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Essendo costituzionale nell’uomo la dimensione della “caduta”, il suo pensiero riflesso non concepisce liberazione che non sia l’estrinsecarsi in altra forma di tale dimensione. Perciò giunge a credere, tra l’altro, a una esperienza spirituale fuori dello Spirito, conseguibile mediante processi fisiologici specificamente provocati: può credere alla efficacia di sostanze come la mescalina, l’acido lisergico, la psilocibina ecc., quali veicoli al Sovrasensibile.
In tal senso si può dire della droga che è l’illusoria via interiore, rispetto alla quale i deboli vengono annientati, i forti vengono introdotti a una magia demoniaca, o magia di patto, onde l’anima è ceduta a forze submateriali di cui non si libererà piú – salvo il miracolo di una redenzione di tipo faustiano, invero rara – i sani, che sono i veri forti, lottano tragicamente per liberarsene.
L’uso dello psicofarmaco è legato all’oscura aspirazione dell’uomo a superare la prigionia della coscienza riflessa. Tale aspirazione non riesce a elevarsi alla coscienza del còmpito che le corrisponde: comprendere il passaggio dal pensiero riflesso al vivente: ossia dall’organo dell’errore – veritiero soltanto quando è misura del calcolabile – all’organo della verità, o della realtà. Solo il pensiero vivente può avere la percezione della irrealtà del pensiero riflesso: con il pensiero riflesso non è possibile afferrare la realtà del pensiero vivente, l’assoluta diversità, la dimensione trascendente. Occorre l’esperienza: ma questa esige l’ascesi della Volontà, che è appunto la via del Pensiero.
Il sentiero della droga è facile, perché non esige iniziativa interiore, ma solo mediazione sensibile, che dà al pensiero riflesso l’illusione di superare il limite sensibile. Solo il materialista può credere di conseguire mediante veicolo materiale il superamento della visione materiale. La non conoscenza delle forze cosmiche operanti alla base della Materia, tiene inesorabilmente l’uomo prigioniero della Materia.
Ingenuamente si crede che un processo fisiologico, sollecitato da droga o da discipline fisiche – quali alterazioni dello Hathayoga – possa togliere al percepire sensibile l’ostruzione che gli cela il Sovrasensibile. Questa ostruzione si verifica negli organi dei sensi mediante il sistema dei nervi, per il fatto che il pensiero diviene cosciente e dialettico, vincolandosi all’organo cerebrale. Dal vincolo al sistema nervoso sorge la visione esclusivamente fisica del reale, in quanto tale sistema è dominato dall’Ente cosmico che vive nella Materia fisica, ma non nella Materia quale appare all’uomo, bensí a un grado subsensibile, che è la tenebra della Materia: in una sfera che ha le sue manifestazioni, le sue forze, i suoi processi extrasensibili. È questo Ente che può dominare l’uomo mediante il pensiero riflesso, in quanto il grado del pensiero riflesso è quello in cui esso è dominatore e può velare all’uomo il Sovrasensibile. Esso domina il supporto necessario al pensiero per afferrare se stesso riflesso.
Il pensiero può svincolarsi dallo stato riflesso, solo mediante l’automovimento che faccia leva sul fondamento, ossia sul suo essere preriflesso o precerebrale. La droga invece potenzia la soggezione del pensiero allo stato riflesso: esalta per via nervosa la riflessità sino a fare di essa l’animazione del fantomatico, la cui forma risponde a un contenuto, ma in quanto questo non viene dallo Spirituale, bensí dall’animico sopraffatto dal fisico: non supera il sensibile, anzi lo patisce ancora piú che prima, patologicamente, perché scende al di sotto del livello sensibile, ossia a un grado inferiore a quello della normale percezione sensoria.
La condizione patologica suscitata per via nervosa si traduce in visione: l’ente ahrimanico che domina il sistema dei nervi e afferra l’anima quanto piú questa inerisca a tale sistema, mediante la droga acquisisce un potere radicale sull’anima. L’ente ahrimanico riesce a fornire la visione estrasensibile, mediante la possessione, ma è la visione del regno che Esso domina, il subsensibile, ossia la potenza infera del sensibile. È il regno delle forze che normalmente valendo mediante il sistema nervoso, ma dominando basalmente dalle ossa, ossia dallo scheletro, sul piano della coscienza quotidiana, privano l’uomo interiore della percezione sovrasensibile negli organi dei sensi: gli consentono la visione fisica ossia esclusivamente minerale del mondo – e questo è il loro legittimo còmpito – rendendo il pensiero riflesso, o dialettico. Ma è il regno della Morte, l’Ade, il regno delle ombre.
