- Ogni anno,
il Venerdí Santo, celebriamo la morte del Cristo-Gesú, che
è risorto ed è divenuto lo Spirito della Terra, per dare all’uomo
ogni giorno, sino alla fine dei tempi, la forza di compiere un
cammino spirituale di ascesa e di risorgere a sua volta. Ma
coloro che seguono la via del Graal sono chiamati a rivivere
ogni anno in questo giorno, come un rito, il racconto che
Wolfram von Eschenbach fa nel Parzival dell’incontro
fra l’eroe e Trevrizent.
- Il giovane
Parzival, dopo aver conquistato l’amore di Condwiramurs,
regina di Pelrapeire, e averla salvata dall’assedio di un
pretendente sgradito, parte per recarsi dalla madre
Herzeloyde, della quale non ha saputo piú nulla, dal momento
in cui l’ha abbandonata in gran fretta per diventare
cavaliere. Inoltre, vuole conquistarsi gloria, andando
incontro a nuove avventure. Giunge cosí, senza saperlo, al
castello del Graal, dove assiste all’esposizione della Sacra
Pietra e alle sofferenze del re ferito, Anfortas. Memore,
tuttavia, dell’insegnamento ricevuto da Gurnemanz, il suo
maestro di cavalleria, che gli ha raccomandato di astenersi
dalle domande indiscrete, soffoca l’impulso di chiedere ad
Anfortas che cosa lo faccia soffrire. Questa domanda, ma
soprattutto il sentimento di pietà correlato a essa, avrebbe
significato per Anfortas la guarigione e per Parzival l’investitura
di re del Graal. Non ponendola, il giovane eroe perde una
straordinaria occasione, e da quel momento inizia per lui un
lungo periodo di grande dolore, nonostante le vittorie che
ottiene in combattimento. Trascorre del tempo e Parzival non
trova pace: vive la notte dell’anima, una notte senza
stelle, in cui le sue grida di aiuto al Cielo sembrano restare
senza risposta. Cosí il giovane prende a odiare Dio, ma il
mondo spirituale in segreto ne segue il cammino e al momento
opportuno lo conduce all’eremo di Trevrizent.
- È un
Venerdí Santo e Parzival è ormai annichilito dalla
sofferenza, di cui non riesce a vedere la fine. Eppure si
trova nel momento in cui, avendo toccato il fondo, è pronto a
risorgere, anche se non ne è consapevole. Merita ormai di
poter guardare alla propria vita passata e di farne il
bilancio; di capire finalmente in che cosa abbia sbagliato e
perché; di rimediare agli errori e di proseguire il cammino
spirituale.
- Parzival
può fare questo con l’aiuto di Trevrizent, il purissimo
asceta, fratello di sua madre Herzeloyde e di Anfortas. Un
tempo cavaliere, dopo molti combattimenti sostenuti per amore
di donna, egli si era votato a una vita di privazioni e di
preghiera nella foresta per impetrare da Dio la guarigione del
fratello. È per pietà, dunque, che era diventato eremita;
quella pietà che in Parzival, troppo giovane e non ancora
pronto all’alto compito di re del Graal che lo attende, non
era abbastanza forte da indurlo alla domanda, nonostante l’esortazione
di Gurnemanz. E non era forte, perché il giovane eroe non
aveva ancora provato su di sé quanto possa essere grave da
sopportare un dolore senza requie, del corpo o dell’anima.
Il dolore di Anfortas è dell’anima e del corpo, ma
innanzitutto dell’anima, perché ha peccato di superbia,
indulgendo al sentimento della propria potenza. Ed era stata
ancora la superbia a ispirargli l’amore per Orgeluse de
Logroys, una donna non destinata a lui dal mondo spirituale.
- Parzival
comincia a risorgere grazie al colloquio con Trevrizent,
perché a questo venerabile vegliardo, aperto e disponibile
verso gli altri per amore del Cristo, trova la forza di
confessare se stesso, la propria sofferenza e l’odio che
porta a Dio. E Trevrizent, sospirando, gli risponde:
«Signore, se avete senno, dovete confidare in Dio. Egli vi
aiuterà, perché sta a Lui aiutare. …Ditemi con discrezione
e giudizio come ebbe principio la rabbia che vi portò a
odiare Dio. Ma prima di muovergli rimprovero, in nome della
vostra cortesia, ascoltate paziente ch’io vi dica della Sua
innocenza. Il Suo soccorso è sempre pronto. Quantunque io
fossi un laico, potei leggere e anche scrivere di quel che v’è
nel Libro della Verità, come l’uomo debba con reverenza
stare in attesa dell’aiuto possente di Colui che mai si
dispiacque di salvare le anime dalla perdizione. Siate fedele
senza esitazione; Dio stesso è fedeltà fatta persona. …Egli
non può venir meno a fedeltà con nessuno. Ora frenate i
vostri pensieri, guardatevi dal dubitare di Lui. Nulla
otterrete da Lui con la rabbia. Chi sappia del vostro odio
contro di Lui, vi stimerà un dissennato»(1).
