- A
piú riprese e con diverse procedure e finalità, le
organizzazioni demoscopiche, gli istituti di statistica, le
indagini condotte da esperti di mercato e finanza, nonché, dulcis
in fundo, le previsioni elaborate da tecnici e studiosi,
ci forniscono, con cifre, dati e diagrammi, notizie sullo
stato attuale della nazione. Giungono ad abbozzarne i tratti
evolutivi nel futuro prossimo e remoto.
- Quanto
dobbiamo e possiamo fidarci di questo tipo di informazioni,
spesso risultate inattendibili alla prova dei fatti? Ciascuno
escogiti la propria ricetta, se vuole salvarsi da cocenti
delusioni e appurare schegge di verità.

- Volendo
rassicurare un amico che si mostrava preoccupato per la
situazione politica del Paese e per la crisi mondiale, che a
detta dei giornali si profilava imminente, il poeta Trilussa
raccomandò: «Non te la prendere e stai tranquillo. Finché
sono aperte le osterie, va tutto bene!».
- Il
poeta giudicava la società e gli eventi non sulla base di
ipotesi e previsioni elaborate dai sedicenti addetti ai
lavori, con risultati il piú delle volte piegati agli
interessi di parte, bensí sull’acume garantito da una
sensibilità intuitiva libera da ogni condizionamento. Unico
strumento quello della perspicacia, di cui veramente può
disporre l’uomo se vuole andare al nucleo delle cose e degli
avvenimenti.
- Mutati
i tempi, non valgono ormai piú i dati umani e topografici che
servivano al poeta per sentire cuore e polso della società.
Le osterie sono sempre aperte, ma hanno travisato il loro nome
in mille forme strane ed esotiche: ora si chiamano disco-pub,
brunch-table, sushi-bar o wine-cellar, e
lo stanzone adibito a studio a pochi passi da Piazza del
Popolo, in Via Maria Adelaide, dove Trilussa morí il 21
dicembre 1950, assumerebbe la definizione di loft. E
Roma è diventata una complessa e frenetica vetrina del mondo,
compendio variegato e multicolore di razze e costumi. Non è
ormai piú la città paciosa dove
- A
ben guardarla, questa metropoli mal cresciuta sembra invece
realizzare il fato di portare su di sé i tratti di ogni
civiltà, con relativi pregi e difetti. Con la costruzione
della moschea e l’incontenibile funghire dell’enclave
multirazziale all’Esquilino, essa ha veramente completato il
quadro della sua poliedrica natura, declinante al babelico:
tutte le religioni, tutte le razze, tutte le lingue, con mai
cosí tanta alienazione le une dalle altre. Esautorati i
grandi scali marittimi, come Genova, Trieste, Napoli, Bari e
Palermo, ora fervono i porti aerei, intorno ai quali si
aggregano le colonie saprofitiche di esuli, fuoriusciti,
nomadi e avventurieri di ogni provenienza. Le strade che
Trilussa percorreva scambiando saluti e facezie con bottegai,
vetturini, fantesche, portinai e ambulanti, attori pro bono
delle sue fulminanti commedie dal vivo, ora sono gremite di
personaggi piú esotici, difficilmente indagabili. Arduo
risulta infatti stabilire se dietro l’innocuo venditore di
incensi orientali non si nasconda l’alter ego di un avido e
spietato pusher, e se possiamo dar credito e fiducia al
mendicante all’angolo che, sacrificando il suo diritto alla privacy,
elenca con maniacale esattezza sopra un brandello di cartone
la propria disastrata condizione familiare e l’elevata
consistenza della prole contrapposta alla rarefatta condizione
economica in cui versa. Alcuni questuanti arrivano a
specificare l’importo minimo dell’obolo da versare.
- Accanto
ai mimi statuari vestiti da sfingi, faraoni ed ectoplasmi di
biacca, operano suonatori zigani, pittori estemporanei che
infiorano di leziosi arabeschi il vostro nome su un rotolo di
finta pergamena, oppure incisori che lo bulinano con mano
rapida sopra un chicco di riso, un seme di zucca o di carrubo.
