Sociologia


L’economia conseguendo a doti e capacità umane è l’espressione, sul piano della produzione, della circolazione e del consumo delle merci, della vita spirituale nelle sue forze educative e morali. La sua vitalità non nasce, come molti ritengono, dal gioco degli interessi, dallo stimolo del profitto e dal solo desiderio del benessere materiale. Questi rappresentano la manifestazione piú esteriore, ma le capacità in grado di muovere un qualsiasi processo economico sono patrimonio interiore di tutti i suoi protagonisti e quindi hanno il loro fondamento in una libera vita spirituale. Di conseguenza l’avvenire di un contesto economico non può che essere proporzionale al livello evolutivo conquistato in seno ad essa da un certo numero di uomini. Pertanto lo sviluppo economico non è legato alla possibilità di fare il proprio comodo, di badare ciascuno ai propri ristretti interessi, né tantomeno a norme, codificazioni, pianificazioni, enti burocratici, emanazione di un potere giuridico e di economisti intrisi di mentalità statalistica: esso è piuttosto il risultato di un pensare vivente, coltivato prima in seno ad uno spazio spirituale e poi tradotto in interventi pratici dall’incontro responsabile dei protagonisti dell’economia ai quali è stato concesso il massimo della libera iniziativa.
L’intervento statale sull’economia, con tutto il suo corollario di ideologie, di dottrine, di teorie, si sta rivelando il piú potente distruttore di ricchezza. Con l’aggravante che avendo riunito nelle stesse mani potere giuridico e potere economico, si tende a riparare gli errori, a sanare gli spaventosi deficit pubblici sia premendo fiscalmente sul cittadino, sia aprendo un varco a forme velate o palesi di dittatura. L’economia invece ha bisogno di essere affrontata nella sua oggettività. I fatti economici rispondono a determinati impulsi dettati da un pensiero estremamente oggettivo, inerente ai fatti, il quale non sopporta né un eccesso di scatenamento egoistico, né l’astrazione teorica. Impulsi che possono essere vitalizzati dal contributo di effettive competenze pratiche, da concreto spirito di fratellanza, dal fiorire di una autentica moralità, fattori tutti da seminare prima a livello spirituale affinché possano poi germogliare in un ambiente autonomo, completamente affrancato da qualsiasi intervento statale e da qualsiasi ingerenza di tipo ideologico.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario che i protagonisti dell’economia, attività per attività – i fabbricanti di mattoni, i produttori di auto o di scarpe, le diverse categorie di commercianti e di artigiani ecc. – si riuniscano in libere associazioni per affrontare i loro problemi settoriali, per coordinare le loro attività con le attività che li riguardano piú da vicino (i produttori di scarpe con i produttori di cuoio, di spago e di coloranti), per armonizzare infine le esigenze settoriali con le esigenze generali di tutta l’economia. Non piú dunque un confronto o uno scontro fra le parti sociali ma uno spirito di collaborazione che, nato dagli incontri all’interno dell’azienda, sia in grado di coinvolgere le diverse attività in uno sforzo continuo di superamento degli inevitabili errori e delle immancabili difficoltà. Soprattutto la responsabilità diretta di chi opera effettivamente nell’economia, di chi vive giorno per giorno l’esperienza produttiva e per questo, anche oggi, sa molto bene che non vi è altro modo, per risolvere i problemi in profondità, che armonizzare le sue necessità con le necessità degli altri, purché lo si lasci in pace, gli si risparmino le chiacchiere, i programmi politici, i milioni di decreti legge, le politiche di piano, i quali stanno togliendo, alle persone in grado di combinare qualcosa, la voglia di operare.
Questi discorsi faranno inorridire i teorici. L’economia è costituita sí da idee generali come la moneta, il capitale, il lavoro, il valore, ma anche queste sono la somma di tanti eventi, di tante vicende singole, di tanti pensieri creativi, di tanti atti di correttezza, nell’arco che va dal carrettino del gelataio all’impianto degli altiforni. Appellarsi agli esperti, estraniandoli dal loro ambiente per piegarli alle necessità politiche; appoggiarsi ai sindacati i quali non possono che interpretare le diverse questioni secondo l’esigenza della conflittualità o dei loro interessi di potere; sperare che i fatti economici tradotti in tavole matematiche finiscano per andare bene automaticamente; tutto ciò sta conducendo l’economia mondiale a crisi continue, a contraddizioni, alla disordinata coesistenza di poli di sviluppo e di tragiche sacche di sottosviluppo, alla contemporanea presenza di eccesso di consumi e di eccesso di miseria.