- Parzival
confida poi a Trevrizent il duplice tormento che lo consuma: l’aspirazione
al Graal e la lontananza dalla donna amata. Per il secondo l’eremita
lo elogia, perché nobile e degna è la sofferenza che nasce
dall’amore per la propria donna; per il primo invece lo
compiange, perché «nessuno può conquistare il Graal, se non
colui che in Cielo è conosciuto e al Graal predestinato»(2).
- Poi svela
al giovane il mistero del Graal e di coloro che lo
custodiscono a Munsalwaesche. «Oggi – egli prosegue –
scende sopra la pietra un messaggero da cui viene la sua
sublime virtú. Oggi è il Venerdí Santo, il giorno in cui
immancabilmente si aspetta che una colomba si stacchi a volo
dal cielo; e questa reca una piccola ostia bianca e la lascia
sopra la pietra. La colomba è chiarosplendente e subito dopo
fa ritorno al cielo. Cosí, sempre, tutti i Venerdí Santi, la
colomba porta quel che vi ho detto sulla pietra; e questa
riceve la facoltà di dispensare quanto di meglio c’è sulla
terra, tra quante bevande e vivande, intendo, la terra può
produrre: quasi il meglio di paradiso. …La virtú del Graal
provvede di che vivere tutta quella compagnia di cavalieri. Ma
ascoltate come si viene a conoscere il nome dei puri chiamati
al Graal. All’orlo estremo della pietra una scritta in
lettere dice il nome e la stirpe di colui cui tocca fare quel
viaggio fortunato, fanciulla o ragazzo che sia; nessuno poi ha
bisogno di raschiar via la scritta, perché essa scompare da
sé ai suoi occhi»(3).
- Trevrizent
narra, infine, a Parzival che, dopo molte inutili cure tentate
per guarire Anfortas e dopo molte preghiere a Dio, comparve
sulla pietra del Graal una scritta. Annunciava che sarebbe
venuto un cavaliere: se da lui si fosse udita, nel corso della
prima notte, la domanda pietosa, la pena di Anfortas e dei
suoi avrebbe avuto termine; nessuno tuttavia doveva avvertirlo
di quanto si attendeva da lui, altrimenti la domanda non
avrebbe avuto valore e le condizioni del re sarebbero
peggiorate. Dopo questo messaggio, aggiunge Trevrizent, egli
si era ritirato nella foresta, per favorire con la sua
penitenza l’avvento del cavaliere e la sua domanda. In
verità, molto tempo dopo – continua l’eremita – era
giunto un cavaliere al castello del Graal, ma non aveva posto
la domanda, acquistando disonore e perdendo la fortuna di
diventare il nuovo re del Graal.
- Parzival
già sa di questo suo disonore, giacché a svelargliene il
mistero è stata Sigune, sua cugina, perciò, anche se si
riconosce nelle parole di Trevrizent, non ha il coraggio di
confessare la sua colpa. Per poco, tuttavia, perché quando
ricomincia il dialogo, interrotto da un pasto frugale, il
giovane, nonostante il senso di vergogna, non può piú
trattenersi dal rivelare a quel vecchio purissimo e privo di
falsità che è lui il cavaliere tanto a lungo atteso, che ha
deluso le aspettative degli abitanti di Munsalwaesche. A
questo punto non resta ai due che condividere il comune
dolore, finché Trevrizent conforta Parzival, esortandolo a
non indulgere in una sofferenza eccessiva.
- Trascorrono
quindici giorni e il giovane è ormai pronto a riprendere il
cammino, non prima però che l’eremita lo abbia assolto dai
peccati commessi, tra i quali l’aver causato la morte per
dolore della madre Herzeloyde, quando l’ha abbandonata per
farsi cavaliere. La redenzione di Parzival è ormai compiuta,
egli è rinato, il suo cuore si è riconciliato con Dio e con
il proprio destino, perché si è liberato del karma non solo
attraverso la sofferenza, ma soprattutto attraverso la
comprensione di essa e degli eventi drammatici che ha vissuto.
Ormai autocosciente e consapevole del mistero del Graal, può
aspirare a conquistarlo davvero e a ricongiungersi con la
donna fedelmente amata, Condwiramurs.
- Per chi
segua o voglia seguire la via del Graal, la storia di Parzival
è il mito fondante, dal quale attingere ispirazione e farsi
infiammare di entusiasmo per quell’eterno mistero che ci è
stato tramandato nei secoli col nome di “Graal”; è la
stella polare a cui rivolgersi, perché ci guidi nel lungo,
difficile cammino dell’ascesi, e dalla quale attingere nuova
forza, ogni volta che sentiamo di cedere sotto i colpi delle
tribolazioni quotidiane, che vorrebbero imprigionarci entro i
limiti di un’esistenza convenzionale.
