- «Una
luz como una candelilla de cera que se alzava y
levantava»...
- Era la
notte tra il giovedí 11 e il venerdí 12 ottobre dell’anno
1492 e l’ammiraglio Cristobal Colon, chiuso nella cabina
di comando della Santa Maria, tentava di descrivere sul
Giornale di bordo la pallida luce, “come di una candela di
cera che si alzava e si abbassava”, due, forse tre volte,
che rompendo il buio del mare tenebroso a dritta via aveva
annunciato la vicinanza della terra. Una luce mistica, ebbe
a dire poi Colombo, della stessa natura della gigantesca
onda anomala che il 23 di settembre aveva spinto le tre
caravelle fuori dalla barriera dei Sargassi, che si
presentava allora particolarmente intricata e spessa. Il
Capitano generale – questo era l’altro titolo del
Genovese – aveva paragonato quell’inusitato fenomeno
marino alla colonna d’acqua che, stando alla Bibbia, si
era sollevata quando Mosè, con l’aiuto dell’Eterno,
aveva diviso il Mar Rosso permettendo agli Ebrei di
guadarlo. Un prodigio voluto? Forse. Come quel volo di
uccelli che il 7 ottobre, facendo presagire ai marinai la
prossimità della terra, aveva attirato le navi sulla sua
scia, portandole dal 26° al 24° parallelo e facendo cosí
loro ritrovare la rotta degli alisei che a causa della
curvatura terrestre si spostava di due gradi a Sud.
- Troppe
le coincidenze misteriose e altrettante le paure che avevano
accompagnato quel viaggio per mare, iniziato il 6 settembre
all’isola di Gomera nelle Canarie. Trentaquattro giorni e
trentaquattro notti in una dimensione tra l’ansia e l’esaltazione.
Il primo segno era stato l’eruzione improvvisa del vulcano
Pico de Teide a Tenerife, proprio quando le caravelle si
accingevano a lasciare l’arcipelago per la grande
avventura. E poi i mostruosi pesci-balena, che emergevano
improvvisi dagli abissi e caracollando vi si rituffavano tra
schiume, spruzzi e soffi di vapore. Tiburones vennero subito
battezzati da quegli uomini, che vivevano ancora nel mito di
orchi, draghi, sirene e arpíe, che ignoravano, al contrario
del loro Ammiraglio, la rotondità della terra, e proprio
per questo credettero di essere finiti in una dimensione
senza tempo né spazio quando, in piena navigazione, la
bussola aveva declinato di parecchi gradi a Ovest,
nullificando di colpo la certezza dei riferimenti astrali da
sempre unica guida sicura dei naviganti.
- Noi uomini moderni, disincantati e pragmatici fino al
cinismo, anche quando ci accingiamo ai viaggi spaziali
sappiamo (o crediamo di sapere) cosa ci aspetta lungo il
percorso e una volta raggiunta la mèta. Persino delle
galassie piú remote azzardiamo, con calcoli e analisi
deduttive, ipotesi sulla natura fisica e chimica, cosí come
dei pianeti del sistema solare, per non parlare della luna,
mappata ormai al centimetro. E sempre in base a temerari
calcoli teorici stabiliamo la composizione del suolo, la
temperatura atmosferica e la presenza o meno su quei lontani
corpi celesti di acqua e batteri in grado di fomentare la
vita in qualche modo vicina a quella che ci è familiare.
Ma i marinai di Colombo, piú ancora di quelli non meno
ardimentosi che accompagnarono Caboto, Vespucci e il grande
Magellano, ignoravano persino la geografia piú semplice, e
gli strumenti rudimentali di cui disponevano erano del tutto
insufficienti a garantire loro calcoli affidabili, per cui
veramente essi navigando nel Mare Oceano, come definivano la
distesa marina priva di ogni punto di riferimento, cadevano
preda di ogni paura e angoscia: del vuoto, del nulla, dell’andare
senza fine e senza ritorno. Il viaggio di poco piú di un
mese dovette essere un incubo martellante per quegli uomini
avvezzi sí ai pericoli noti e visibili, coraggiosi per le
prove cui erano assuefatti dato il loro mestiere di
naviganti, ma del tutto inadeguati ad affrontare la
dimensione metafisica nella quale vennero a trovarsi durante
la traversata dalle Canarie a San Salvador.
- Mai prima né dopo, se non nei poemi di Omero, Virgilio e
Dante, dunque nella resa poetica di una periegesi mitica e
mistica, l’uomo si è trovato a fronteggiare l’ignoto, l’orrorifico,
l’imponderabile: lestrigoni, ciclopi, maghe, sirene,
discese agli Inferi, ecco un vago parallelo con gli stati d’animo
e la condizione mentale dei novanta uomini che, governando i
tre esili gusci di noce di cui era composta la flotta di
Colombo, sperimentarono una sorta di Iniziazione coatta.
Certo è che quando misero piede sulla candida rena della
spiaggia tropicale di approdo, che essi ritenevano
appartenere all’esotico e remoto Cipango, non erano piú
gli uomini che avevano preso il mare il 3 agosto da Palos.
- Ma poiché lo Spirito aleggia dove e quando vuole, anche a
noi scettici uomini moderni può capitare di attraversare il
Mare Tenebroso e di vedere, come nelle fiabe, un lumicino
lontano lontano al termine del tunnel di smarrimento e di
angoscia. A tutti, in ogni epoca e luogo, può accadere di
entrare nell’utero ctonio dei dolmen iniziatici che i
nostri antenati preistorici usavano per svincolare l’anima
del neofita e farla passare attraverso il gelo, il fuoco e l’estasi,
durante tre giorni e tre notti di catalessi indotta.
