- Ci sono opere che appartengono a
un periodo storico ben definito, altre che rispecchiano
istanze e tradizioni proprie di un popolo o di un’etnia,
altre ancora che vivono nell’ambito di confessioni
religiose delimitate e da quelle non esulano. Soltanto rare
testimonianze artistiche, nelle varie espressioni, si
rivolgono alla vicenda umana svincolata dalla cornice
temporale e spaziale, per divenire messaggi universali
diretti agli uomini di tutte le nazioni e di tutti i credi,
a qualunque epoca storica essi appartengano. Sono le opere
universali, le didattiche globali – come il Vangelo, la Divina
Commedia, il teatro di Shakespeare – alle quali gli
uomini in ogni periodo e per ogni esigenza possono attingere
per specchiarvici e ritrovarvi tutte o in parte le proprie
incertezze, problematiche, contingenze, e per attingervi le
proprie speranze, le certezze, le illuminazioni.
- In piú, il Faust
appartiene alla famiglia delle opere che accompagnano per
tutta la loro esistenza i sommi artisti che le hanno create,
quasi un lavoro quotidiano in divenire, una metamorfosi
operativa continua – come fu la Gioconda per Leonardo –
intorno alle quali si affatica diuturnamente l’estro dell’autore,
quasi che il variare dell’umore, l’accrescersi delle
esperienze, la macerazione del dolore, formino dei tasselli
che in qualche modo, giorno dopo giorno, possano completare
il capolavoro che solo la morte fisica può concludere, in
quanto esse stesse, le opere, sono materia vitale
inscindibile dall’artista.
- Se ci impegniamo a seguire la
genesi del Faust, ci accorgiamo che il suo sviluppo
tecnico ed esecutivo scandisce tutta la vita del grande
tedesco. Ad essa egli interveniva sempre, dopo intervalli
piú o meno brevi, aggiungendo, togliendo, variando, cosí
come la sua dinamica e inquieta esistenza, mai appagata,
tesa nel chiedere e nel trovare, si perfezionava e si
sublimava nel crogiolo dell’esperienza inesausta. Tanto
che molto del poema venne completato soltanto pochi mesi
prima della sua morte.
- Ma vediamo le tappe di questa
avvincente storia, dove vicenda umana e creativa procedono
in simbiosi, in parallelo, intersecandosi, intrecciandosi,
spesso evolvendo in un viluppo indistinguibile, in un solo
corpo.
- Johann Wolfgang von Goethe nasce
nel 1749 a Francoforte sul Meno. L’Europa, immersa nel
secolo dell’Illuminismo, nelle certezze della razionalità
scientifica, sta allevando – nutrendola di concretezze
storiche e filosofiche – la giovinetta Dea Ragione che di
lí a qualche anno, in Francia, darà prova della sua
nefasta vitalità. Ma accanto a queste note degenerative l’Illuminismo
forní a spiriti come quello di Goethe uno stimolo per porre
alla base della ricerca metafisica ed esoterica il metodo
scientifico, la bibliografia doviziosa delle enciclopedie.
Il Faust è un prodotto che si è arricchito di
queste radici, fuggendo dalle divagazioni mitiche della
tradizione medioevale.
- Durante la sua prima adolescenza
il piccolo Wolfgang, pungolato dalla madre, donna colta e
attenta alle vicende esterne del mondo, scrive testi per il
teatro delle marionette, molto in voga in quel periodo in
Germania e altrove. In questo particolare ambiente egli
entra in contatto per la prima volta con la leggenda del
dottor Faustus, tema appartenente alla tradizione popolare
tedesca e piú ampiamente delle leggende gotiche proprie del
mondo anglosassone. Magia, alchimia, esoterismo volto alla
bassa speculazione metafisica, costituivano i registri che
davano il tono ai racconti di cui si nutrivano i popoli
mitteleuropei (vedi il Golem di Praga).
