Esercizi

Troppo spesso gli uomini sono un mistero per loro stessi. Moltissimi sono persino inconsapevoli di essere un mistero. Se si chiedesse ad un uomo comune cosa egli sia o cosa accada quando pensa, sente e opera, per quale motivo viva nell’incertezza tra il bene e il male, non soltanto non saprebbe rispondere, ma tali quesiti gli apparirebbero assai stravaganti, se non folli. Eppure, da un osservatorio diverso non appare forse altrettanto folle, insensato, che l’uomo possa attraversare l’esistenza, sopportare una miriadi di vicissitudini, soffrire miserie e umiliazioni, afferrarsi per attimi saltuari a caduchi piaceri, arrancare col pesante fardello del timore e della colpa, senza mai chiedersi il perché di tutto ciò?
Se vedessimo un viaggiatore dibattersi tra continue difficoltà, ingombrato e stanco, e se, domandandogli dove è diretto, ci rispondesse che una simile domanda non gli è mai passata per la mente, penseremmo di aver parlato ad un pazzo.
Dunque la maggior parte degli uomini è preda della follia: compie il proprio unico, vero viaggio (dalla vita alla morte) in simili condizioni, senza chiedersi il perché, oppure una domanda attraversa l’anima di quando in quando, ma viene scacciata perché sembra oziosa e stupida, o perché spaventa.
L’esperienza di sé e del mondo, nel periodo che intercorre tra nascita e morte, insegna all’uomo molte cose: anzitutto a dissipare nei modi peggiori il credito celeste con cui è disceso nella vita.
Nel caos delle piazze o nell’ombra delle biblioteche, irretito e confuso dall’ipnotica danza di Maya-Circe, egli svende l’anelito al puro amore, l’impulso alla verità. Impara a vedere grande e importante l’irreale, mentre il pensiero e lo sguardo scivolano obliqui da ogni palese manifestazione dello Spirito, essendo assente a se stesso quando inciampa nei miracoli che si realizzano ad ogni angolo di strada.
Tra i ricercatori dello Spirito, quanti si accorgono di come sia piú difficile mantenere meraviglia e riconoscenza per i nessi e le trame, per nulla casuali, che permisero di accostare la Scienza dello Spirito, se confrontati con un immancabile dopo di estenuati esercizi e abitudinarie letture?
Perché non contemplare con occhi limpidi il mistero di quella invisibile saggezza che, attraverso i flutti della vita, guida l’uomo al vestibolo dell’insegnamento solare, tracciato nei cieli dall’Antico dei Giorni?
I mondi spirituali sono delimitati da muraglie, senza varchi accessibili. L’uomo, ignorandolo, cammina spiritualmente su percorsi obbligati. Scrive Meyrink: «Ad un tratto si dileguò ogni sfondo [sensibile] e allora, con stupore mi accorsi che in ogni tempo e sempre, nella vita, persino durante i sogni, noi siamo circondati da pareti costituite da masse d’aria azzurro-chiare e piú scure, da mura di qualsiasi forma, senza accorgercene mai». Lo scrittore non aggiunge che tali diafani confini sono invalicabili, non per motivi familiari al mondo sensibile, ma per un impedimento morale, che a tentare di violarli proviamo una sofferenza insostenibile e dobbiamo indietreggiare, finché non si opera una adeguata evoluzione o catarsi delle forze dell’anima.
Il riflesso di questa realtà si traduce, nel mondo sensibile, anche nell’impossibilità di un incontro con determinate correnti spirituali. Questo getta un po’ di luce sulla enigmatica incapacità per tanti ricercatori di avvicinarsi a Rudolf Steiner, che per alcuni “non deve” essere letto, per altri “non può” risultare comprensibile. Le critiche rivolte all’Opera del Dottore non paiono sufficienti: se potessimo avvicinare soltanto chi non viene in alcun modo criticato a ragione o torto, vivremmo la nostra vita nella piú assoluta solitudine umana e conoscitiva. Viceversa, se possiamo accostarci all’insegnamento di Rudolf Steiner e persino, nel divenire, comprenderlo, avviene che negli alti luoghi dello Spirito una porta è stata aperta e noi siamo stati chiamati.
Sarebbe una sana disposizione dell’anima quella di iniziare il cammino sulla via della conoscenza e dei mutamenti interiori non già con straordinari esercizi occulti, ma con l’attivo calore della riconoscenza e della gratitudine. Chi è inerte a queste gemme dell’anima, si accorgerà (forse) con grave ritardo che le discipline sostenute dalla brama di potenza girano poi a vuoto, automatiche come le ruote tibetane di preghiera. L’anima non verrà mai fecondata dalle tensioni personali.
L’indicazione piú sicura che un pensiero sia creativo ed operante nell’interiorità, è che accenda in essa un corrispondente sentimento.
