’Archetipo (“Michele, Cosmo, Uomo”) abbiamo tentato di sintetizzare, secondo una prospettiva essenzialmente macrocosmica, l’attuale rapporto tra l’uomo, nella fattispecie esaminato quale portatore unico e per ora pressoché inconsapevole della spiritualità che operò agli inizi della Creazione, ed il cosmo, opera ormai compiuta separatasi dalla spiritualità vivente proprio per consentirci lo sviluppo di una libera autocoscienza, iniziale sorgente di una rinnovata vitalità intensamente attesa anche dalle sfere spirituali.
In quel contesto si cercò inoltre di evidenziare, non solo la centralità del ruolo di Michele nella missione di reintegrazione spirituale del cosmo affidata all’uomo, ma anche l’urgente necessità che alle conoscenze scientifiche siano affiancate quelle antroposofiche.
Giova ora esaminare la direzione opposta, microcosmica, cioè il nostro rapporto con la spiritualità originaria, per ora, come si è detto, operante a livello subconscio nei confronti dell’attuale coscienza umana.
La Scienza detto Spirito insegna come l’autocoscienza dell’uomo, oggi impegnato, soprattutto in Occidente, nello sviluppo dell’anima cosciente (1), sia il frutto di una sofferta evoluzione: «...verso la fine dell‘epoca atlantica …l’uomo apprese a dire “io” a se stesso...» (2).
Ci viene inoltre rivelato come, a causa dell’azione degli spiriti ribelli alle Gerarchie creatrici, “luciferici”, «...l’uomo fu spinto nella materialità terrestre piú di quanto era stato destinato» (3); divenne pertanto indispensabile evitare che il principio stesso dell’Io fosse esposto al rischio di un eccessivo coinvolgimento nella terrestrità: la Divinità operò quindi sul corpo eterico umano in modo che «il vero Io individuale rimase …poco attaccato al semplice io (ego, n.d.r.) terrestre...» (4). In relazione alla natura complessiva dell’individualità, sembrerebbero dunque coesistere due dimensioni: l’Io e l’ego, il secondo dei quali è quello che normalmente sperimentiamo come nostro autoriferimento soggettivo durante la vita di veglia.
Massimo Scaligero in proposito lucidamente evidenzia come il tessuto strutturante sia in entrambi il medesimo, per cui nell’ego – come si è visto metamorfosi della sfera “inferiore” del principio stesso dell’Io, conseguente all’inserimento nel corpo fisico – è potenzialmente rinvenibile il collegamento con la propria sorgente superiore: «L’ego come forma inferiore dell’Io spirituale è necessario sul piano sensibile…» (5).
Proprio in relazione al tema in oggetto, ogni dimensione ultraterrena continua ad essere pervicacemente negata dai sostenitori dell’attuale visione materialistica del mondo: per costoro, l’evidente presenza nell’uomo di un principio di autoidentità è meramente il risultato della sua organizzazione psico-fisica, destinato pertanto a scomparire con la morte del corpo; concezione evidentemente incompatibile con ogni ipotesi di sopravvivenza di una personalità individuale e con la stessa configurabilità di un “aldilà”.
Provvidenzialmente nella persona sana opera ancora un salutare scetticismo nei confronti dell’esasperazione materialistica; piú per diretta esperienza interiore che tramite speculazione filosofica, si arriva a percepire come la convinzione “nichilista” in una morte fisica annientatrice in toto – in quanto tale di fatto vanificatrice di ogni futura espressione di capacità faticosamente maturate, come pure di qualsiasi opportunità di futura correzione e crescita – appaia quanto meno incoerente proprio sotto un profilo ontologico complessivo: la stessa sbalorditiva perfezione del corpo umano – frutto di un meraviglioso processo creativo che una mente assennata dovrebbe percepire come assolutamente inconcepibile quale mero risultato meccanico di interazioni chimico/fisico/ambientali – trova naturale giustificazione solo quale dimora riservata ad un essere, l’uomo appunto, destinato ad uno sviluppo individuale di correlata grandiosità, palesemente non raggiungibile nel breve arco di una singola vita.
Al contrario, esauriente e logica può presentarsi una concezione che preveda l’accumulazione della sintesi essenziale delle esperienze tra nascita e morte quale base per un successivo ritorno sulla Terra della medesima individualità, sino ad esaurire la serie delle “reincarnazioni” una volta sostanzialmente attraversate tutte le opportunità evolutive sperimentabili in un corpo fisico.
