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- L’entità
umana, come essere che sente, quando
accoglie ciò che per l’anima sorge
quale esperienza di delusione o tragedia,
sperimenta di solito una forza
particolare, molto temuta, ma in sostanza
redentrice, che è la sofferenza, il
dolore. Il dolore dissuggella nell’anima
il varco a quanto viene urgentemente
richiesto dall’Io, dallo Spirito,
affinché l’uomo non si guasti per il
suo divenire.
- Il
dolore profondo agisce su di noi in quanto
incapaci di raggiungere il livello
richiesto dal mondo spirituale, e perciò
esso ci afferra con forza, continuità ed
impersonale saggezza corrispondente ad un
alto grado di Concentrazione, non ancora
raggiunto dalla coscienza.
- Il
suo compito è disincantare il corpo delle
forze plasmatrici dalla soverchiante
invasione della brama per l’apparire del
mondo fisico e della voluttà vitalistica
su cui poggiamo la coscienza anche quando
crediamo di orientarci verso lo Spirito.
Perciò il dolore non è il male ma,
similmente alla febbre corporea, è l’esperienza
dell’attività delle forze della
guarigione.
- L’occultista
non oppone resistenza al dolore, il cui
carattere ci indica anche la piú
opportuna direzione operativa: quella di
non opporsi alla sua devastante azione, ma
anzi di affidarsi alla sua forza, come ad
esempio nel tuffarsi ci si affida per un
momento all’ignota potenza delle
forze esterne, quelle che tengono insieme
il mondo. È però essenziale, come
ricorda Massimo Scaligero, separare la
nuda percezione del dolore dal sentimento
di insofferenza e ribellione con cui il
dolore viene associato dall’ordinario
soggetto.
- Gli
operatori che possiedono familiarità con
le discipline interiori ed una rafforzata
autonomia di coscienza, comprendono piú
facilmente quanto è stato brevemente
indicato e riescono ad attuarlo con poca
difficoltà. Ma in tutti i casi non c’è
sconto. Poiché, se un lampo di superiore
consapevolezza illumina l’intera scena,
possiamo comprendere che si vuole da noi
una sorta di severo impoverimento della
brama di vita, cosa che può privarci non
solo di alcuni consueti fondamenti, ma
persino di aspetti di forza interiore che
abitualmente consideriamo leciti per la
pratica della Concentrazione o del
Meditare.
- Oltre
alle grandi sofferenze (che ci scuotono
per tempi limitati), dimorano in noi
dolori lievi, malesseri sottili,
inafferrabili come moscerini epperò
esercitanti sull’anima una coercizione
tanto poco avvertita quanto assoluta, che
possiamo indicare con il vago ed impreciso
termine di stati d’animo abituali.
Questi non posseggono in genere un
carattere delineato e preciso: affiorano
con il sapore di una leggera e diffusa
angoscia o con l’impressione di un
continuo stato di fatica interiore, oppure
è una continua e vaga ansietà che
giustifichiamo chiamando in causa la
miriade di contrarietà giornaliere e
altro ancora (naturalmente gli stati d’animo
possono essere anche di segno opposto agli
esempi suggeriti, ma il modo del loro
rapporto con l’anima, futile e
dominante, è il medesimo). In verità, lo
stato d’animo è un parassita dell’anima,
un nemico che non si svela facilmente. Non
è il dardo feroce che ci colpisce, ma
piuttosto la soma che l’asino sopporta d’abitudine
sulla groppa per inconscio
condizionamento. Àltera e ottunde la vita
dell’anima ed ogni trasparenza nella
relazione col mondo. Distorce e corrompe
la creativa vicenda del sentire rettamente
prodotto dal percorso del pensiero nell’esercizio
dello studio della Scienza dello Spirito.