Su questa strada, per indicare una strategia che possa preparare a penetrare la pesante coltre del sonno, non occorre appellarsi a discipline complesse ma piuttosto ad un preciso mutamento di disposizione del sentimento. Non va taciuto che esistono operazioni potenti, quali il rito del sole notturno o la parziale rotazione di alcune forze eteriche nel corpo fisico, ma nessuna di queste è opera d’approccio. Dato per acquisito il punto fermo consistente nella libertà per ognuno di scegliere quello che vuole o non vuole fare, le citate operazioni presuppongono, di fatto, la capacità di attivare definiti stati interiori che per molti ricercatori appartengono a risultati futuri.
In ogni caso e comunque occorre sottolineare che il minimo richiesto sarà una capacità di concentrazione del pensiero che sappia non coinvolgere il corpo sensibile divenendo tensione nervosa e muscolare. Quando si inizia la concentrazione, lo sforzo interiore tende a scadere nel trapezio, nelle braccia e cosí via. Occorre pazienza e disciplina per transitare con esito fausto dallo sforzo alla forza. Per una coscienza realistica e concreta le tensioni possono, anzi devono essere messe nel conto, su di un primo gradino dove tutto è lotta. Ma non possono accompagnare l’asceta sul terreno di un assetto modificato nei momenti in cui l’uomo, per sopravvivere in questo mondo, è obbligato (affidandosi a Potenze universali) a scindere in due parti la propria organizzazione complessiva.
Nella vita comune si osserva che il progressivo aumento della stanchezza stimola il bisogno di riposo e del sonno: questo interviene nel duplice aspetto di fenomeno cosmico e naturale. Ma di solito l’uomo aggiunge a tale processo (che per diversi aspetti potrebbe essere sentito come pervaso da elementi sacri) una caratterizzazione subumana: la voluttà, il piacere di abbandonarsi alla sensazione di deliquio che sembra irradiare magneticamente dalla corporeità.
Appare dunque sensato per colui che coltiva l’ascesi interiore, riportare il fenomeno dell’addormentarsi ad una purità originaria, ossia a coerenza. La sensuale soddisfazione per la coscienza che si spegne è un vizio che va interrotto e cancellato senza (le molte) tesi giustificatorie.
In tale senso la scienza esoterica mette a disposizione diversi metodi. Per chi ha raggiunto una certa pratica nella concentrazione, meditazione e azione pura, può (dovrebbe) essere sufficiente evocare l’attitudine animica che si stabilisce con l’esercizio di queste discipline. È di grande efficacia il compenetrarsi spesso nelle immagini contrapposte di una coscienza diurna oscura e confusa rispetto ad una consapevolezza intensa, luminosa e raggiante che si accende oltre la fascia di silenzio del sonno. Vale anche il disidentificare se stessi dalla corporeità: ci si sente dentro il corpo sensibile ma non si è una sola cosa con lui. Questa affermazione va pensata, sentita e ritmizzata.
Indipendentemente dai supporti usati, quello che conta è il mutamento d’attitudine, che comporta uno sforzo e un innegabile sacrificio dell’abitudine ma non presenta altresí i lineamenti delle imprese eroiche o impossibili.
Il deciso mutamento nei rapporti con la sensazione deve essere seguito da uno speciale sentimento.
Nell’addormentarsi, come nel risveglio, l’uomo è di fronte ad un grande mistero della sua vita: il fatto che ogni giorno si ripeta non deve sminuirlo.
Cosmiche forze cancellano per noi la cacofonia del giorno, spengono la sua falsa e spettrale luce che, sempre riflessa, usurpa e occulta la luce vera. Svanisce la stretta e logorante catena degli avvenimenti. Dilegua il peso della sofferenza e l’irrisolto dissidio tra la vita agognata e la cimiteriale indifferenza della realtà. Cosmiche potenze ci guidano al risveglio in un mondo infinito, tessuto di vita, in cui il nostro essere si espande in luce e armonia contessuta in pienezza di libertà, conoscenza e sacra beatitudine.
Queste o immagini simili vanno accolte nell’anima affinché la loro impressione discenda ed afferri il sentimento. Allora si forma nel cuore, nella breve attesa del sonno, un qualcosa che può essere chiamato un nucleo di pura gratitudine o gioiosa fiducia.
Lasciare che questa incorporea fiammella permanga nella zona del cuore: a differenza dei fuochi impuri, essa non impedirà in alcun modo il distacco naturale.
Alcune modalità di vita favoriscono oppure tentano d’impedire l’instaurarsi delle condizioni descritte. In sintesi gli ostacoli certi sono: la collera, il risentimento, le discussioni serali, l’eccesso di stanchezza che strappa via la coscienza e anche gli spettacoli televisivi seguiti troppo spesso e troppo a lungo (questo è un dato di fatto, poi ognuno faccia i propri esperimenti e si regoli di conseguenza).
Per quanto riguarda le condizioni favorevoli, si sottolinea che, ad eccezione dell’ultimo punto che elencheremo, esse non possiedono contenuti d’interiore valenza, ma servono come serve l’ombrello quando piove per non bagnarsi il vestito, che non ha relazione di sostanza con chi lo indossa.