- Ma che
senso ha per noi il giovanissimo, immaturo Parzival, che trova
il Graal per perderlo nell’arco di una notte? Egli
rappresenta, in verità, chi aspira dal profondo del cuore a
questo alto mistero cristiano. Certo, un tale amore per il
Graal non nasce dal nulla, è già deposto come un seme nell’anima
dalla nascita, poi capita di sentirne parlare, di leggerne in
un libro… e il seme germoglia, alimentato da un sottile,
gioioso tormento che spinge a cercare di comprendere, a
trovare la via, il cammino, la retta ascesi che conduca a
tanta meta.
- Se l’amore
per il Graal è autentico e forte, si trova la via e si
esulta, nell’illusione che il punto di arrivo sia facilmente
attingibile, vicino, quasi adiacente al punto di partenza. In
verità, essenzialmente è cosí, ma non lo è praticamente.
- Per un
breve tempo, dunque, ci è dato di vivere nell’aura del
Graal, cioè in uno stato di grazia, che tuttavia – ahimè
troppo presto – viene meno, perché non siamo pronti a
vivere con costanza nella condizione interiore richiesta a una
dama o a un cavaliere del Graal. Infatti, nessuno ci toglie la
grazia: la perdiamo, perché nel pensare, nel sentire e nel
volere commettiamo errori, a volte gravi a volte meno, perciò
il mondo spirituale si ritira. E allora sopraggiungono la
delusione e la sofferenza per una meta che appare troppo
difficile da raggiungere; avvertiamo la pesantezza dell’esistere
e la fatica quotidiana dell’ascesi, che talvolta ci sembra
inutile. Ci troviamo nella notte dell’anima e non
comprendiamo che quanto ci capita è necessario per la
redenzione di tutto l’essere, affinché sorga il giorno in
cui il Graal non sia piú una tormentosa aspirazione, ma una
pacifica meta da perseguire con umiltà e tenacia: il resto è
nelle mani, piene di grazia, di Dio.
- Trevrizent,
nella vicenda di Parzival, rappresenta l’inizio di questa
nuova fase, ma vediamo perché.
- Il giovane
eroe incontra due maestri: il primo, Gurnemanz, gli insegna le
regole della cavalleria e le maniere cortesi; il secondo,
Trevrizent, è invece un autentico maestro di saggezza. Come
tale, l’eremita è l’immagine di ciò che Parzival ha già
conquistato interiormente, ma anche di quanto gli resta da
conquistare.
- Possiamo
dire che Trevrizent sia la proiezione dell’Io dell’eroe,
che ha bisogno di “confessare”, di descrivere a se stesso
il proprio passato, per trarne tutti gli insegnamenti utili e
far tesoro delle forze che ha sviluppato per procedere oltre.
Ma quell’“oltre” Parzival lo vede incarnato nell’eremita,
né potrà mai ritrovare il Graal, se non avrà realizzato in
sé la perfetta devozione, l’indefettibile umiltà, l’infinita
dedizione al Graal e a Dio di Trevrizent. Solo allora egli
sarà ciò che dev’essere e potrà svolgere il compito che
gli è stato assegnato dalle Gerarchie e per il quale si è
incarnato sulla Terra.
- Al termine
di questo lungo excursus ritorniamo a ciò che abbiamo
detto all’inizio, a quanto cioè sia dolce e santificante
per l’anima ricordare o rileggere il Venerdí Santo la
confessione da parte di Parzival del proprio dolore, che
riecheggia la sofferenza redentrice del Cristo, le parole di
amorevole rettifica che gli rivolge Trevrizent, la descrizione
delle meraviglie del Graal e soprattutto vivere con
venerazione la discesa della colomba “chiarosplendente”
sulla Sacra Pietra,
per deporvi un’ostia, dalla quale verrà elargita in
abbondanza la grazia, che aiuterà la Terra e l’umanità a
procedere sulla via del bene, nonostante il male che la
opprime.
- Ci sono,
infine, delle frasi nel discorso di Trevrizent che meritano
una particolare contemplazione e vale la pena di imprimere
nell’anima: «Siate fedele senza esitazione, Dio stesso è
fedeltà fatta persona. …Egli non può venir meno a fedeltà
con nessuno».
- Dio
esprime la Sua fedeltà all’uomo, conservandogli il proprio
amore, nonostante tutto; l’uomo è veramente fedele a Dio
quando conquista la fede che nulla può scuotere; quella che
smuove le montagne e ottiene, unita a una perfetta umiltà, il
miracolo; quella che chiede il mondo spirituale per poter
agire efficacemente entro il karma del mondo.