- Dicembre
è per eccellenza il mese degli auguri: ce li facciamo a
Natale, e poi accomiatandoci dall’anno vecchio e salutando
quello nuovo. La consuetudine rende scontate alcune pratiche
sociali, svuotandole del loro valore intrinseco e collocandole
nel novero delle azioni abitudinarie sempre piú lontane dal
loro significato originale. Perché, dopo tutto, ci auguriamo
pace e prosperità e altre cose buone e belle? Se lo facciamo,
vuol dire che inconsciamente attribuiamo a poche essenziali
frasi e parole di uso corrente, codificate dalla prammatica,
poteri attivi e fattivi, verosimilmente capaci di procurare
alle persone cui gli auguri sono diretti, benessere e gioia,
amore e salute, il meglio insomma per i giorni a venire. Non
semplici sillabe e suoni combinati in un linguaggio d’occasione,
edulcorati e resi gradevoli all’orecchio e alla sfera delle
emotività individuali, bensí locuzioni quasi magiche. Al di
là di ogni stereotipo formale, esse avrebbero quindi il
potere di piegare il tempo futuro al concretarsi della buona
sorte, al suo certo fiorire e fruttificare nella fecondità
morale e materiale. Questo ci attendiamo dalle profferte
augurali. Da un retaggio quasi obsoleto, ogni anno recuperiamo
auspici di durevole fortuna.
- Il termine augúri, con l’accento tonico sulla seconda “u”,
ricorda gli àuguri, i sacerdoti che Numa Pompilio, secondo re
di Roma, grande Iniziato etrusco-sabino, aveva ordinato in un
collegium sacro alle dipendenze del Pontefice massimo. Altri
collegia furono istituiti per le vergini Vestali e per i
Flàmini. Numa portò il rude e bellicoso popolo romano a
vedere il divino e il sacro in ogni elemento della natura, in
tutti i fenomeni terrestri e cosmici, facendo di ciascun
cittadino della nascente Urbe uno ierofante addetto a
celebrare in qualunque atto, domestico o pubblico, un rito
evocante la grande forza che regge l’universo e parla agli
uomini.
- Gli àuguri erano preposti a leggere ed interpretare i vari e
spesso occulti segni attraverso i quali la divinità intendeva
comunicare con gli esseri umani: dal volo degli uccelli ai
fenomeni meteorologici, alle risonanze contenenti dettami e
indicazioni sull’indirizzo da dare alle azioni umane, sia a
quelle quotidiane e insignificanti sia alle piú vaste imprese
che riguardavano tutta la nazione.
- “Prendere gli auspici” era compito dei magistrati. Uno di
essi si recava, insieme all’àugure prescelto, sulla
sommità di un’altura resa idonea in precedenza da una
particolare cerimonia detta inauguratio. Il rituale di
vaticinio avveniva nottetempo, dopo la mezzanotte. A cielo
sgombro e in assenza di vento, l’àugure, copertosi il capo
con un lembo della toga e dopo aver invocato Giove, tracciava
col ricurvo bastone rituale, il lituo, un quadrato immaginario
(templum) tra le stelle e un altro sul terreno, in virtuale
corrispondenza tra di loro. Tutto ciò che da quel momento
attraversava quegli spazi astratti – voli di uccelli,
strisciare, serpeggiare, transitare di animali e rettili,
cosí come suoni e versi che da essi scaturivano, oltre a
fenomeni atmosferici quali tuoni e lampi che vi si osservavano
– veniva sceverato dall’àugure che emetteva il responso.
Erano questi gli auspici evocati, interpretativi, i quesiti
cioè posti dagli uomini alla divinità affinché manifestasse
il suo favore o la sua contrarietà ai progetti e alle azioni
che essi intendevano portare a termine. Vi erano invece gli
auspici oblativi, quelli dati spontaneamente dalla divinità
per mettere in guardia, ammonire, correggere gli uomini,
salvarli da un pericolo.