- Certamente
la diretta e ferrea via della
Concentrazione e delle Azioni pure, in
quanto operazione svincolata dalla psiche,
porta a momenti di soluzione, ma in genere
la sua eccezionalità non basta per sanare
durevolmente l’ampio mondo interiore che
andrebbe subordinato alle forze dell’Io.
Il livello apicale della coscienza
meditante e quello dell’ordinarietà
fisico-sensibile sono due gradini di
coscienza diversi e vanno tenuti separati.
Questo fatto indica il bisogno di un
operare paziente e prolungato, seppur
progressivo, che mantiene per molto tempo
tra “l’alto” e “il basso” una
sorta di non-relazione, ovvero un infelice
divario tra l’uomo e l’asceta.
Perciò, se appare necessario dominare e
trasformare per tempo le forze animiche
piú squilibrate, dovrebbe valere un’analoga
urgenza per il carattere falsante e
costrittivo costituito dagli stati d’animo
consolidati.
- Lo
stato d’animo ha di solito un’origine
fisica. Gli spiritualisti accolgono solo
in astratto questa verità, non l’accettano
di buon grado, preferendo credere che
quanto sale alla coscienza dall’interno
sia sempre e solo progenie di piú intime
profondità animiche.
- Eppure
un pessimismo universale può essere l’effetto
di un cronico disagio epatobiliare, e la
frustrante sensazione di un tempo troppo
veloce in relazione agli impegni (l’angina
temporis del Burckhardt) è in molti
casi attribuibile a un’attività
eccessiva del sistema nervoso centrale. Un
facile esempio di cattivo umore è dato
dagli individui a metabolismo veloce e
dagli sportivi, molti dei quali conoscono
assai bene gli effetti psichici
conseguenti ad un basso indice glicemico.
Perciò in alcuni casi i consigli di un
medico o terapeuta sagace ed alcune
modifiche al quotidiano sistema di vita
possono produrre “miracoli”. Una
obiettiva consapevolezza delle connessioni
con il proprio corpo fisico, che dovrebbe
venir amministrato e non maltrattato, può
aiutare l’esoterista, almeno finché
respira e cammina su questa terra.
Comunque le alterazioni parassitarie,
interiormente evolvendosi, diventano
abitatrici stabili dell’anima, ed è ad
essa che poi attingono per mantenere vita
e autonomia.
- Se
lo stato d’animo è perdurante, il
rimedio regio consiste in una superiore
attivazione della forza che domina dal
cosmo e nell’organismo il sistema
metabolico. Nei termini piú elementari,
un’attività fisico-motoria semplice
come la passeggiata, abitudine lodata
anche da Goethe, acuto sperimentatore
degli equilibri tra anima e corpo, può
essere l’inizio di una sana terapia.
Passeggiare non significa trascinarsi a
caso attenendosi al minimo di economia
vitale, ma camminare per davvero con un
leggero livello di sforzo per un tempo
individualmente sufficiente. Camminando,
possiamo realizzare immaginativamente l’indipendenza
degli arti inferiori dal tronco: l’ordinario
sentimento, sempre invasivo per l’anima,
sente questo, quello e altro ancora, le
gambe no! Esse attuano già nell’ordinario
quello stato di impersonale potenza
raggiunto da pochissimi nella
Concentrazione. Come è stato detto in
altre note, mentre si cammina è possibile
disabituarsi al malvezzo del pensiero
ruminante, imparando invece, con quieta e
paziente determinazione, ad osservare con
cura qualche particolare delle tante cose
che stanno fuori di noi. L’apparente
modestia di questa disciplina può non
offrire una chiara comprensione del suo
grande valore per un’ascesi
contemporanea.
- A
chi possegga una certa familiarità con la
Concentrazione interiore, è possibile
indicare, tra i tanti, alcuni esercizi
fondamentali che accanto alla disciplina
della Concentrazione, tendono all’animazione
diretta del Volere estracorporeo.