- Per la verità un Faust era
già stato scritto nel 1588 in Inghilterra da un vivace e
intemperante scrittore e poeta, Christopher Marlowe
(Canterbury 1564-Londra 1593) con il titolo The tragical
history of Doctor Faustus, a sua volta ripreso da un
precedente dramma tedesco pubblicato un anno prima col
titolo Historía von Johann Fausten. Marlowe portava
sulla scena, come del resto piú rudimentalmente l’ignoto
autore germanico, anticipando di secoli l’ideale
romantico, individui isolati dal contesto sociale, pervasi
da passioni estreme, assolute, titaniche, ansiosi di
infinito, assetati di scienza e di bellezza. Il dramma di
Marlowe si esprimeva in un linguaggio vigoroso, ricco, a
volte iperbolico. La fantasia, è ovvio, vinceva sulla
documentazione storico-filosofica. E inoltre, quello che
piú conta ai fini della nostra disamina, il dramma di
Marlowe aveva un esito negativo: Faustus si perdeva, nella
lotta col Male soccombeva, in quanto la dannazione
rappresentava il finale atteso e scontato per tutti coloro
che da folli volessero cimentarsi col soprannaturale per
trarne vantaggi materiali, anche se di tipo scientifico. L’uomo
si trovava ancora al margine del grande cerchio del Cosmo e
guardava la Divinità da subordinato, timoroso di sollevare
lo sguardo, di chiedere i perché.
- Nel 1770 Goethe è a Strasburgo
per terminare gli studi. Viene in contatto con l’arte
gotica di Shakespeare e di Ossian. Ha una burrascosa
relazione sentimentale con Frederike Brion, che alla fine
abbandonò. Il senso di colpa che derivò a Goethe da questa
azione venne cosí trasposto in quello di Faust verso
Margherita.
- L’anno seguente, a Francoforte,
Goethe scrive il dramma Götz von Berlichingen Cavaliere
della Riforma, il cui ribellismo libertario viene preso
a modello dai giovani scrittori dello “Sturm und Drang”,
il grande e tumultuoso movimento romantico tedesco che diede
il la agli altri della stessa ispirazione in tutta
Europa. In questo clima di riscoperta della mitologia
classica, di recupero dei valori umanistici soffocati o
imbavagliati dalla razionalità illuministica, con la
nascita di un’illusione umanistica borghese e non
accademica, con la relativa nascita dei vari nazionalismi e
delle culture popolari (favole e miti), Goethe inizia a
scrivere l’Urfaust, la storia dell’Uomo che cerca e
soffre, che vive il suo dramma esistenziale attraverso il
cuore e la fantasia. Non è da escludere che il suo modello,
anche se lontano, sia l’opera seicentesca di Marlowe. E
infatti in questa prima versione giovanile del poema la
dannazione finale suggella la tematica del dramma in
negativo. L’uomo, pur se motivato da giusti stimoli, deve
soccombere perché troppo ha osato, e il peccato è ancora
uno spauracchio morale che condiziona le coscienze, siano
pure quelle di una mente aperta e anticonformistica quale
quella di Goethe.
- Dopo aver scritto nel 1774 I
dolori del giovane Werther, Goethe diventa precettore
del duca Karl August a Weimar. In quello stesso anno legge,
soprattutto alle dame di corte, il suo dramma Urfaust,
per buona parte ancora in prosa, con brevi sezioni in versi;
il linguaggio è potente ma rude, spinoso, inquietante. Vi
sono già le linee principali della vicenda che
corrisponderà alla prima parte del successivo Faust.
Si racconta la storia del Mago e la tragedia di Margherita
in toni che la critica definirà vibranti ma scabrosi, certo
lontani dall’armonia del poema nella sua stesura
definitiva. In questa prima versione, il Faust è
ancora opera di derivazione pagana, celtica, con tutte le
implicazioni e i luoghi comuni cari alla tradizione
druidica. Nessun accenno, se pur vago, è fatto alla
possibilità umana di riscatto e redenzione. La vena
escatologica cristiana non ha ancora toccato il poema.
Goethe cerca la sensazione letteraria, l’effetto magico
proprio del teatro gotico. Le suggestioni alchèmiche
abbondano, senza aggancio al tema della salvezza cristica.