- E poiché insieme alle entità benigne agivano quelle
malefiche, i Romani provvedevano a rendere innocue queste
ultime con vari ed appropriati scongiuri. Ecco come il poeta
Orazio, accomiatandosi da un’amica, ce ne dà un colorito
scampolo:
- …Io
prudente àugure
- per lei che amo,
- prima che
torni alle morte paludi
- il tristo uccello foriero di piogge
- invocherò con le preghiere il corvo
- divinatore.
- Vivi
felice, o Galatea, dovunque
- tu vada o sia, ma sempre di me memore;
- non ti vietino il viaggio l’errabonda
- cornacchia o il picchio
- che viene
da sinistra…
- Seppure
condizionato da superstizioni e credulità irrazionali, l’uomo
antico in generale, il Romano in particolare, era aperto al
prodigio, disposto in qualunque momento della sua vita ad
aprirsi al divino, instaurando con esso un contatto che in
certe pratiche rituali rasentava la confidenza amicale, una
disinvolta colloquialità. Poi nelle epoche successive
qualcosa incrinò quel rapporto, improntato a un fiducioso
abbandono, prima facendolo scivolare in un freddo e distaccato
gioco delle parti, poi in diffidenza e infine, con la rivolta,
nella negazione della stessa esistenza di un ordine
soprannaturale, agente al di là del mondo fisico, diventato
cosí l’unica realtà vivibile per l’uomo agnostico. Il
quale non si limita ormai piú a negare singolarmente, ma
organizza strategicamente in agguerrite consorterie il suo
scetticismo. Esistono associazioni costituite con l’unico
scopo di provare scientificamente che miracoli e trascendenza
altro non sarebbero che suggestioni individuali o collettive,
quando non vere e proprie truffe. Questi sodalizi tommasei,
vale a dire formati da investigatori che credono soltanto in
ciò che possono vedere e toccare con mano, magari con l’ausilio
di strumenti idonei, si occupano delle Madonne che piangono o
sanguinano, di guarigioni e possessioni diaboliche, di
levitazioni e stimmatizzazioni. Esulano da questo terreno per
cosí dire fideistico, per contestare i cerchi nel grano, gli
avvistamenti di UFO, le pratiche magico-medianiche e
taumaturgiche di maghi, guaritori e fattucchiere. Sotto i
colpi spietati degli esperti che lavorano per smascherare ogni
sorta di impostura attinente al paranormale, cadono fachiri e
rabdomanti, astrologi e millenaristi, contattisti e assistiti
della smorfia partenopea. Per non parlare di esorcisti e
acchiappafantasmi, bersagli prediletti delle loro indagini
spettroscopiche. Analizzano bacchette e pendoli, tavolini a
tre zampe e tarocchi di Marsiglia. Quanto alle medicine
alternative, quali omeopatia, ayurveda, pranoterapia e
magnetismo, stando alle risultanze di questi instancabili e
zelanti detrattori del misterico e del soprannaturale, esse si
pongono alla pari, in termini di mistificazione, con la spada
nella roccia di San Galgano, il sangue liquefatto di San
Gennaro e i voli di San Giuseppe da Copertino, se pure episodi
questi verificatisi in situazioni storicamente documentate e
in presenza di testimoni attendibili.
- Tanta perseveranza inquisitoria però, se da una parte serve a
ripulire l’area del paranormale da finti maghi e guaritori,
il che sarebbe in sé opera meritoria, dall’altra corre il
rischio, nei furori di un’intransigenza torquemadica, di
gettar via il bambino con l’acqua sporca del bagnetto.
Ovverosia, demonizzando e condannando alla proscrizione gli
impostori, far credere che l’intera materia trascendente,
mistica o misterica, insieme a coloro che la praticano con
conoscenza e buona fede, sia una furbesca quanto grossolana
montatura atta ad accalappiare gonzi e procurare facili e
lauti proventi agli imbonitori di vario genere che l’ammanniscono
ai lettori di rotocalchi e agli spettatori televisivi.