È urgente ricercare nuove vie dopo il fallimento del liberismo, delle cosiddette economie miste, del socialismo reale, dei tentativi di corporativismo. Per giungere però a prospettive veramente nuove occorre concepire la separazione netta tra economia e potere pubblico. Può sembrare questo un ritorno al passato, una concezione reazionaria, ma se si guarda a fondo la storia si scopre che il massimo concentramento di tutti i poteri appartiene alle diverse manifestazioni dello Stato teocratico. L’enorme spinta dell’evoluzione industriale moderna ha avuto bisogno di un minimo di autonomia per manifestarsi. Dai regimi piú democratici però alle dittature comuniste, lo Stato è rimasto l’arbitro del sistema economico, ed egli lo piega alle sue esigenze di potere interno e internazionale. Il capitalismo moderno, nelle sue forme privatistiche o pubbliche, è in fondo l’espressione di questa condizione. L’economia invece deve essere ricondotta al servizio delle necessità materiali dell’uomo e questa sua funzione non può che essere svolta direttamente dai suoi protagonisti, i quali si sono assunti la responsabilità di operare in uno spazio completamente autonomo.
Da quanto si è esposto si evince un particolare assetto sociale: una separazione in tre parti, una Tripartizione della società. L’unità, l’armonia delle componenti sociali, lo spirito di convivenza, la fratellanza, non sono un presupposto ma il risultato di continue conquiste, di continui superamenti. Non si può concepire una concezione teorica, una ideologia a priori che risolva tutte le questioni sociali, senza cadere nell’utopia. Non si può realizzare uno Stato onnisciente che, per il solo fatto di esistere, è in grado di risolvere tutto, senza finire per creare una spaventosa dittatura dominata da un mostro senza testa. Non basta aderire ad un certo partito, iscriversi al sindacato, non basta “impegnarsi” in una determinata direzione culturale, per divenire automaticamente dei portatori autentici di socialità. Lo spirito di socialità non può che nascere dal superamento dell’antisocialità che è in ciascuno di noi e che ci è stata necessaria per un primo affrancamento dall’anima collettiva, dallo spirito di gruppo, per iniziare quindi a nascere come individui. Superamento che dobbiamo decidere coscientemente e liberamente, ma che può essere facilitato da una educazione scolastica esprimentesi nella piú ampia autonomia da ogni influenza politica e economica; può essere aiutato da principi morali, non imposti dogmaticamente da una ideologia o da una confessione religiosa, ma conseguenti al libero confronto ed alla piú ampia libertà di espressione. Solo una vita spirituale, culturale, religiosa, artistica libere possono educare l’uomo a divenire un essere sociale, costituendo contemporaneamente il terreno piú adatto allo sviluppo di quei princípi di moralità e di giustizia, di creatività e di operosità, atti a fecondare lo Stato giuridico e le attività economiche.
Lo Stato infatti tradisce la sua funzione di custode della giustizia e garante della libertà, quando si smarrisce dietro compiti a lui estranei, come l’esercizio diretto delle attività educativo-culturali o l’imposizione ad esse delle sue concezioni politiche; oppure come la gestione delle attività economiche o la continua ingerenza in queste degli organi amministrativi. Solo la piú completa estraneità ad ogni interesse economico e ad ogni velleità culturale possono dargli la forza di gestire un senso dinamico della giustizia, al fine di tutelare il diritto alla libertà di tutti e di proteggere coloro i quali operano sul piano economico dagli egoismi, dalle grettezze, dalla inevitabile fragilità umana. Posto allora un limite severo agli interessi economici; stabilito un principio di dignità giuridica per ogni uomo; resa effettiva per tutti l’assoluta eguaglianza di fronte alla legge; aperta mediante il sistema democratico la partecipazione di tutti alla formulazione delle leggi; allora è possibile consentire alle attività economiche quella libertà di iniziativa, quella autonomia in grado di assicurare una fattiva corresponsabilizzazione da parte dei suoi protagonisti.