Lo stupefacente può far luccicare il regno ahrimanico delle ombre, animandolo con le sopraffatte correnti dell’anima drogata. La poetica visionaria ed esaltatoria di quel mondo viene dall’Entità luciferica, mentre la potenza dell’allucinazione viene da Ahrimane. È una potenza che in taluni soggetti può temporaneamente assumere forma e presunzione magica, in quanto l’anima abbia l’impulso dell’abdicazione assoluta al proprio principio e spregiudicatamente si apra all’ossessione ahrimanica, lasciandosene possedere: ne riceve una forza di distacco dalle emozioni e dalle passioni che dà il senso del dominio dell’umano: è invece la paralisi del sentire. I soggetti deboli non giungono a questo e dall’angoscia e dalla paura quotidiana sono sempre piú spinti all’intossicazione epperò avviati prematuramente al regno delle ombre.
L’angoscia e la paura sono il residuo correttivo dell’elemento interiore dell’anima: in sostanza coloro che soffrono e lottano, attraversando esperienze tragiche, sono i soggetti per i quali c’è la speranza che l’anima reagisca in nome della sua residua autonomia. Coloro che invece si rafforzano mediante una sorta di “magia di patto”, hanno qualcosa da spartire con Ahrimane, col potente dominatore del sistema osseo-nervoso, in cui sono celate le forze magiche che il discepolo della “via solare” ha il còmpito di conquistare scendendo da dominatore cosciente in quella profondità.
Coloro che sopportano la droga e ne traggono energie psichiche, sono soggetti che hanno còmpiti direttivi ahrimanici al centro di confraternite occulte, il cui scopo è la lotta contro l’uomo interiore: in realtà contro il Logos. Hanno il còmpito di corrompere i molti con la diffusione del mito dell’estrasensibile conseguibile mediante mezzi fisici, droga o medianismo magico, o hathayoga deformato: la via futura della perdita del livello umano.
Il processo di liberazione in verità s’incentra sul problema del pensiero riflesso, perché sul piano del pensiero riflesso si decide la scelta umana: l’uomo è libero di scegliere tra il Logos e Ahrimane. La reale via iniziatica è quella che conduce l’asceta alla coscienza del pensiero riflesso e del suo limite: lo porta a riconoscere come condizione decisiva per l’esperienza sovrasensibile il superamento della riflessità. L’identità con la riflessità porta la coscienza a concepire l’assurdo di un’esperienza sovrasensibile mediante mezzi estranei, o opposti, al Sovrasensibile. Ciò che nel Tantrismo è considerato illimitatamente lecito a una via della “mano sinistra”, è un concetto che ha a che fare con il pensiero riflesso, o caduto. Per il pensiero vivente non ha senso una distinzione tra mano sinistra e mano destra, perché esso è la forza-pensiero che non necèssita di mediazioni lecite o illecite per l’esperienza sovrasensibile: ha la propria autorità in se medesimo, non dipende da categorie di pensiero, destra o sinistra.
La via del Pensiero-Logos è la via diretta, rispetto alla quale ogni mediazione risultando semplicemente preliminare, o preparatoria, deve essere conforme a una rigorosa disciplina. Il còmpito di coloro che non sono ancora pronti o non si sentono capaci della via diretta – e sono i piú – è conformarsi a norme e a discipline, la cui regolarità consiste nel provenire da chi possiede la via diretta: data infatti dal Maestro dei nuovi tempi. La garanzia della legittimità di questa è il suo presupposto, l’ascesi della Volontà, la Via del Pensiero, che fa appello al pensiero cosciente della normale vita di veglia e lo conduce, per intensità di concentrazione, ad attingere alla sua originaria forza, sino a identificarsi con essa e a superare la dimensione riflessa.
Nell’epoca dell’assoluto pensiero riflesso, o dialettico, in cui l’anima patisce come ottusità il livello a cui la costringe il pensiero caduto, ogni sviluppo interiore che non segua la linea ascendente della coscienza di veglia, non può che essere medianica ed in tal senso è minimamente una droga. Droga mistica, o spiritistica, o gnostico-medianica, secondo una gamma che giunge alla droga propriamente detta, essa è la scelta inevitabile del pensiero dialettico, incapace di afferrare la propria dimensione riflessa. Per afferrare il reale senso della riflessità, il pensiero dovrebbe percepire la dimensione che gli è simultanea sul piano sovrasensibile: che è il segreto della sua reintegrazione. Il pensiero vive al tempo stesso nei tre mondi, fisico, animico, spirituale: movendo in basso, muove simultaneamente in alto: deve intensificare il momento della propria forza, per percepirsi nella propria interezza: secondo il principio della retta concentrazione.
Una forma della moderna droga psichica è il mito della evoluzione animale. Il pensiero riflesso, privo di moto di autoconoscenza, concepisce un’evoluzione materiale secondo una concatenazione di anelli di cui però gli sfugge il primo, il piú importante, che è in lui, affiorando appunto come coscienza del processo evolutivo, o momento intuitivo di un essere che, come essere diveniente, non può non coincidere nell’essenza con il moto originario stesso della concatenazione. In pari tempo, non v’è congiunzione da anello ad anello, che non sia il percorso sintetico del pensiero, seguente il filo di quel moto primo: non potrebbe seguirlo, se non lo avesse in sé.