- Si verifica invece che l’esasperato scandagliare agisca
spesso da boomerang contro chi ne fa uso indiscriminato. Le
indagini di laboratorio possono rivelarsi un’arma a doppio
taglio. Mentre da una parte, quella ufficiale, si tenta di
provare con ogni mezzo e metodo che la divinità è un ameno
sogno dell’umanità bambina e che il prodigio non esiste,
succede dall’altra che l’occhio critico degli indagatori,
attraverso i cristalli dei piú sofisticati microscopi,
finisce con l’intravedere un versante sconosciuto e allo
stesso tempo strabiliante. Oltre la soglia del possibile
baluginano l’arcano e i lampi dell’inesausta contesa tra
Bene e Male. Si ha ad esempio notizia che alcuni ricercatori
dell’Accademia americana delle Scienze, al termine di test
durati oltre vent’anni, sono giunti alla stupefacente
constatazione che il virus dell’AIDS riesce ad invadere le
cellule mettendo in atto un vero e proprio stratagemma
ingannevole per aggirare le difese del sistema immunitario: si
ammanta con le proteine amiche del sangue e, come Ulisse che
uscí dalla caverna di Polifemo coprendosi di velli, supera il
controllo degli agenti protettivi delle cellule, infettandole.
- Ma ecco che alle bordate subdole del Male risponde il Bene con
le sue strategie. Inviando radiazioni luminose sul ghiaccio e
misurandone successivamente lo spettro di luce emesso,
comparato con soluzioni di due sali, quello di sodio e di
litio, lo scienziato svizzero Rey ha potuto dimostrare la “memoria
idrica” dei liquidi, ossia che l’acqua, al pari di altre
sostanze diluite, conserva il ricordo delle alterazioni cui
viene sottoposta. In tal modo, la diluizione progressiva alla
base della medicina omeopatica trova la giustificazione e l’avallo
della scienza. E se l’acqua conserva nelle sue molecole
memoria delle sue progressive trasformazioni, con la ricerca
al submicroscopio si è potuto accertare che il messaggio
genetico processato con un codice musicale genera catene di
note che si collocano intelligentemente sul pentagramma,
producendo suoni. Susumu Ohno, un ricercatore giapponese, ha
scoperto il principio della Ricorrenza ripetitiva. Su di esso
la natura modula i suoi plagi e le sue reiterazioni di modelli
che variamente si dispongono e interagiscono. Studiando tali
ripetizioni, Ohno è riuscito a ottenere dalla struttura del
DNA una sorta di espressione musicale che lo scienziato ha
potuto fissare in partiture eseguibili. Lavorando a questa
ricerca, lo studioso ha rilevato che il codice genetico, che
rimanda all’I’Ching, è formato da 64 sequenze di sostanze
proteiche e forma un cerchio cosmico perfetto in tutto simile
a un mandala. Allo stesso modo, il nucleo delle cellule rivela
una prodigiosa geometria articolata che va dal DNA, che
presenta un nastro avvolto in un’elice perfetta per sviluppo
e simmetria, alle forme espresse in tetrameri assunte dai
cristalli dei ribosomi, i laboratori della sintesi proteica.
Gli stessi virus elaborano, nella loro intima struttura,
fantastici poliedri rispondenti ai canoni dei solidi
platonici.
- “Ci sono molte piú cose tra cielo e terra di quante noi
umani possiamo immaginare”. Cosí esprimendosi, il poeta
Shakespeare lasciava intendere che quelle cose, prima o poi, l’uomo
le avrebbe dovute scoprire, misurare e comprendere nella loro
valenza soprannaturale. Ciò è solo in parte avvenuto, ma
dovrà proseguire in un avanzare continuo di scoperta in
scoperta. Poiché, quando l’indagine sembra aver finalmente
individuato un punto fermo, un approdo certo e definitivo,
fissato un limite estremo, ecco formularsi l’interrogativo
del quid, del Chi muove l’ingranaggio e fa scoccare la
scintilla ispirativa, e accende le idee, le suggestioni,
quella Forza a monte di ogni cosa, l’inizio del tutto nel
suo eterno ricrearsi. In tale spirito ultimamente la scienza
ufficiale ha cominciato a parlare di forma formante, di aleteia, di soglia dell’inverosimile, lasciando intendere
che le certezze deterministiche di cui si è nutrita finora
presentano crivellature e dubbi, che a ben guardare, la teoria
della cartesiana ghiandola pineale non basta piú a chiarire
i meccanismi del sentire e del pensare umani, che insomma
dietro il velo di Iside una Verità sublime e ineffabile ci
attende.