I menzionati critici, evidentemente sulla scorta di convinzioni incompatibili con quelle alla base del presente scritto, sono soliti attribuire “l’invenzione” dell’aldilà come pure della teoria della reincarnazione, al desiderio di continuare a vivere oltre la morte da parte di un’umanità, a loro dire, povera di pensiero, troppo debole per accettare quella che loro considerano una realtà ineludibile: la vanità di ogni ipotesi ultraterrena. Si dimentica, per esempio, come proprio un raffinato pensatore occidentale, G.E. Lessing, nella sua ultima opera, L’educazione del genere umano, magistralmente ebbe a sottolineare come la concezione della reincarnazione (correttamente intesa come serie di rinascite terrene della medesima individualità in corpi ed ego diversi con accumulazione spirituale delle sintesi essenziali di ogni singola vita) sia l’unica in grado di spiegare i progressi dell’umanità – indubbiamente conseguenti alla conservazione nel tempo dei risultati già acquisiti – proprio tramite la reincarnazione individuale, veicolo vivente di esperienze e conoscenze dal passato al futuro.
È l’Io “superiore” che ritorna dunque a sperimentare una nuova vita terrestre attraverso la propria proiezione incarnata, l’ego, del quale acquisisce dopo la morte fisica l’essenza esistenziale che, purificata ed elaborata nelle sfere spirituali con il concorso di alte entità, costituirà la conseguente struttura della successiva vita terrena con un nuovo ego.
In proposito la Psicologia correttamente richiama l’influenza sulla personalità (contingente) di fattori quali l’ereditarietà ed il patrimonio etnico, sulla cui reale rilevanza anche la Scienza dello Spirito lucidamente si esprime (6).
Già la consuetudine filosofica, un tempo piú diffusa, di scrivere in maiuscolo l’iniziale di questo vocabolo misterioso, “Io” (tuttora conservata, per esempio, nella lingua inglese), con indubbia devozione sottolinea una qualificazione che supera l’umano, un principio metafisico; nell’uso quotidiano il termine ha poi una particolarità singolarissima: è idoneo ad indicare solo noi stessi, mentre chiunque altro è qualificabile come esso, lui, egli... mai come io. Il mistero dell’Individualità è grandiosamente svelato dal Cristo in persona quando afferma: «Il piú profondo mistero del mio essere è “l’Io sono”»; il Figlio incarna dunque il principio stesso dell’Io.
In proposito Rudolf Steiner aggiunge: «...La vera, eterna potenza dell’Io sono ...deve fluire nell’uomo (innanzitutto nell’ego, n.d.r.) ...il Cristo vuole procurare ad ogni uomo il reale possesso dell’Io, e con ciò vuole risvegliare in ogni uomo il Dio...» (7) .
Da quanto precede (unitamente alle conclusioni in merito all’avvenuto distacco di ogni spiritualità vivente dal cosmo manifesto, nel precedente articolo citato) si desume pertanto come il rapporto reale con la divinità, unitasi sul Golgota al destino della Terra, sia ormai una facoltà del tutto immanente per l’uomo di quest’epoca, con diritto definibile “dell’anima cosciente” proprio perché si comincia a disporre di un ego che, ove lo si decida coraggiosamente, può finalmente tentare la graduale reintegrazione interiore con la sua eterna sorgente divina.
Strumento ineludibile del descritto processo non può che essere lo stesso che consente l’esperienza iniziale dell’autocoscienza, il Pensare, grazie al quale l’ego si autopercepisce (8) ; solo nell’ambito del pensiero (oggi quasi del tutto contingente in quanto sostanzialmente matematico-meccanico, ma proprio per ciò “nostro” e non piú passivamente ispirato dal Divino come in passato), l’uomo può operare consapevolmente; cosa per ora direttamente impossibile sia nella sfera del sentire sia in quella del volere, ambedue non raggiungibili se non attraverso un pensiero: la genesi di un sentimento come pure di una decisione volitiva è comunque sempre preceduta da un processo pensante quale è il caso, per esempio, della tristezza dopo una dolorosa notizia o della decisione verso uno specifico comportamento a seguito di approfondita disamina.
Si tratta dunque di liberare gradualmente, sempre conservando la lucida coscienza di veglia raggiunta a cosí caro prezzo, tutta la potenza dei gradi superiori del pensare – imaginativo, ispirativo, intuitivo (9) – tappe grandiose di una comunione consapevole con la Forza per noi nuovamente disponibile grazie all’incarnazione del Logos/Cristo: «Il Figlio dell’Uomo …grazie alla forza del Cristo apparso sulla Terra, deve pervenire ...alla coscienza della spiritualità» (10).
In una sublime sintesi (11) M. Scaligero ci ricorda come nel mito dell’Eden la coppia peccatrice, in seguito alla tentazione, acceda all’albero della Conoscenza, ma venga fermamente allontanata da quello della Vita (eterna, n.d.r.), affinché non ne alimenti il proprio errore rendendolo cosí perenne, per poi sprofondare nella fisicità, essenza stessa della “caduta”: da allora, dunque, il frutto della seduzione, lo strumento della conoscenza, il contingente pensiero della coscienza di veglia, è separato dalla vita (piú esattamente dalle forze vitali/eteriche) e dipende da un organo fisico, il cervello, in quanto tale mortale.
Da esseri immortali, ma inconsapevoli, in conseguenza del “peccato”, siamo diventati individui autocoscienti ma caduchi, poiché, come si è detto, solo interagendo con una materia inanimata era possibile impostare la nostra autocoscienza (vedi articolo su «L’Archetipo» di agosto).
Dobbiamo a Rudolf Steiner la metodica fondamentale in grado di ricongiungere alla Vita l’intelletto egoico, ormai esanime riflesso del mondo inerte da cui trae sensorialmente il proprio contenuto: l’esercizio della concentrazione (12).
Partendo dalla nostra coscienza normale, prezioso risultato dell’evoluzione sin qui raggiunta, quotidianamente, anche se per pochi minuti, ci impegniamo a trattenere volitivamente al centro della nostra interiorità la rappresentazione mentale di un semplice oggetto ideato dall’uomo: il ripercorrerne con determinazione forme e genesi retroattivamente sino ad una sintesi contemplativa finale di quanto pensato, reintroduce gradualmente nel processo elaborativo del pensiero, rivivificandolo, la potenza dei Troni, spiriti della Volontà, operanti nel sistema membra-ricambio (13).
Con la misteriosa mediazione di Michele, giorno dopo giorno, anno dopo anno, l’insistenza nell’esercizio e negli altri quattro fondamentali – insieme alla meditazione, allo studio assiduo dei testi correlati, ad un coerente stile di vita (14) – libera e vivifica il pensare sottraendolo alla dipendenza cerebrale: è riaperta per l’uomo la via verso l’Eden, che, una volta raggiunto in un lontanissimo futuro, non sarà piú smarribile perché coscientemente riconquistato: nuovamente risuona l’accordo tra l’albero della Conoscenza e quello della Vita, in una rinnovata Armonia delle Sfere.

Arcady

(1) R. Steiner, Teosofia, Ed. Antroposofica, Milano 1994, p. 36.
(2) R. Steiner, Il Vangelo di Giovanni, Ed. Antroposofica, Milano 1975, p. 115.
(3) R. Steiner, Scienza Occulta, Ed. Antroposofica, Milano 1969, p. 203.
(4) Ivi, p. 204.
(5) M. Scaligero, L’imaginazione creatrice, Ed. Tilopa, Milano 1964, p. 119.
(6) R. Steiner, Considerazioni esoteriche sui nessi karmici, Ed. Antroposofica, Milano 1985, p. 68.
(7) Op.cit. alla nota 2, p. 120.
(8) R. Steiner, La Filosofia della Libertà, Ed. Antroposofica, Milano 1966, p. 50.
(9) R. Steiner, Sulla via dell’Iniziazione, Ed. Antroposofica, Milano 1977, p. 12.
(10) Op.cit. alla nota 2, p. 105.
(11) M. Scaligero, Graal, saggio sul mistero del Sacro Amore, Ed. Perseo, Roma 1969, pp. 23-34.
(12) M. Scaligero, Manuale pratico della meditazione, Ed. Tilopa, Milano 1984, p. 145.
(13) Op.cit. alla nota 6, p. 90.
(14) R. Steiner, L’Iniziazione, Ed. Antroposofica, Milano 1977, pp. 74-94.