Non v’è momento della evoluzione che per l’indagatore non sia il moto sintetico del pensiero che afferra quel momento e lo congiunge con gli altri. Senza la capacità di congiunzione originaria del pensiero, l’evoluzione biologica non sarebbe concepibile: ma è concepibile quando il pensiero attua in sé la relazione, avendo compiuto sino all’Autocoscienza il proprio percorso: sí da poterlo riassumere. Lo riassume allorché l’impulso spirituale da cui muove, diviene forza della determinazione per l’indagine del fenomeno fisiologico. Come pensiero cosciente, esso è l’ultimo anello della catena, capace di dare assenso al processo e di identificarlo: è questo ultimo anello che, se è capace di percepire se stesso, può riconoscersi come il primo, in quanto fiorisce direttamente dal Principio della concatenazione.
L’evoluzione biologica è vera: l’errore della sua dottrina è il non essere compiutamente logica, ossia il non riconoscere nella ricostituzione della concatenazione delle forme biologiche l’anello decisivo, in quanto evento del pensiero: scaturente dal Principio indipendente dal processo, anzi suo dominatore. L’evoluzionista, che usa la concatenazione del pensiero e crede riconoscere nella concatenazione delle forme un processo esteriore, come se una forma filiasse dall’altra fuori dell’intimo processo connettivo indipendente da ogni forma, rischia di non vedere il reale Principio che unisce una forma all’altra e che in ogni forma esprime sempre piú precisamente se medesimo: rischia di credere a un’origine animale dell’uomo: ma non può evitare di cadere in simile trabocchetto, quando crede ai fatti e non al pensiero che li intuisce e li interpreta, né riconosce come pensiero il filo conduttore dell’evoluzione che egli concepisce.
Per cui questo filo non può soccorrerlo, quando egli, cercando l’anello primo, non lo trova: stringe il vuoto e si sfoga in teorie che tradiscono la posizione mistica: il credere ai fatti e alle dimostrazioni e ignorare il pensiero che intuisce i fatti e costruisce le dimostrazioni, avendo in sé il potere sintetico che li unisce.
Ove manchi l’anello primo della catena evoluzionistica, tutta la concatenazione viene meno, perché non v’è catena che non abbia un primo anello. E se si considera come primo il secondo, ossia l’anello immediatamente afferrabile, si rischia di considerare elemento primario il derivato: che è un capovolgere il processo quale è in realtà e opinare che l’uomo deriva dalla scimmia, mentre è vero il contrario.
Non diversamente la moderna logica analitica si comporta con la deduzione, che può essere giusta nella sua concatenazione formale, mentre manca sempre del primo anello: che esso surroga con il cosiddetto “enunciato primo”, o il presupposto, o l’assioma: l’illusorio fondamento, o fondamento di argilla dell’edificio logico, di ogni logica del cosiddetto reale.
In realtà, la relazione pura antecedente ai concetti, connette originariamente pensiero a pensiero, concetto a concetto, idea a idea. La determinazione del pensiero per la ricerca sensibile, comincia col sollecitarla, ma la smarrisce nel secondo tempo: quello della fenomenologia e del procedimento logico.
Un esempio tipico dello smarrimento della relazione originaria si ha nell’attuale rappresentazione invalsa del problema sociale. Dal mentale privo del moto sintetico originario sorge l’ingenua idea che la giustizia sociale sia conseguibile grazie ad una matematica distribuzione giuridica, se non costrittiva, dei beni, piuttosto che ad un libero processo interiore: libero e perciò morale. Non si riesce a concepire che la matematica distributiva dei beni non approderà mai a nulla – anzi peggiorerà la situazione già esistente – se non ha al centro valori interiori come l’autonomia della iniziativa individuale, il riconoscimento delle specifiche vocazioni spirituali in ogni campo, la coscienza del principio che attraverso il karma e il suo dharma determina per vie intemporali gli accadimenti quotidiani.
Là dove il pensiero muore alla propria corrente di vita, diviene dialettico e cosciente, ma là dove questo pensiero presume dirigere, per esempio, un processo economico, è inevitabile che elimini in esso l’elemento coesivo di vita, ossia la dynamis della circolazione armonica dei beni umani secondo la sua intrinseca necessità: la logica in movimento della loro produzione e conseguente distribuzione viene paralizzata, in quanto meccanizzata.

Massimo Scaligero

da «Vie della Tradizione», VII, 7, 1977.

Immagine: Thanka tibetano che indica nella «Ruota della Vita» la causa
di tutti gli errori dell’uomo e i loro effetti sul suo destino