- Per questo l’uomo saggio, dal suo erratico vagare per le vie
del positivismo razionalistico, uscito dai labirinti della
logica analitica, dalla cerebrale algida speculazione
immaginativa, ritrova il rapporto d’intesa con la divinità
e le sue molteplici emanazioni.
- Alieno
dalle preci vagolavo
- nel mio vano sapere: ora bisogna
- dispiegare le vele del ritorno,
- riprendere le rotte abbandonate.
- Giove padre, che avvampò le nubi
- di rosso fuoco, incita cavalli
- alati per il cielo piú sereno
- e del suo tuono s’agita la terra
- grave di fiumi vagabondi, l’acqua
- dell’Ade, il regno odiato delle ombre,
- il confine d’Atlante. E può scambiare
- gli ultimi e i primi, spegnere la gloria,
- innalzarci alla luce, poiché è Dio.
- In questa
ode oraziana, che fortemente echeggia gli umori della
restaurazione di Augusto, volta soprattutto al riscatto dei
valori morali e devozionali romani dal ginepraio dei sofismi
materialistici epicurei, la suprema divinità pagana si
connota di natura universale e la caduca quanto affollata
cosmogonia degli antichi Dei si offusca nei bagliori
crepuscolari per fare spazio al Sole imperituro, di cui già
si annunciano i piú alti riverberi nelle opere di altri
autori latini, contemporanei di Orazio, massimamente in
Virgilio.
- Cosí come Numa aveva insegnato ai Romani delle origini che la
legge umana al suo apice si raccorda a quella ultraterrena
degli Dei, Augusto volle applicare, in un piú ampio ed
articolato contesto politico e sociale, quella concezione. Il
potere umano è soggetto a disgregarsi se non affonda le sue
radici nella integrità morale e spirituale degli individui
che intende governare e dai quali si aspetta il consenso
spontaneo e non coartato. Il rapporto con la divinità è
pertanto necessario per far sí che questo presupposto si
realizzi al meglio. In mancanza di tale condizione basilare, l’uomo,
privo di ogni aspettativa di redenzione e sublimazione, si
riduce ad essere una creatura selvatica, un individuo
anarchico che ritiene tutto consentito, giacché, annullata la
legge divina, l’unica al di sopra dei tempi e delle parti,
egli agisce nel solo rispetto della legge umana, fallibile e
compromissoria, quando non arbitraria e faziosa. Ne deriva una
società irta di contraddizioni, utilitaristica e cinica, di
cui tutti faranno le spese, sia i promotori di tale
degenerazione sia le vittime. Il rischio che tale deleteria
condizione storica si realizzi era incombente ai tempi di
Orazio, lo era stata in precedenza e molte volte nelle epoche
successive. Lo è nel nostro agitato presente.
- Ma la divinità veglia ovunque e comunque sull’uomo. Allora
come adesso e nel futuro invia doni, ispirazioni, annunci
salvifici, indicibili consolazioni e portentose epifanie.
Pochi anni dopo la composizione dei versi di Orazio sopra
riportati, nasceva a Betlemme Gesú, il Cristo, la rivelazione
dell’immanenza divina nel destino dell’uomo e della
potenzialità umana a divinizzarsi: il miracolo dei miracoli.
- Ogni anno, chi ha certezza di fede, chi nutre convinte
speranze, si augura che quel miracolo promesso all’uomo si
avveri. Ne celebra stupefatto il mistero.