- L’antagonismo
Michelangelo-Bramante animò la temperie artistica del
Rinascimento a Roma, ma non ebbe la mordace veemenza che
caratterizzò il confronto dei due protagonisti del Barocco
nell’Urbe: Bernini e Borromini. Quanto fosse patente e
accesa la disputa fra i due sommi artisti, lo si può
cogliere nei segni lasciati in alcuni tra i monumenti piú
visitati della città eterna. A Piazza Navona, la contesa
per accaparrarsi le commesse papali fu particolarmente
aspra. Incaricato di abbozzare un disegno per la Fontana dei
Quattro Fiumi, il
Borromini si vide bocciare il
progetto per le brighe del suo avversario
che ottenne la
realizzazione dell’opera.
Il Borromini si rifece costruendo, proprio di fronte alla
fontana, la chiesa di Sant’Agnese, ma non poté evitare
che il Bernini, conoscendo in anticipo tempi e modi dei
lavori progettati dalla Curia, scolpisse la statua di uno
dei quattro fiumi, quello che rappresenta il Rio della
Plata, con un braccio alzato come se volesse ripararsi dal
crollo imminente della chiesa che il rivale si accingeva a
costruire. E sembra che anche l’altro fiume, il Nilo, con
un vistoso drappo sugli occhi, non tanto volesse significare
che le sue sorgenti erano a quel tempo ancora sconosciute,
quanto mostrare in modo plateale di voler distogliere lo
sguardo da una cosí mediocre realizzazione architettonica.


- A
tali provocazioni, rispose il Borromini, collocando su uno
dei pinnacoli di Sant’Agnese la statua della santa martire
nell’atto di farsi garante per la sicurezza del sacro
edificio, ponendosi la mano destra sul petto. Incerti i
motivi che alimentavano una cosí illustre quanto accesa
diatriba, tutti forse riconducibili ad un’unica radice: la
diversa formazione didattica dei due personaggi, oltre che
dalla qualità del loro talento, volto alla scultura il
Bernini, all’architettura il Borromini, anche se il primo
molto s’industriò per occuparsi, e anche proficuamente,
di opere architettoniche rimaste celebri, come il colonnato
di San Pietro e Sant’Andrea al Quirinale. Il Borromini in
materia di costruzioni, e di questo menava vanto, aveva
fatto la gavetta, essendo stato apprendista dell’Arte
Regale e della grammatica degli ordini, lavorando ancora
ragazzo, da tagliapietre, alla fabbrica del Duomo di Milano.
Fu lí che, appena quattordicenne, aveva ricevuto da suo
padre Domenico il “grembiule di Muratore”. Squadrando e
sezionando la pietra, in quel cantiere dove si operava
ancora secondo i canoni gotici, il giovane Francesco aveva
appreso il simbolismo delle forme geometriche e a saper
leggerne il significato in base ai numeri, come insegnava la
dottrina pitagorica. E sempre a Milano, insieme ai dettami
segreti della sapienza costruttiva, aveva familiarizzato con
le leggi di analogia tra macrocosmo e microcosmo. Quando
giunse a Roma, poco piú che adolescente, richiamato dal
Maderno, suo lontano parente e ticinese come lui, in
qualità di assistente alla fabbrica di San Pietro e a
Palazzo Barberini, il giovane scalpellino respirò gli umori
neoplatonici e copernicani che Giordano Bruno aveva
suscitato e diffuso nelle menti fervide dei cercatori di
verità nuove o antiche quanto il mondo, ma ripudiate per
secoli.
- I
costruttori medioevali di cattedrali sapevano che il
cerchio, il triangolo, il quadrato non rappresentano
soltanto motivi geometrici, utili a costruire forme
materiali, bensí adombrano il mistero infinito del cosmo,
echeggiando simmetrie ascose e imperiture. Erano elementi
della divinità invisibile che si manifestava nell’ordine
immanente e parlava agli uomini. Con essi il giovane
architetto costruiva immagini, simboli, segni e caratteri,
adoperandoli come segnavia per oltrepassare il confine tra
naturale e soprannaturale, tra materiale e metafisico.
Questo egli sapeva e il suo rivale ignorava, e tale era la
radice del loro dissenso. Al Bernini egli rimproverava l’incapacità
di considerare l’arte non semplicemente quale artificio
visivo e decoro scenografico, bensí quale veicolo in grado
di condurre l’uomo al Tempio della perfetta armonia. Era
la piena consapevolezza della partecipazione dell’uomo al
divino, essendo Dio presente in tutte le cose come «anima
delle anime, vita delle vite, essenza delle essenze»,
secondo quanto aveva predicato Giordano Bruno. E ogni uomo
era fabbro, muratore e carpentiere chiamato a tirare su il
Tempio invisibile che quelle forze racchiudesse nelle sue
forme.
- In
merito all’uomo impegnato a costruire il Tempio
spirituale, cosí si esprime Rudolf Steiner: «Comprendiamo
la teosofia soltanto considerandola un testamento di quanto
era indicato nel tempio di Salomone e di quanto ci si debba
attendere e preparare per l’avvenire. Noi dobbiamo
preparare il nuovo patto al posto del vecchio che era quello
del Dio creatore, quando l’elemento divino costruiva il
tempio dell’uomo. Si ha il nuovo patto quando l’uomo
stesso avvolge l’elemento divino col tempio della
saggezza, quando lo ricrea, affinché l’Io trovi un
rifugio sulla terra, fino a quando risorgerà liberato dalla
materia. I simboli sono molto profondi, e questa era l’educazione
che i Templari intendevano dare all’umanità. I Rosacroce
altro non sono che i continuatori dei Templari e null’altro
vogliono se non quanto volevano i Cavalieri del Tempio e
quanto vuole anche la teosofia: lavorare tutti al grande
tempio dell’umanità(1)».
- L’occasione
per mettere in concreto i segreti dell’Arte Regale
tramandati per via iniziatica, si presentò al Borromini
quando nel 1634 gli fu commissionato dai Padri Trinitari
spagnoli, detti anche del Riscatto, di erigere una chiesa
dedicata alla Trinità e a San Carlo Borromeo, da poco
canonizzato. I Padri Trinitari spagnoli costituivano un’emanazione
dell’Ordine del Tempio, o secondo altre versioni degli
Ospedalieri di San Giovanni. Da ben quattro secoli, all’epoca
del Borromini, si occupavano di riscattare i cristiani dalle
mani dei Turchi. Da questa loro pietosa e rischiosa
incombenza traevano il nome. Essi trovarono nell’artista
incaricato di erigere il loro tempio a Roma non solo un
esperto in tecniche muratorie e architettoniche, ma un
depositario fervoroso di concetti cosmogonici d’insospettata
valenza speculativa. Meravigliati, lo sentivano discorrere
dell’immagine cosmica del Verbo, assimilato per la sua
radiante potenza al Sole, e definire il cerchio non mera
forma geometrica bensí compiuto simbolo dell’infinito,
dell’ouroburo, il mitico serpente che si morde la coda. Ma
in definitiva era, il loro, uno stupore piuttosto dovuto al
fatto che riscontravano tanta sottile dottrina esoterica e
cosí raffinata conoscenza teologica in un uomo dedito in
definitiva a un mestiere pragmatico e razionale. Poiché
nella sostanza essi stessi, nel pluriennale contatto con il
crogiolo di razze, religioni e tradizioni magico-misteriche
che era Gerusalemme e tutta la regione mediorientale in cui
si era svolta l’epica non sempre esaltante delle Crociate,
avevano mutuato da quel magma in perenne fermento un corredo
simbolico che avevano fatto proprio. Da tale patrimonio, ad
esempio, derivava la croce che essi avevano giustapposta
alla tonaca, espressa da una fascia verticale rossa
sopravanzante la banda orizzontale di colore blu turchino,
nella simbologia cristiana il figlio e lo Spirito, l’umano
e il divino, la terra e il Cielo.

- Per
Borromini le due coordinate rappresentavano, sí, i valori
intesi dai Padri Trinitari, ma nel linguaggio corporativo
appreso dal padre erano anche le due colonne del Tempio di
Gerusalemme, quella femminile Bohaz, blu, e l’altra, la
maschile, Jakhin, rossa, le forze portanti dell’opera che
Hiram aveva costruito per Salomone.
- Il
rapporto che il Borromini ebbe con i Padri del Riscatto fu a
tal punto fervido e proficuo di scambi intellettuali e
religiosi da meritargli l’ingresso nell’Ordine, quale
membro laico privilegiato. Chi visita San Carlino può
ammirare nella sagrestia, minuscola per cubatura geometrica
ma, al pari della chiesa, sconfinata nella sua resa
tridimensionale, il ritratto dell’artista che mostra ben
evidente sulla giubba la croce trinitaria.
- In
San Carlino alle Quattro Fontane, Borromini edificò
sviluppando il concetto del Trino, procedendo secondo i
canoni pitagorici, per giungere, dopo un gioco di forme
geometriche in cui triangolo cerchio e ovale si
armonizzavano e interagivano, al numero Quattro, la croce,
che è Trinità e Uno insieme nella simbologia cosmogonica.
Il metodo di triangolazione adoperato per realizzare l’alzato
discendeva dai pitagorici, che l’avevano trasmesso ai Collegia
fabrorum romani e da questi ai maestri comacini.
- Il
complesso architettonico terminava con la cupola. Qui, in
una geniale cassonatura che riceveva luce naturale dalla
lanterna, Borromini aveva alternato il mistico Ottagono,
simbolo del Padre, alla Croce del Figlio, mediati dall’Esagono,
per indicare lo Spirito Santo.
- Secondo
la sua idea, l’invenzione costruttiva non anticipa l’atto
esecutivo, ma si sviluppa e si compie attraverso l’attuazione
stessa dell’opera, nella quale ogni elemento, anche la
decorazione, è funzionale al progetto esoterico da
realizzare. Per cui, parlando di emblematica vegetale, egli
si riferiva ai significati simbolici di fiori, frutti e
tralci: il girasole, ad esempio, rappresenta la nobiltà
dell’animo solare, come l’alloro e la palma sono l’eroismo
e la gloria del martirio, mentre la rosa indica la fugacità
della bellezza e dei beni terreni.
- In
Sant’Ivo alla Sapienza, edificato nel 1642 sull’antica Domus
Sapientiae, l’Università di Roma attiva in quella
sede dal 1400 ai 1935, Borromini si prefisse un traguardo
piú ambizioso: rappresentare la perfezione divina e la sua
ineffabile essenza. Scelse per questo, nel disegnare la
pianta, come simbolo guida il Sigillo di Salomone, partendo
dalla sovrapposizione dei triangoli rovesciati indicanti la
alternanza cosmica di fuoco e acqua, buio e luce, maschile e
femminile, caldo e freddo. L’alzato di questo tempio
montava a spirale verso la cupola, di forma inedita e
stupefacente, con le membrature divise in sei spicchi capaci
di assorbire piú spinte della forma circolare. Borromini
disse d’essersi ispirato alla conchiglia “nautilus”,
alla sua particolare struttura a spirale tridimensionale,
generata da un punto rotante intorno a un raggio.
- Simbolo
tra i piú antichi, la Spirale indica il cammino in ascesa,
tormentato ma inarrestabile, che lo Spirito umano compie per
congiungersi allo splendore celeste: dalla terra alle
stelle, dalla maya materica alla realtà divina.