Il Bene e il Male si affrontano attraverso l’Uomo, e quest’ultimo,
fragile e fallibile, non sorretto dal Cristo, non riesce a
competere con il sovrumano e può solo soccombere. Questo Faust
venne subito tenuto in odore di eresia e messo al bando dall’autorità
ecclesiastica cattolica, cosí come da quella protestante.
Di troppa passionalità e di troppo peccato erano intrisi i
versi del poema.
- Dal 1776 al 1786 Goethe trascorre
il decennio dorato a Weimar, alla corte di Karl August, in
compagnia di celebri scienziati e letterati che si erano
stabiliti nella piccola città ducale, in particolare di
Schiller, con il quale intrattiene rapporti di amicizia e
collaborazione letteraria. In questi dieci anni Goethe si
dedica agli studi approfonditi di svariati argomenti:
ottica, botanica, scienza, mineralogia. Scrive la famosa Teoria
dei colori, in polemica col britannico Newton. Si lega
sentimentalmente a Charlotte von Stein, scambiando con lei
un memorabile carteggio. Scrive la prima versione del Wilhelm
Meister, dal titolo Wilhelm Meisters theatralische
Sendung. In questo fecondo periodo di studi e ricerche,
indirizzate per lo piú agli àmbiti scientifici, il Faust
non viene mai abbandonato. Goethe lo rifinisce, lo varia, lo
riscrive, operando sul poema quel lavoro di lima e revisione
che doveva produrre il finale capolavoro al quale il
movimento romantico e lo stesso poeta dovevano legare il
proprio destino e gli ideali.
- Il 3 settembre del 1786,
improvvisamente, senza avvisare nessuno, neppure l’amica
del cuore Charlotte von Stein, Goethe fugge in Italia. Una
topica liturgica dei seguaci ed epigoni dello Sturm und
Drang era il Grand Tour d’Europa, ma
soprattutto l’appendice mediterranea che trovava in Italia
la sua degna conclusione, il suo apice. Le tradizioni
elleniche, romane, medievali e rinascimentali facevano del
nostro Paese un archivio della memoria storica, culturale e
mitica ineguagliabile. Le varie civiltà stratificate
rappresentavano quanto di meglio gli uomini mediterranei
avevano espresso in secoli di civiltà, l’alchimia dei
vari elementi mitici, storici e misterici dai quali ricavare
la pietra filosofale capace di far accedere un’anima volta
al sublime a una nuova dimensione spirituale.
- Ai progressi europei della
scienza, della filosofia, della ricerca enciclopedica, che
verso la metà del secolo XVIII si erano resi pressanti
diffondendo un sapere moderno, Roma opponeva la
conservazione del passato, della tradizione, dei vincoli del
dogma nell’ambito religioso, il che voleva dire nella piú
vasta area del panorama sociale del tempo. La città, e la
regione che la racchiudeva in un’enclave di estrema
reclusione, si presentavano, a chi vi arrivasse per
visitarla, sovraccarica di simboli e di storia; una sorgente
di acque perenni, di aure antiche, magiche. Atmosfere di
emozioni raffinate, celate sotto la coltre muschiosa dei
ruderi che in quello scorcio di secolo la scuola
archeologica internazionale, di cui Winckelmann
rappresentava la punta di diamante, iniziava a riportare
alla luce secondo criteri innovativi e con tecnologie
inedite, in maniera organica. Occorreva lo stesso lavoro di
paziente dissotterramento in ogni campo dello scibile e dell’arte.
Valori e tempi storici diversi s’intrecciavano,
cristallizzati da un conservatorismo insanabile.
