Poesia

 

Chiare fanciulle portatrici d’acqua
hanno sfiorato i luoghi piú remoti,
le regioni oltre il fiume, il grande mare,
i folti campi di maggese e grano.
Fanno, passando, giochi d’ombre e luci.
Anche tu qui, ma nel pensiero assente,
persa con me sotto l’immenso cielo
tendi ad esse la mano, ti riveli
incantata dal raro sortilegio
di silenziosa pace che tu osservi
fluire nel mutevole candore:
deriva inarrestabile di vasti
errabondi arcipelaghi, fugace
transitorio miraggio in cui si perde
lusingato lo sguardo. Io mi ritrovo
pellegrino e compagno a quei relitti
nel loro muto viaggio; il mio cammino
somiglia a quel disperso fluitare,
al comune destino degli umani:
andare insieme e vivere l’esilio,
aggregati e divisi, uniti e soli,
gli uni agli altri stranieri, oppure fusi
in un corpo di nembi, posseduti
da furie di passione e di ripulsa.
Comunque mossi dalla vita, accesi
dal fuoco delle aurore e dei tramonti,
fustigati dai venti, incatenati
ai cicli di un continuo ritornare,
schegge d’eternità che si perpetua
sotto forme diverse. Senza tregua
sfioccarsi, vorticare, mai fermarsi,
screziare il vuoto con le trasparenze
dei propri umori, farsi arcobaleno
e ricreare dalla viva iride
la prima essenza da cui nacque il mondo.
Ora tu guardi con speranza nuova
l’azzurro e il bianco gregge che lo solca.
Rapito al volo ha un cirro il tuo sorriso.
Per questo sento un acre refrigerio
di grandine e di neve confortare
la terra e l’inesausto desiderio
che prende ogni radice di fiorire.
Cosí, tanto invocata, adesso vedi
la pietà della pioggia ormai confusa
a un profumo di pollini, a un fervore
di semi ancora vergini, discendere
soave, e lentamente propagarsi
sul deserto dell’anima in attesa.

Fulvio Di Lieto