- Il grande dormitorio era scuro e
silenzioso. Il piccolo Marco, abituato a sentirsi intorno i
compagni di collegio, era rimasto solo, perché gli altri
bambini erano tornati a casa per le vacanze di Natale. Lui
una casa non l’aveva piú. Sua madre era morta, e suo
padre, prima di partire per il Belgio, dove andava a
raggiungere un fratello che già vi lavorava, l’aveva
affidato a chi, pensava, avrebbe saputo tirarlo su meglio di
lui. L’anno precedente i suoi zii, per cercare di dargli
un po’ di calore familiare almeno in occasione del Natale,
l’avevano preso con loro, facendogli condividere la camera
dei cuginetti e i doni sotto l’albero. Questa volta però
avevano deciso di trascorrere il periodo di vacanza in
montagna, ed erano partiti senza nemmeno andarlo a salutare,
lasciando al Padre portinaio un pacco per lui, con alcuni
dolcetti, due paia di calzettoni marroni, una maglietta di
lana e un biglietto d’auguri con il disegno di un abete
carico di palline colorate e spruzzato di polverina
argentata a simulare lo scintillio della neve.
- Due giorni erano già trascorsi in
una silenziosa solitudine, rotta solo dai brevi momenti in
cui Padre Raffaele l’aveva accompagnato nel refettorio per
i pasti, o nella grande deserta sala di ricreazione,
lasciandogli come compagni di giochi un pallone e un libro
illustrato con le vite dei santi. Anche quel giorno della
vigilia era terminato, e Marco sperava di essere invitato a
partecipare alla messa cantata che si celebrava alla
mezzanotte. Ma dopo la preghiera della sera, gli era stata
augurata la buona notte con una crocetta tracciata
frettolosamente sulla sua fronte.
- Il sonno tardava a venire, mentre
la porta semiaperta del grande stanzone all’ultimo piano
del severo edificio lasciava filtrare il chiarore della
lontana lampada delle scale, che restava accesa anche di
notte. Quella luce sembrava una promessa di tepore che le
coperte non riuscivano a trasmettere: una luce amica,
riconfortante. Sarebbe stato bello raggiungerla, si disse, e
uscire da quel cupo dormitorio vuoto. S’infilò i
calzettoni nuovi, preparati sulla sedia al fondo del letto
per essere indossati il giorno dopo, e senza le scarpe, che
avrebbero potuto far sentire il rumore dei passi, si diresse
verso la grande scala che s’avvitava in una larga ellisse
per quattro piani. La discese con cautela, sbirciando ogni
tanto dalla ringhiera se c’era qualcuno piú in basso. Ma
tutti dovevano essere dall’altra parte dell’edificio,
presi dai preparativi per la funzione che si sarebbe tenuta
nella cappella dai vetri colorati, che Marco indovinava
piena di luci e di candele accese.
- Giunto in fondo alla scala
imboccò il lungo corridoio fino ad arrivare all’alta
porta a vetri che dava sul giardino. L’aprí con studiata
lentezza, attento a non far rumore. La notte era
insolitamente tiepida e il cielo terso e senza luna faceva
brillare una miriade di stelle. Marco s’incamminò,
affondando i piedi nella ghiaia sottile, verso la discesa
che portava all’orto, delimitato da un’alta siepe di
bosso, oltre la quale si vedeva brillare un grande falò con
alcune persone attorno. Facendo attenzione a non calpestare
le coltivazioni, attraversò l’orto e s’infilò tra i
rami pungenti della fitta siepe, fino a guadagnare lo spazio
aperto.
- Il terreno era in quel punto
polveroso, cosparso a tratti di larghe pietre piatte. Il
fuoco di fascine che prima aveva visto da lontano, s’alzava
alto crepitando e liberando faville tutt’intorno. Marco si
avvicinò, ma non fu notato né salutato dagli uomini, che
continuavano a parlare animatamente tra loro. Non si
riusciva a capire di cosa stessero discutendo.
Improvvisamente uno del gruppo gettò una manciata di terra
sul fuoco, imitato dagli altri. Il falò si spense e tutti
si mossero. Divenuti silenziosi, camminavano decisi, a
larghi passi, e il bambino affrettava i suoi per riuscire a
seguirli. Il cielo riverberava ora una luce rossastra sull’ampia
pianura. Altre figure, provenienti da direzioni diverse, li
raggiungevano. C’erano anche alcune donne, e una di loro,
vedendo la sua difficoltà, gli prese la mano per
sostenerlo. Quella stretta vigorosa e protettiva lo
rassicurava.
- Gli venne d’improvviso in mente
che forse qualcuno sarebbe potuto andare a controllare se
stesse dormendo, ma subito ricacciò indietro quel pensiero,
sicuro che fino alla mattina seguente nessuno si sarebbe
ricordato di lui, che a quel punto si sarebbe già rinfilato
nel letto. La luce ora si era fatta piú viva, e rischiarava
una serie di basse e brulle colline, sui cui fianchi larghe
aperture lasciavano intravedere ampie cavità, utilizzate
forse come ripari di fortuna per gli animali. Davanti a una
di quelle, illuminata all’interno, molta gente sostava.
Quando vi giunsero, la mano che ancora lo sosteneva lo tirò
verso l’interno, illuminato da lampade sospese alle
pareti.
- Marco non osava parlare, ma
sgranò gli occhi a fissare un bambino avvolto in candidi
panni su un lettuccio di paglia, vegliato amorevolmente dai
genitori, che lo mostravano a chi si avvicinava e gli s’inginocchiava
davanti. La madre, con in braccio il pargoletto, gli teneva
delicatamente il capo sollevato. Lo sguardo del bimbo
incontrò quello di Marco e parve sorridergli e indicargli
la donna che ancora lo teneva stretto per mano. Marco alzò
allora gli occhi e riconobbe sua madre, alla quale si serrò
forte, sentendo il calore di quel corpo invadergli il cuore.
Sarebbe voluto restare cosí ancora a lungo, ma lei lo
sollevò da terra, lo strinse a sé e gli disse che ora
dovevano nuovamente separarsi: quello era stato il suo dono
di Natale. Gliene sarebbe rimasto il ricordo per tutta la
vita, insieme alla certezza della presenza di lei al suo
fianco, pronta a sostenerlo nelle difficoltà e a
condividere i suoi momenti di gioia.
- Dopo la mezzanotte, Padre Raffaele
entrò nella camerata e si accostò al bimbo per controllare
se dormiva tranquillo. Alla fioca luce della porta socchiusa
poté scorgere sul visetto, in quei giorni cupo e
rattristato, un sorriso felice. «Buon Natale!», gli
augurò sottovoce.