Non esiste questione sociale che non abbia tre aspetti: uno spirituale, uno giuridico e uno economico. Se questi tre aspetti però vengono assunti o da un fanatismo religioso-ideologico, o da una interpretazione solo economica, o da formulazioni di tipo giuridico, non potremo che aprire le porte al caos e rendere quanto mai virulente vere e proprie forme di malattie sociali. Ciò che è maturato nella libera vita spirituale può donare a problemi come l’assistenza, la previdenza, la casa, la disoccupazione, lo sviluppo, quelle idee forza capaci di agire in profondità nel tessuto sociale. Idee che stentano invece ad esprimersi nell’ambito della burocrazia, del decreto legge, soffocate, anche con la migliore buona volontà, dalla banalità del sistema e dalle tattiche della lotta per il potere, dagli interessi economici dei gruppi, dei partiti, dei furbi militanti sotto tutte le bandiere. Ma assistenza, previdenza, sviluppo non possono essere fondati sull’ingiustizia, sull’arbitrio che privilegia alcuni e mortifica altri. Essi devono essere sempre fondati su criteri di giustizia, di uguaglianza, di rispetto della personalità umana che solo uno Stato completamente dedito a questa missione può donare al contesto sociale. Infine pretendere di pervenire all’assistenza, alla previdenza, alla scuola per tutti, all’occupazione, allo sviluppo, ad un buon livello retributivo, implica l’efficienza del sistema economico. Non si possono distribuire ricchezze, beni che non siano stati prodotti e che dovranno essere realizzati anche per il futuro, ma questo ovvio obiettivo potrà essere attuato solo se sarà dato all’economia di manifestarsi secondo i suoi princípi. La situazione odierna sta inequivocabilmente dimostrando come l’intervento pubblico provochi effetti nefasti sulla creazione di benessere. Sta anche dimostrando però che uno spazio economico, non corretto da un severo senso di giustizia, cade nell’arbitrio e nello sfruttamento, compromettendo i vantaggi derivanti dalla libera iniziativa.
In ogni questione sociale non può che manifestarsi un contrasto fra necessità economiche e diritti dell’uomo. Se però questo contrasto viene affrontato da due direzioni diverse, da due enti separati: Stato giuridico e vita economica, le componenti giuridiche e gli aspetti economici presenti, nella assistenza, nella previdenza, nella giusta retribuzione ecc., potranno essere armonizzati dal continuo confronto, dal continuo intessersi di un dialogo che, per entrambe le due organizzazioni, trova riferimento, ispirazione in ciò che di luminoso gli uomini hanno saputo creare in loro stessi, aiutati da una libera vita spirituale.
Tutto questo non significa certo la società perfetta, il paradiso in Terra, una soluzione definitiva valida sino alla fine dei giorni. Piú semplicemente è far sí che ogni uomo, dal punto in cui opera nella società, sia posto in grado di collaborare alla costruzione di una convivenza dignitosa. Senza schemi preconcetti, senza norme rigide e quindi cadaveriche, senza soluzioni che dovrebbero funzionare una volta per tutte e non funzionano mai perché la vita sociale è continuo movimento, continua evoluzione. In sostanza vuol essere l’opportunità per ogni persona a partecipare direttamente alla costruzione dei settori fondamentali in cui è articolata la società: come essere che ha scoperto la sua dimensione piú elevata, come cittadino avente eguali diritti e uguali doveri, come individualità attiva economicamente.
L’unità della società, la giustizia sociale, la dignità potranno nascere solo dalla continua armonizzazione, dalla continua collaborazione della vita spirituale, dei princípi giuridici, delle attività economiche, affinché ogni questione venga affrontata in tutti i suoi aspetti reali, in tutta la sua poliedricità, evitando cosí che un qualsiasi provvedimento sani una ingiustizia e ne provochi un’altra, affronti un particolare compromettendo l’equilibrio generale. Nessuno va dal fornaio per avere notizie sui recenti sviluppi della pedagogia. Nessuno chiede lumi ad un magistrato su come si fabbrica un chiodo. Nessuno va da un poeta per avere spiegazioni sul codice civile. Questa, fatte le debite eccezioni, è la realtà della società. Credere che un sistema ideologico o una serie di provvedimenti concepiti da un potere centrale possano penetrare nell’essenza delle diverse questioni, è pura utopia. Mettere in condizione il fornaio di fare un buon pane, il magistrato di poter giudicare serenamente, il poeta di poter volare liberamente con la sua fantasia, è in sostanza ciò che chiede l’uomo, quello vero. L’uomo completo appunto, il quale non vuole isterilirsi nelle sue capacità settoriali ma che vuole essere anche poeta o magistrato o operatore economico ed ha quindi bisogno, per realizzarsi, di riferirsi di volta in volta a questi tre spazi operanti autonomamente nella società. Per evitare il soffocamento dell’uomo, per impedire il rinnovarsi delle ingiustizie, per fermare il prorompere del caos economico, è necessario iniziare ad assumere come ipotesi la Tripartizione dell’organismo sociale.

Argo Villella (5. Fine)

Edito a cura di G. Simoncini per la Cooperativa Pico della Mirandola, Bologna 1986