- A chiunque, anche a un uomo come Jim Mills. Quando
raccontava l’episodio, agli inizi degli anni Sessanta, Jim
Mills era un uomo poco piú che quarantenne, aveva il volto
solcato da rughe profonde, i capelli grigi e radi, occhi
intensi e comunicativi. Lavorava da archivista in una grande
compagnia di viaggi al centro di Londra. Alle cinque del
pomeriggio lasciava la sua scrivania e, insieme a tanti
altri impiegati, formava la sollecita corrente umana che,
attraversando a passo gagliardo, spesso correndo, i vialetti
e i prati di Green Park, raggiungeva Victoria Station per
abbordare il treno veloce che l’avrebbe portato al Sud,
alla sua piccola fattoria poco distante da Brighton. Era
quello che si dice un “pollice verde”, Jim Mills, un
vero mago nel coltivare ogni specie di verdure, ortaggi e
fiori. Ne regalava a tutti in ufficio.
- Ma i suoi pollici, come le sue mani, non erano stati sempre
verdi e impegnati a prestare amorevoli cure alla vita di
piante e ortaggi. Durante la guerra, poco piú che ventenne,
Jim era stato un angelo della morte. Col suo bombardiere
partiva di notte da Hull, sulla costa nordorientale inglese
e, dopo aver attraversato il Mare del Nord sorvolava la
Frisia, imboccando l’estuario dell’Elba, che risaliva
per scaricare il fardello apocalittico del suo aeroplano
sulle città tedesche. Nel febbraio del ’44 era toccato a
Dresda. Poche notti di incursioni e della nobile città non
erano rimaste che macerie con migliaia di morti. Ritornando
da uno di quei raid, il velivolo venne colpito dalla
contraerea. Uno dei motori prese fuoco, costringendo il
pilota, dopo un inutile tentativo di tenere l’apparecchio
in assetto di volo, a un ammaraggio di fortuna. L’impatto
con l’acqua fu catastrofico. Ma prima che il bombardiere
si inabissasse, non si sa come Jim riuscí a recuperare uno
dei canotti di salvataggio, a gettarlo in acqua e a saltarci
dentro. Le fiamme del combustibile per pochi minuti
illuminarono la scena. Poi fu il buio completo nel mare
gelido agitato dal forte vento del Nord. Oscurità, freddo,
solitudine. Ignorava la sorte dei suoi compagni, il luogo
dove si trovava, dove l’avrebbe trascinato la corrente,
ammettendo che il dinghy, l’esiguo battello su cui
navigava, avrebbe retto alla forza delle onde. Poi venne il
giorno. Un lucore pallido carico di nebbia, che rendeva
ancora piú spettrale lo scenario che lo circondava. Neppure
gli uccelli si vedevano. In quelle condizioni seguirono
altre due notti nere come la pece e due giorni altrettanto
lugubri e disperanti. Venne la quarta notte. Jim era, se non
ateo, indifferente ai problemi religiosi. Nato nel quartiere
portuale di Bermondsey a Londra, ignorava preghiere e
liturgie. Nei pub del suo quartiere, al termine dei turni
sulle banchine dei docks, gli scaricatori deponevano i ganci
d’acciaio, coi quali carreggiavano casse e balle dalle
navi ai silos, e bevevano birra. Suo padre, suo nonno e
altri come loro, avevano fatto quella vita da sempre. E lui
contava di fare lo stesso a guerra finita. Sapeva dov’era
la chiesa, ma non ci era mai entrato, e la cosa non gli
poneva scrupoli. Però in quell’ultima notte sul mare
sconvolto e gelido Jim venne a trovarsi sulla soglia che
divide la vita dalla morte. In quel luogo d’interregno
dove tutto è verità e l’esistenza scorre davanti agli
occhi come un film, egli vide il male che aveva fatto lui
stesso e quello altrui di cui si era reso corresponsabile, e
ne provò immenso dolore. Ricordò gli attimi belli della
sua vita e poi, cosí raccontava, si era trovato, non sapeva
perché e come, a mormorare il nome di Dio: non per chiedere
aiuto per la sua salvezza, ma per essere accolto nel suo
abbraccio. La risposta fu una grande pace e l’abbandono al
sonno. Si risvegliò dopo un tempo che gli parve infinito.
Il mare si era placato, l’alba sembrava prossima. Ed ecco,
in fondo, oltre la massa compatta d’acqua e cielo a
formare un solo corpo, incerta una luce che brillava a
intermittenza, come un richiamo. Era un faro della costa
norvegese. Cosí gli uomini, rompendo il guscio della loro
ottusa materialità, nascono alla vita dello Spirito,
parlano con la Divinità dalla profondità del loro Io
ritrovato e ottengono risposta.
- Colombo sapeva, al di là di ogni scienza e teologia, quanto
il Divino fosse pronto alla richiesta umana di salvezza.
Come durante quella tempesta che aveva assalito la sua
sparuta flottiglia con vènti furiosi, onde smisurate e una
tromba marina mai vista prima. L’Ammiraglio si era portato
sulla tolda, petto all’uragano. Sfoderando la spada, aveva
recitato l’incipit del Vangelo di Giovanni. «In principio
era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio…».
Non è una delle tante leggende marinare di cui viene
infiorata l’impresa del grande Genovese. L’episodio è
riferito da Las Casas, cronista puntuale e affidabile della
traversata. E lo stesso Las Casas annotava poi come le onde
si fossero calmate, il cielo tornato sereno e l’aria
dolce. Tanto che la mattina dopo, all’alba, parve agli
equipaggi rassicurati di trovarsi in aprile a Siviglia, e
respirare il fresco balsamo dei suoi giardini fioriti.