- Piú il Settecento si dispiegava
come età dei Lumi, della Ragione e del Progresso, piú Roma
si chiudeva su se stessa. Pure, nonostante quella gelosia
retriva, per chi sapeva scoprirla e cantarla, essa, come del
resto gran parte dello scenario classico, sapeva spargere
umori e profumi inebrianti, dispensare misteri e gioie
nascoste. Un rinnovato culto dell’antico, che doveva
sfociare nelle tendenze neoclassiche di Canova e David,
chiamava verso l’Italia, e verso Roma in particolare, l’Alma
Mater universale, schiere di giovani rampolli dell’alta
società europea, facendone la meta di un vero e proprio
pellegrinaggio verso una patria ideale di cui si sentono
cittadini di elezione al di là di ogni appartenenza
nazionale. È la nascita della cosiddetta “Repubblica
delle Arti e delle Scienze”, formata da spiriti e anime
volte alla ricerca del Bello e del Sublime. «Roma è la
grande Scuola Universale» sentenziava appunto il
Winkelmann, padre riconosciuto della nouvelle vague
romantica animata da fervori e propositi etici ed estetici.
- Goethe si era unito al coro degli
apologeti del mondo greco-latino che sopiva da secoli nel
grembo torpido del suolo italico, soffocato dai manierismi
patetici del barocco e del rococò. Nel suo Diario dall’Italia
scriveva: «Roma incatena con la sua magia e aura sacrale.
Qui sto avendo la mia rinascita e ritrovo il vero me
stesso».
- Tutti questi ardenti cantori della
classicità si dedicavano dunque a un’archeologia tendente
non soltanto alla riscoperta di colonne trionfali,
catacombe, obelischi, statue e palazzi, anfiteatri e templi,
ma altresí, e forse con maggiore impegno, a disseppellire
memorie, tradizioni, usanze e umori che l’Italia e Roma,
sotto una scorza di apatia e disinteresse, avevano
conservato a uso dei “romei” assetati di mito, bellezza
e sacralità.
- Sappiamo per certo che, quale
viatico carissimo per il suo itinerario lungo i paesaggi
della nostra terra, Goethe portò con sé, come il
reliquiario di re Luigi il Santo alle Crociate, la stesura
del Faust, quella che aveva letto alle gentili dame
della corte di Weimar. Aveva sentito necessario di portare
il Faust in Italia, cosí come Manzoni, a un certo
punto della sua vicenda letteraria, dovette portare il suo Fermo
e Lucia a “sciacquare i panni in Arno”, a Firenze,
per sfrondarne gli orpelli retorici e farne un monumento a
un secolo, a una terra, quella lombarda, a un popolo, a una
casta, quella dei prevaricati di sempre: un’apologia della
Provvidenza che immane nelle vicende umane volgendole al
bene.
- L’Urfaust, mistione di
brani prosastici e dialogati alternati a poesia, è un’opera
meramente pagana, magica e non misterica, passionale e non
sublimale, votata a un unico esito, come il suo protagonista
inappagato, Faust, destinato alla perdizione nel rispetto
dei ruoli e dell’etica. Ma di quale etica possiamo
parlare? Certamente non di un’etica cristiana nel senso di
salvazione, redenzione, riscatto umano, e neppure in un
senso piú dogmatico nella sfera del credo cattolico, che
quel Faust sconfessò e scomunicò.
- Il Faust che dilettò,
mentre le atterriva e sconvolgeva, le damigelle di Karl
August, era un’opera che sentiva il lezzo delle taverne e
dei postriboli mischiato al tanfo di zolfo che vi spargeva
Mefistofele, il quale, socio e compagno di gozzoviglie del
vecchio scienziato e mago Faust, ne aveva già in pugno la
sorte prima ancora che l’epilogo arrivasse.
- Troviamo sia nel Faust di
Marlowe sia nell’Urfaust di Goethe tutti i
postulati dell’eresia calvinista e luterana: negazione
della Trinità, della Vergine, del libero arbitrio capace di
condurre l’uomo lungo il sentiero scelto e non quello
prestabilito dalla divinità. Faust è un uomo solo, colto
ma deluso della sua scienza, che non gli ha fatto conoscere
nella vita che aride formule, senza mai il sollievo di un
amore. Di qui i suoi appetiti, che Mefistofele sfrutta come
debolezze da appagare con i ritrovati della magia nera e del
sortilegio stregonesco. Mai che si avverta nelle parole,
nelle frasi, nei versi, la vena della presenza divina, la
garanzia del riscatto finale per chi cerchi veramente l’assoluto.