
- Se ritenete di
avere una vita dura e pericolosa, ricredetevi, annotando le
vicissitudini migratorie del salmone del Pacifico,
appartenente al genere Oncorhyncus. Dalle aree di
riproduzione in acqua dolce, dove è nato, situate a volte
sino a 3.200 chilometri nell’entroterra, a primavera
inizia a migrare verso le zone di pastura in mare aperto.
Dopo aver lasciato i vorticosi torrenti di montagna,
attraversa laghi e distese d’acqua, dighe e bacini idrici,
guidato dalla posizione del Sole, dalla semplice luminosità
polarizzata del cielo, o si ipotizza persino che si serva
degli astri, e soprattutto, in base a recenti scoperte, dell’olfatto:
l’acqua passa attraverso le narici anteriori, solleticando
i nervi olfattivi dai quali partono segnali per il cervello,
e quindi fuoriesce dalle narici posteriori. Tale meccanismo
è stato provato tamponando le narici di alcuni salmoni in
migrazione. I soggetti trattati non riuscivano ad
orientarsi, oppure impiegavano piú tempo per raggiungere la
loro destinazione, o la mancavano per svariate miglia.
Quelli invece non tamponanti, navigavano sicuri verso la
meta designata.

- Uno di questi
salmoni del Pacifico, una femmina, catturata mentre
discendeva verso l’oceano, è stata opportunamente
contrassegnata. Ciò ha permesso di seguirne il percorso
migratorio inverso, quando, diventata adulta, dalla zona di
pastura marina è voluta ritornare nel luogo di acqua dolce
dove era nata. Dall’oceano ha risalito due fiumi,
attraversato un bacino d’acqua quasi in secca, si è
infilata in una condotta fognaria che passava sotto una
superstrada, ha superato poi un canale di scarico dalla
violenta correntía, ha guadato un altro ruscello
semi-asciutto e, dopo aver oltrepassato una tubatura di
acciaio piegata ad angolo retto, è saltata al di là di una
recinzione metallica, tuffandosi finalmente, dopo settimane
di viaggio, nel sospirato laghetto del parco nazionale della
Contea di Humboldt in California. Tutta questa fatica per
deporre le uova, lasciarle fecondare dal maschio, e poi
morire affinché la specie si perpetuasse e il ciclo
migratorio non venisse interrotto.
- Se prodigioso
rimane il meccanismo biologico di cui si serve il salmone
per ritrovare “a naso” l’esatto luogo in cui ha visto
la luce e non un altro, ancor piú avvolta dal mistero
risulta la vita dell’anguilla. Gli antichi, tra cui Plinio
e Aristotele, ritenevano che questa creatura si riproducesse
per generazione spontanea dal fango. Si dovette attendere il
1777 perché uno scienziato italiano, Carlo Mondini,
rilevasse le ghiandole sessuali completamente sviluppate in
un’anguilla femmina, e soltanto nel 1824 fu possibile
riscontrare un esemplare adulto di sesso maschile.
Nonostante tali scoperte, non si era ancora in grado di
stabilire l’origine geografica di questi animali. Finché
nel 1896 due ricercatori, sempre italiani, Giovanni Battista
Grassi e Salvatore Calandruccio, scoprirono che l’anguilla
derivava per metamorfosi da un minuscolo pesce, il Leptocephalus
brevirostris, che costituiva lo stadio larvale dell’anguilla
adulta. Rimaneva comunque oscura la zona di riproduzione. L’incognita
restò insoluta fin quando, nel 1904, l’oceanografo danese
Johannes Schmidt assoldò una schiera di pescatori in vari
paesi costieri dell’Atlantico, in Europa e in America.
Questi operatori, catturandone le larve e misurandone la
lunghezza, permisero a Schmidt di concludere che le piú
piccole si trovavano nel Mar dei Sargassi, deducendone che
quella era la zona originaria di riproduzione. Da quel
punto, le larve si lasciano catturare dalla Corrente del
Golfo e parte migrano verso il Nord America, parte verso l’Europa.
Un viaggio che dura fino a due anni e che permette alle
larve di mutarsi prima in ceche e infine di assumere la
forma adulta definitiva, perfettamente idrodinamica. Con
questa dimensione è loro possibile risalire le forti
correnti dei fiumi e stabilirsi nelle acque dolci, piú
tranquille, dove trascorrono la loro esistenza. Fino a
quando un oscuro segnale le costringe a ripartire per il Mar
dei Sargassi, dove avviene la riproduzione. Anche qui s’incontra
lo stesso mistero da cui deriva la loro capacità di
orientamento, di mimetizzazione con l’ambiente, le
sofisticate strategie di occultamento grazie alle quali
superano enormi distanze evitando predazioni, catture e i
pericoli naturali.
- Mistero nel
mistero, non avendo gli esperti mai rilevato passaggi di
anguille, sia ceche in primavera sia adulte in autunno,
attraverso lo Stretto di Gibilterra, c’è da chiedersi da
dove provengano le colonie autoctone che popolano da sempre
le Valli di Comacchio e il Lago di Bolsena.

- Ma da tutta la
congerie di prodigiose qualità biologiche in dotazione a
queste creature migranti, emerge la precisione balistica che
le guida, facendo loro centrare col massimo scarto di poche
centinaia di metri il traguardo dei loro esodi e ritorni.
Particolarmente baciata da tale virtú migratoria è la
tartaruga franca del Brasile, detta anche testuggine
atlantica. Questa specie elegge le coste brasiliane come
zona di pastura. Sul finire di novembre, branchi composti da
centinaia di questi individui, lasciano i litorali carioca
diretti all’isola dell’Ascensione, posta a mezza via tra
il continente sud-americano e l’Africa: un percorso marino
di ben 1.400 miglia. Al termine dell’ardita navigazione
approderanno a quella terra che consiste in poco piú di uno
scoglio, in pieno Atlantico, avendo una superficie di appena
88 chilometri quadrati. Eppure, è in questo esiguo
territorio che le tartarughe franche del Brasile nidificano
e si riproducono.
- In base a
quali schemi migratori esse riescono a centrare in una tale
vastità marina un’isola tanto minuscola, è un altro dei
misteri che riguardano le migrazioni oceaniche. E perché
poi l’Ascensione e non altre isole tra le due sponde? Gli
esperti tentano ipotesi di vario genere per spiegare questi
enigmi. Parlano di deriva dei continenti, di sensibilità di
queste longeve creature al campo magnetico terrestre e alla
forza cosiddetta di Coriolis, un’energia dinamica prodotta
dalla rotazione terrestre che aggiusterebbe con colpi di
assestamento il procedere delle colonne di testuggini in
navigazione, mantenendole sempre aderenti al percorso
migratorio ereditato attraverso la memoria atavica della
specie. La stessa che fa ritornare i salmoni e le anguille
nei luoghi originari di nascita.
- E noi umani,
quale misterioso congegno ci muove e guida lungo il
tormentato percorso karmico, da un giorno all’altro, da
una vita a quella successiva? Anche in noi forte risuona il
richiamo di quel punto da cui tutto ebbe origine e al quale
aneliamo, spesso ignorandolo. Eppure, nonostante la fatica e
il rischio, a dispetto delle tante e varie insidie, le reti
e i vortici che tentano di ostacolarci e persino
annientarci, dovremo saltare in quella dimensione primigenia
da cui siamo partiti, e perderci nella sua infinita
radianza.
Ovidio Tufelli
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