Li guarda altezzoso il caldarrostaio indiano – magari un
laureato in attesa di adeguata sistemazione – senza perdere
di vista la teglia forata dove arrostiscono marroni a 24
carati. Il furto di uno di essi gli verrebbe conteggiato dal
gestore occulto del suo piccolo commercio, membro delle nuove
lobby dell’ambulantato.
- Ci
sono africani pelle d’ebano che vendono i modelli esclusivi
griffati di borse e portafogli: nigeriani, sudanesi,
magrebini, abili nel contrattare e velocissimi nel raccogliere
la mercanzia e sottrarsi all’incursione della “squadra”
dei vigili incaricati di proteggere il commercio regolare,
quello autorizzato. Tra i due non si saprebbe chi scegliere:
se l’africano che spaccia modelli plagiati di grandi marche
o il commerciante che lucra con i finti saldi di articoli mai
visti prima nella sua vetrina e che denunciano i tessuti “rigenerati”
di Prato o quelli di provenienza orientale opportunamente
rietichettati.
- Un
cast umano da satira corrosiva alla Giovenale, non quella
garbata di Trilussa. Ma si tratta in definitiva di vittime
passive o parzialmente consenzienti di una civiltà
sperequativa che ha applicato la formula inversa della teoria
del filosofo inglese Bentham, quello del Panoptikon.
Bentham diceva che occorre fare il maggior bene possibile al
maggior numero di persone e il minor male possibile al minor
numero di persone. Questa civiltà ha fatto invece il minor
bene possibile al maggior numero di persone e il maggior bene
possibile al minor numero di persone.
- Chi
percorre le vie di Roma nei mesi estivi, si accorge in
concreto, anzi in forma aerea, di questa realtà capovolta.
Gli apparecchi dell’aria condizionata di uffici e negozi,
mentre raffreddano l’interno e confortano gestori, clienti e
maestranze, emettono nell’ambiente esterno un tornado di
aria bollente. È solo un esempio, ma basta a connotare l’andazzo
dell’operare umano: in fatto di scienza, tecnica, finanza,
cultura e arte è tutto un creare, speculare, produrre senza
curarsi degli effetti collaterali a breve o lunga scadenza,
dei danni che causiamo alla natura, dei torti inflitti agli
individui, costretti a pagare in salute e dignità lo scotto
di politiche ciniche e utilitaristiche. Avendo praticato in
passato, specie noi europei, colonizzazioni ispirate da questi
princípi di ipersfruttamento di uomini e risorse –
spartendoci i territori altrui a tavolino, tracciando confini
con la squadra e la matita, inventandoci guerre per causare
esodi da un Paese all’altro, in obbedienza a crude e brute
strategie economiche, incentivando nel presente migrazioni
selvagge e disumane verso i nostri lidi per ottenere mano d’opera
a basso costo, ricattabile di per sé e altrettanto utile per
ricattare i lavoratori autoctoni e vanificare le loro tutele
giuridiche e sindacali – abbiamo riempito le nostre strade
di relitti umani che vivono di espedienti.
- Per
contro, lungo Via Cavour a Roma, l’antica “via scellerata”,
si vedono i cortei dei malcontenti, degli arrabbiati e
frustrati nazionali. Dalle folle che sfilano col solo danno di
commercianti e residenti e non delle autorità alle quali le
rimostranze sono dirette, non si levano piú gli slogan che
caratterizzavano le manifestazioni di una volta, quelle dei
tempi del sindacalismo barricadiero. Quelle istanze, le
cosiddette necessità primarie, “pane e lavoro”, ritenute
ormai soddisfatte dai governi, si rivelano invece tuttora
disattese.
- La
cronaca è piena di episodi di disoccupati che minacciano di
suicidarsi gettandosi dal Colosseo o dai ponti del Tevere. In
alcuni non manca quella nota di eccentricità che piacerebbe a
Trilussa. Tempo fa, durante un forum internazionale alla FAO
indetto dall’ONU per la fame nel mondo, un barbone aggirò
il cordone di mezzi blindati, polizia e militari messo a
protezione dell’area e si diede a correre verso l’edificio
su cui sventolavano decine di bandiere. Bloccato al centro del
Circo Massimo, si giustificò dicendo che “voleva andare a
sentire come cucinavano là dentro”. Certo che si trattasse
di una specie di mensa di solidarietà caritatevole, intendeva
toccare con mano e palato se alle buone intenzioni e
dichiarazioni dei congressisti corrispondessero altrettanto
generose e saporite elargizioni gastronomiche.