Immaginazione
della volontà motoria: nella positura
piú favorevole all’esercizio (supini,
con il capo ben rialzato), immaginare se
stessi (vedere se stessi) nell’atto di
camminare o correre, prestando particolare
attenzione all’immagine, piú naturale
possibile, del moto delle gambe. Va
sottolineato che la volontà viene
chiamata in causa indirettamente, poiché
questo deve rimanere un esercizio del
Pensiero, senza la minima inferenza con
sensazioni derivate dagli arti fisici. In
quanto esercizio immaginativo, non viene
usato alcun pensiero discorsivo o
sub-vocalico, ma nemmeno singole immagini
statiche. Come avviene nella realtà
sensibile, si tratta di una continuata,
fluida processione di movimenti, nel caso
specifico animati dall’attività
pensante dell’operatore. Nella vita
ordinaria il sentire sconfina di continuo
sia in alto che in basso: è una
condizione irregolare ma comune a cui
siamo abituati. Con l’esercizio della
volontà motoria succede qualcosa di molto
diverso: il volere, come soffio dello
Spirito, come tersità possente e
svincolante, attraversa d’autorità
anima e corpo, libera l’anima dal peso
del corpo e libera il corpo dal peso dell’anima,
rendendoci trasparenti e inafferrabili dal
corpo e dall’anima. Come narra Massimo
Scaligero a pagina 27 del suo libro Dallo
Yoga alla Rosacroce circa una sua
giovanile esperienza, potremmo persino
sollevarci da terra, non costretti dalla
gravità ma connessi con la trasparenza
del mondo circostante. L’esercizio va
svolto frequentemente ma per pochi minuti,
preferibilmente al tramonto o di sera,
quando avvertiamo una certa stanchezza e l’immaginare
si svincola naturalmente dall’organismo
fisico.
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Immaginazione
dell’aria: trarre da impressione e
ricordi (con un ragionevole margine d’arbitrio)
situazioni in cui si sia visto o sentito l’effetto
dell’aria su noi stessi e sugli oggetti
circostanti. Contemplare immobili i
movimenti generati dall’aria, con la
stessa naturalezza con cui ad esempio si
possono guardare per strada i sussulti,
gli spostamenti e le brusche ascese di una
foglia secca o di un pezzo i carta. Ciò
può essere sufficiente se il prodotto
dell’attività immaginativa del pensiero
viene contemplato nel suo svolgersi con la
stessa pienezza con cui si guardano le
azioni naturali nel mondo sensibile. È
anche possibile che il potere di sintesi
interno al pensiero unisca le immagini
particolari ai concetti generali di
vastità, cambiamento, libertà ecc. Anche
in questo caso lo sperimentatore non deve
interferire con nessi intellettuali o
preconcetti. Quando una di queste immagini
in movimento o la somma di esse o l’idea
piú vasta che sorge, suscita in noi una
particolare impressione o emozione, l’esercizio
continua e si conclude nell’accogliere e
trattenere nell’anima e nel corpo la
pura vibrazione scaturita. Poiché la
semplicità non fa parte delle virtú
umane moderne, questo “accogliere e
trattenere” può essere difficile
proprio per chi è abituato agli sforzi
interiori, poiché non c’è nulla da
fare: è come l’udire un suono nel mondo
sensibile.
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- L’elemento
sostanziale di questi esercizi è comunque
la forza pensiero portata ad una
intensità che permetta all’asceta di
contemplare le immagini naturali ed
indipendenti da lui, come avviene
similmente (ma del tutto passivamente) nel
volgersi tramite i sensi fisici ai
fenomeni sensibili.
- Per completezza si accenna al fatto che la
meditazione sull’aria è anche la via
per giungere ad altre esperienze
importanti. Nel caso in cui l’attenzione
concentrata e l’impressione animica si
dirigano sull’onnipervadenza dell’elemento
aeriforme che ci circonda e ci pervade
entrando ed uscendo dal nostro corpo, può
realizzarsi l’esperienza del
trasferimento del senso di sé nell’aria
circostante: si percepisce allora che il
corpo non respira ma viene respirato dall’elemento
aria, ordinariamente non avvertito.
- Questa esperienza è intensa e reale e ci
permette di abbandonare nel dopo ogni
tentazione spiritualistica nei confronti
della miriade di tecniche sul respiro
controllato come vie al sovrasensibile che
abbondano, come funghi nei boschi
autunnali, nella gran parte delle
pubblicazioni specifiche, che anche solo
per queste indicazioni grossolane già non
valgono il costo della carta con cui sono
stampate. Se l’esperienza dell’essere
respirati dall’aria non viene interrotta
prematuramente, diviene possibile anche la
percezione dell’Ente superiore che
domina l’aria; tuttavia a questo punto
si ripiomba di norma nella coscienza
somatica. Perché soltanto il Percepiente
puro può contemplare senza paura e in
piena destità le vere essenze
sovrasensibili, mentre gradi intermedi di
realtà “sottili” possono venire
percepiti da gradi intermedi di coscienza
dell’Io.
- Gli esercizi indicati (ma anche molti
altri) favoriscono un’azione di Forze
dello Spirito sull’anima intense,
profonde, immediate, e qualora il pensiero
realizzi senza residui il proprio
movimento nella spontaneità delle
immagini evocate, le costrizioni della
psiche, i complessi e gli stati d’animo
vengono immediatamente e totalmente
sciolti.
- Dal punto di vista di chi opera con
serietà, il poter giungere ad un concreto
risultato è meno arduo di quanto possa
apparire all’intelletto, mentre l’aspetto
piú difficile delle discipline è
realizzarle ripetutamente. Si ripete l’esercizio,
ma non si riesce a riguadagnare il momento
vivo, e piú si ripete piú peggiora il
suo livello, magari tecnicamente
ineccepibile ma smorzato.
- Questa è una difficoltà reale, e poiché
certe situazioni di stallo sembrano durare
tutta la vita, di occulto, anzi di
occultato, rimane il sospetto e la
vergogna del fallimento e si evita il
problema con la stessa cura con cui si
evita il contatto degli oggetti con una
parte traumatizzata del corpo.
- Ciò può suggerirci che le strade
precedentemente battute non ci sono piú,
sono svanite. L’inconfessato impulso è
allora di aggrapparsi ad una riflessa
dignità per non franare oltre, ma senza
capacità di risalita, anzi esaurendo
lentamente le forze dell’anima per
mantenere questa improduttiva posizione
intermedia.
- Anche in tale situazione la regola aurea
sarebbe non resistere, affidandosi a ciò
che fa veramente paura: lasciarsi cadere.
È difficile chiudere gli occhi e farsi
inghiottire dall’ignoto, ma se l’anima
non porta in sé una scintilla di fiducia
nello Spirito, allora è davvero
impossibile. Se non brilla nel buio dell’anima
questa piccola luce, allora forse abbiamo
sempre mentito a noi stessi: prender
coscienza di ciò può essere l’inizio
doloroso della terapia della veridicità.
A chi è capace di cadere, viene chiesta
la sincerità assoluta e il sacrificio di
dimenticare la forza precedente: che era
falsa o insufficiente.
- La via va ricostruita, con fatica,
pazienza e pensiero, non con la memoria;
ora ciò che lo Spirito esige è una nuova
e piú intensa dedizione al moto pensante
ben piú che a se stessi: un ulteriore
grado di volitivo annientamento. In questo
sentiero crudele tra picchi e burroni ciò
che deve sempre accompagnarci, oltre ogni
temporanea sconfitta o vittoria, è la
pura essenza della Fedeltà che mantiene
integra nel cuore l’eccezionale
consapevolezza, opposta ad ogni umana
evidenza, di essere creature dello Spirito
Divino e da Esso sorrette con illimitato,
incondizionato Amore. Sempre.
Franco
Giovi |
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