Esercizi

La ricerca di scorciatoie segrete sulla Via della Reintegrazione cosciente al Mondo spirituale porta immancabilmente a profonde delusioni. Le astute strategie intellettuali prima o poi si pagano: con la sconfitta ed il vuoto.
Invero la scorciatoia c’è già, chiara e palese, ed è stata luminosamente indicata in Opere quali La Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner o Il Trattato del Pensiero Vivente di Massimo Scaligero: risalire dalla mediazione (pensiero) al suo immediato originario. Peccato che l’impresa piú diretta, indicata in questi testi, venga dai molti evitata con il continuo aiuto delle rappresentazioni suggerite dalla natura dei pensati.
Chi tenta invece, per estrema coerenza logica o per intensa fedeltà, la Via del Pensiero, non trova in nessuna fase di quel processo scorciatoie mitiche o compromessi. L’insistenza nella disciplina, voluta giorno dopo giorno per decenni o per tutta la vita, magari apparentemente evidenziata soltanto dall’insuccesso, è già presenza dello Spirito, è trasformazione profondissima che non si cancella mai piú ma anzi prosegue con forza di destino per tutto l’avvenire dell’anima.
Coesistono alla Via del Pensiero svariate tecniche, rispondenti ad esigenze individuali e generali, che sollecitano la purificazione, la liberazione ed il rafforzamento nella direzione iniziatica delle potenze dell’anima. Mai sostituendosi al canone aureo, all’essenziale ascesi che porta il pensiero morto a rinascere come Cosmica Volontà.
Stiamo parlando di sane e potenti pratiche esoteriche come ad esempio i cinque ausiliari, l’ottuplice sentiero modificato, le virtú dei mesi ecc.
Anche nella stravagante galassia dell’occultismo tradizionale possiamo rintracciare alcune discipline che non appartennero a nessun Ordine specifico; nelle correnti occulte attive tra l’Ottocento ed il Novecento si trova veramente di tutto: esercizi inutili, fuori tempo o dannosi, ma anche qualcosa di buono che funziona davvero.
Dagli insegnamenti che forse non andrebbero dimenticati, esporremo brevemente alcune discipline che ancor oggi possono venire esercitate dal ricercatore dotato di autonomia di giudizio, in alcuni momenti della vita e che di solito producono in breve tempo i risultati per i quali furono comunicate.
Non è raro sentirsi interiormente indeboliti, svuotati al punto che persino la Concentrazione risulta simile ad un involucro vuoto dal principio alla fine.
Di solito questa condizione di abulia animica passa col tempo.
È possibile intervenire subito e capovolgere la situazione.
Parliamo troppo. Dalla nostra bocca escono giornalmente fiumi e mari di parole inutili, insignificanti o sciocche, di certo superflue. Questa pessima ma naturale abitudine corrisponde occultamente ad una sorta di dissanguamento progressivo. Sentirsi poi esauriti è il meno che ci possa succedere.
Per quanto possibile, non parlare. Se interpellati, rispondere alla domanda proibendosi con lucido rigore qualsiasi altra parola che sia espressione di una nostra iniziativa. Dire solo ciò che è necessario. Se la nostra opinione viene richiesta, esprimere parcamente solo ciò che ha valore.
La pratica di questa disciplina che verrà svolta durante il giorno per il tempo corrispondente alla durata della voluta consapevolezza dell’esercizio, ci restituirà in cambio di ogni parola futile non detta una corrispettiva quantità di energia interiore. In poco tempo si diventa accumulatori viventi di forza, si sente come l’interiorità va saturandosi sino a determinare speciali sentimenti di raccolta potenza. Vi sono persone che con questo esercizio hanno cancellato condizioni somatizzate di ansia e nervosismo.
Se le vicende della vita hanno preparato per noi un duro lavoro fisico o un estenuante lavoro d’ufficio di carattere ripetitivo, al termine della giornata la stanchezza fisica o la risonanza nervosa eccedente non lasciano in molti casi spazio per una vivace attività animica e per rinnovati slanci interiori, ma piuttosto ci trascinano in una sorta di intorpidimento.
È possibile limitare di molto la stanchezza procurataci dalla fatica fisica e mentale in eccesso, liberandosi dal corpo o liberando il corpo dalla psiche.
Si inizi l’esercizio in ore libere, durante brevi passeggiate in luoghi tranquilli e deserti.
Immaginarsi di guardare il proprio corpo da dietro, mezzo metro al di sopra della testa e ad una distanza di circa due metri. Portarsi immaginativamente in quel punto cercando successivamente di vedere il proprio corpo che continua a camminare con spontaneità.
Esercitarsi all’inizio due o tre volte per pochi minuti. Dopo alcuni giorni di pratica esercitarsi piú a lungo e in condizioni diverse: ad esempio su una strada affollata o seduti in poltrona. Quando la pratica è divenuta familiare la si esegua sul posto di lavoro (il lavoro deve avere le caratteristiche dell’automatismo. Non fare assolutamente esperimenti di distacco dal corpo stando alla guida di automezzi o in genere di mezzi meccanici). Se il lavoro non è automatico, la disciplina potrà venire soddisfatta nelle piccole pause tra attività diverse.
I momenti anche brevi di realizzazione dell’esercizio permettono al corpo di attingere alla sua profonda forza e saggezza mentre lo sperimentatore potrà avvertire un rigenerante senso di liberazione all’interno di sé (corpo sottile). L’esercizio si rivela utile anche nella seconda metà della vita, quando l’entità animica sprofonda nella sensazione corporea oltre il necessario. Secondo alcuni, questa disciplina favorisce al termine dei nostri giorni terreni un piú facile e sereno distacco.
Nella vita di tutti i giorni si rimane spesso interdetti davanti alle occasioni di scelta offerte dalla simultanea possibilità di agire verso due diverse mete che magari paiono di equivalente importanza. Entriamo allora nell’incertezza, non sappiamo cosa scegliere. A questo punto permettiamo che dal subcosciente salgano nella coscienza alcune rappresentazioni di cui le piú attraenti possano proporsi come motivi, trascinandoci verso una delle due azioni possibili.
Possiamo interrompere questa passiva abitudine dell’anima, la nefasta incertezza, rafforzare la volontà cosciente ed apprendere alcuni aspetti occulti del nostro essere con un semplicissimo esercizio.
Rifiutare ogni decisione suggerita dalle zone passive e oscure dell’anima, affidare la scelta dell’agire all’indicazione esterna che ci procureremo attribuendo ad ogni azione una faccia di una moneta che lanciata in aria e lasciata cadere indicherà con la superficie visibile l’atto da compiere. Proprio il vecchio “testa o croce”.
In genere siamo molto orgogliosi (specie se occultisti) e perciò ubbidire all’indicazione casuale della faccia visibile della moneta può diventare un atto alquanto sofferto.
Si adempia a ciò che dall’esterno della nostra anima è stato stabilito.
Lo sperimentatore si accorge subito di come sia stata illusoria la sua precedente equanimità o indifferenza. Nella possibile scelta tra due azioni diverse e se attua il silenzio interiore può avvertire, nell’ubbidire all’indicazione della moneta, come un elemento animico urti da dentro contro i confini del corpo che sta realizzando l’azione non dettata da rappresentazioni interiori: è la prima esperienza dell’“uomo lunare”, assolutamente celato alla coscienza diurna.
E se, dopo aver accettato la prova insita in questo piccolo esercizio, un battaglione di ragionevolissimi pensieri indurranno qualcuno a fare esattamente l’opposto, questo qualcuno almeno sospetti di venire mosso all’azione da fili sconosciuti e invisibili piuttosto che dal proprio Principio Cosciente.
Gli esercizi esposti non possono e non devono sostituirsi alla Concentrazione, alla Meditazione o ad altre “pietre d’angolo”, essendo utilizzabili in aggiunta, in taluni momenti e per brevi periodi.
Vanno però capiti bene, in concreto, poiché possiedono alcuni aspetti che le brevi esposizioni non hanno approfondito, comunque non meritando di diventare oggetto di occasionale curiosità.
Possiamo testimoniare la loro efficacia solo nel caso in cui l’esecuzione sia frutto di ferma decisione che non patteggi rarefazioni ma si attenga strettamente a quanto suggerito. Il buon fine degli esercizi comunicati è fortemente condizionato a quanta coscienza viene immessa nell’operazione. Facciamo un esempio: nel “non parlare” devo essere consapevole della singola parola che trattengo, devo sentire come la volontà arresta quanto stava per sfuggirmi; solo con tale premessa attiva l’esecuzione dell’esercizio porta subito a notevoli risultati.
Gli esercizi, tutti gli esercizi, anche i fondamentali, dovrebbero venire svolti su uno sfondo di alto tenore dell’anima, come atti di un forte bisogno della volontà e del cuore di ritrovare il Logos che dia, in ogni attimo della nostra vita, il senso di averla, una vita.
Una vita reale, non la vita pensata ovvero l’eco di una vita a cui si anela perché sempre perduta. Una vita inesauribile, per adempiere come uomini ai nostri infiniti compiti.

Franco Giovi

Immagine: Moneta aurea di Tiberio III, Impero bizantino, Costantinopoli 698-705 d.C.