- A
voler esaminare con obiettività la condizione sociale
italiana e mondiale, ci si accorge che oltre ad aver subíto
tradimenti di ordine materiale, gli individui sono stati
defraudati di ben altro: la dignità e la possibilità di
autorealizzazione. Per cui i dimostranti non dovrebbero, come
fanno adesso, partire da Piazza della Repubblica e finire i
loro raid in piazza Santi Apostoli o a San
Giovanni. Dovrebbero invece salire all’Aventino e lí, dove
sorgevano i templi delle due divinità tutelari della plebe,
Mercurio e Diana, meditare sull’inganno di fondo contenuto
nell’apologo di Menenio Agrippa. Poiché, se è vero che
siamo, ognuno di noi, organo di un piú vasto e articolato
corpo sociale che vive e opera grazie al dinamismo collettivo,
ancor piú giusto sarebbe che nel tempo venisse esaudita l’aspettativa
di alternanza delle funzioni in virtú della possibilità di
accesso per tutti alle conoscenze fondamentali. Un perverso
meccanismo protezionistico fa sí, invece, che gli organi piú
nobili, come testa e cuore, diventino appannaggio esclusivo di
caste socio-tecnocratiche per via ereditaria, mentre ad altre,
quelle diciamo piú sfortunate, vengano riservati gli organi
meno raffinati, piú faticosi o avvilenti da attivare.
Nell’ondivago,
multiforme scenario di questa colorita città sopravvive
comunque il sacro. Santi si affollano su acroterii e
cornicioni, angeli fanno capolino da nicchie e archivolti, le
Madonne, con o senza Bambinello, dolcemente guardano i
passanti dalle edicole votive incassate nei muri di strade e
palazzi. Sono tante e tutte maternamente disponibili, anche se
la fuliggine e gli acidi che ammorbano l’aria ne deturpano
il sorriso e il gesto benedicente. Accanto alla potenza
titanica dichiarata dai resti di un’ambiziosa e solenne
civiltà, valgono i segni della devozione umana al divino.
- Anni
fa circolava una diceria apocalittica secondo la quale i
cavalli dei cosacchi si sarebbero abbeverati alle fontane di
San Pietro. Non solo questa previsione non si è avverata, ma
quei cosacchi, con o senza cavallo, non hanno retto alla forza
apotropaica non tanto di un clero armato di turiboli,
ostensori e rosari, quanto di un esercito munito di bulino,
pennello e filo a piombo. I vari Leonardo, Raffaello,
Michelangelo, Bramante, Bernini e Borromini hanno eretto un
baluardo di marmo, tempera, mestica e bronzo contro l’assalto
di tutti gli anticristi della storia, coadiuvati da migliaia
di anonimi solerti e instancabili doratori, incisori, mastri
muratori e scalpellini. Quando i nuovi millenaristi
preconizzano un’Europa senza cristianesimo, non tengono
conto di questo patrimonio di operosità geniale che ha tutto
realizzato nel nome di Cristo. Altrove forse l’obliterazione
del sacro sarebbe possibile, ma qui, dove ogni strada, lapide,
persino le etichette delle acque minerali e le banche portano
nomi di santi, sarebbe opera immane quanto impossibile
perpetrare una tale damnatio memoriae. In conclusione,
ieri i cosacchi, oggi e domani altri barbari, non
prevalebunt.
- Pur
con tutti i limiti e i tradimenti umani, lo Spirito del Cristo
ha già vinto. La sua icona è malgrado tutto familiare ai
popoli della Terra, la piú adottata, soprattutto dai giovani.
Non è una religione, ma una rivelazione, che l’uomo è
materia divina e si realizzerà in tal senso compiendo il suo
percorso creaturale per assurgere a sostanza angelica. Occorre
soltanto che passi la cupa notte del materialismo e che l’uomo
riconquisti la conoscenza spirituale, anticamente patrimonio
spontaneo, in futuro conquista individuale. È questione di
tempo, eppure già se ne colgono i segni per le strade
irrequiete del mondo. È attesa, presagio, speranza. Per dirla
con Trilussa, poeta di Roma ma voce universale dell’umanità: