Poesia

 

Vinto da troppa luce, tanto spazio
per le povere ali si dibatte,
langue tra vita e morte sull’asfalto
il piccione caduto, ormai già preso
nel vortice che annulla piume e sangue.
Qualcuno dice: non sostare, passa,
e se mai guardi, tieni avulso il cuore
dallo strazio crudele, sii lo specchio
che tutto vede e replica, ma infine
oltre il riflesso non coinvolge l’occhio.
Il tuo fragile corpo sia la roccia
ad ogni offesa refrattaria, immune
da vulneranti sensazioni, l’anima.
Che il fiume scorra e non scalfisca il sasso,
che soffi il vento e il tronco lo resista.
Pure, non è cosí. Qualcuno disse:
ogni cosa che muore ti appartiene,
tu sei nel tutto e la tua mano assiste
l’ala che si abbandona, la rimpiange.
Tu sei la foglia rapinata al ramo
dalla buriana. Se infecondo un fiore
cade gualcito e non diventa frutto
si spegne il seme da cui nasce l’uomo.
Il grido estremo è la tua stessa doglia.
Tessera di un mosaico di cui sfugge
l’immagine finale, sei la chiave
dell’universo intero, lo concludi
partecipando al gioco d’assemblaggio.
Se porterai la croce d’ogni male
che intorno a te quell’opera scompone
giorno per giorno, e la ricomporrai,
se il grande vuoto colmerai di umana
voce e pietà, come nel buio il sole,
soltanto allora girerai la ruota.

Fulvio Di Lieto