Alla sera:
1. fare una breve doccia prima di andare a letto, preferibilmente fresca o neutra (asciugare la pelle con tamponature leggere);
2. coricarsi a stomaco vuoto, evitando cioè l’ingestione di cibi almeno due ore prima del sonno;
3. in assenza di patologie alle vertebre cervicali usare un cuscino alto (o due cuscini sovrapposti) per tenere la testa rialzata (massimo 20/25 cm in verticale);
4. a letto abituarsi alla posizione supina o coricata sul fianco. Evitare in assoluto la posizione bocconi;
5. profumare la stanza dedicata al sonno con una leggera fragranza di muschio o di rosa;
6. svegliarsi da sé senza aiuti esterni o meccanici, magari anticipando il tempo di coricarsi (con una certa costanza è possibile predeterminare il risveglio all’ora voluta).
Al mattino:
1. rimanere assolutamente immobili nella posizione in cui ci si ritrova emergendo dal sonno;
2. instaurare immediatamente nella coscienza il Silenzio e mantenerlo, in uno stato di calma attesa per accogliere le impressioni vissute nel sonno che potranno affacciarsi (ricordare che lo sforzo respinge il ricordo).
Questo secondo punto chiede un notevole impegno; dà frutto solo se tra lo stato precedente di sonno e quello successivo di veglia non interviene alcun disturbo: il minimo movimento fisico, come ad esempio aprire gli occhi o un pensiero vagante, opacizza lo specchio della coscienza, che dovrebbe rimanere perfettamente tersa, onde riflettere le estranee e delicate impressioni della coscienza di sonno. Oltre ad accogliere i messaggi della notte, questa disciplina, protratta per almeno cinque minuti, agisce con immediato beneficio sull’intera vita di veglia.
Prima di addormentarsi, mentre il puro sentimento di gioia dimora nel cuore, mantenere (possibilmente) il Silenzio mentre il sonno afferra gambe e braccia. Quando il sonno giunge al cuore cancella lo spazio e la normale coscienza diurna che ad esso si supporta. Se il Silenzio risultasse inizialmente troppo difficile, si pronunci nell’anima un mantra o una breve preghiera che abbia per lo sperimentatore un significato di grande elevazione.
Se il sonno notturno viene interrotto da risvegli, non permettere in tali parentesi alcuna libertà allo “sciame pensante”, riportandosi al Silenzio o dedicandosi ai primi quattordici versetti del vangelo di Giovanni o ancora ad una preghiera familiare, scegliendo comunque ciò che non determina tensioni nella mente e nel corpo.
Quanto è stato scritto venga esaminato e valutato alla stregua di indicazioni di massima, adattabili alle capacità e alle situazioni contingenti dell’operatore. I soli punti fermi rispondono al mutamento di rapporto dell’anima con la corporeità e all’atteggiamento del sentire verso il sonno, i quali con la pratica divengono un unico comportamento dell’anima. Dunque poco d’essenziale, da cui però può dipendere il buon esito di successive e piú impegnative operazioni.
Gli atteggiamenti indicati, se coltivati giornalmente, possono portare svariati frutti: anzitutto un risveglio mattutino alquanto diverso dal solito poiché impregnato di forza animica, poi la sensazione di aver “lavorato” tutta la notte (che non porta stanchezza addizionale ma lievità e rigenerazione). Potranno essere avvertiti dal profondo suggerimenti importanti (che vanno accolti con prudenza e contemplati alla luce del pensiero), come se qualcuno ci avesse insegnato molto durante il sonno. È anche possibile percepire, in una zona non localizzabile tra la coscienza e lo spazio, un inusitato flusso di aria luminosa costituita da sostanza interiore. E altro ancora, secondo disciplina, tipologia e destino di chi sperimenta.
In nature poco inserite nella corporeità ed inclini al sogno, potrebbe manifestarsi una sorta di sbilanciamento a sfavore della desta coscienza sensibile. Questo pericolo viene neutralizzato con la corretta pratica della piú essenziale tra le discipline della Via Solare: la Concentrazione, nella quale germinalmente c’è tutto, dalla salute fisica e animica ai processi iniziatici, non dimenticando però l’abitudine ad una sana dedizione alle esperienze della vita corrente, che non vanno evitate, ma accolte con maggior generosità e attitudine al perdono.
Quello che in fondo conta per il pellegrino della Conoscenza riguardo a una sicura salute interiore che sia inafferrabile ai molti e veri pericoli che abitano i mondi invisibili, è l’atto morale che non porti tanto alla moralità comune quanto al continuo superamento dell’inerzia della materia. L’incessante rigenerazione della volontà pensante di procedere avanti e progredire. La scelta di seguire Ulisse e non i suoi compagni, inclini a retrocedere verso la pace dell’animalità in cui Circe, senza sforzo, li precipita.

Franco Giovi