- Noi
moderni conosciamo nove pianeti. Gli antichi ne contavano
sette, includendo nel novero la Luna e il Sole. Da qui i
giorni della settimana, i Cieli arcani e le relative
dimensioni astrali, i quarti lunari e, con molta
probabilità, la valenza sacra e misterica del numero sette.
L’astrologia antica attribuiva ai pianeti delle qualità
intrinseche, per cui Saturno veniva associato alla terra,
Mercurio all’acqua, Giove al legno, Venere al metallo e
Marte al fuoco. L’astrologia e i sistemi speculativi ad
essa ispirati hanno stabilito sequenze analogiche e
rispondenze simboliche tra i pianeti e gli elementi, tra le
loro forze polari intelligentia e daemonium e
le persone nate nel loro segno, alle quali conferivano il
carattere corrispondente alla propria natura planetaria. Per
cui gli individui dominati da Marte erano “marziali”, e
quindi esuberanti e battaglieri, gioviali se dipendevano
dagli influssi di Giove, cosí come potevano esserci
individui solari o volti al mistico e al magico se
influenzati dalla Luna.
- La
corrispondenza astrale non riguardava soltanto i cosiddetti
“figli dei pianeti”, ma si estendeva ai numeri, alle
gemme, ai profumi e ai colori che, a seconda del
collegamento con questo o quel pianeta, ne assumevano le
qualità e l’umore. Superfluo quindi specificare in che
modo Mercurio e Venere plasmassero il carattere dei soggetti
umani nel cui oroscopo questi due pianeti occupavano una
posizione dominante.
- L’identificazione
simbolica con le divinità ha fatto sí che Marte, nella sua
espressione deificata, formasse la Triade divina allo stesso
modo che Giove, Giunone e Minerva costituivano a Roma quella
capitolina.
- Marte
era una divinità protolaziale venerata in particolare dalle
popolazioni latine e sabine, e in origine era invocato
essenzialmente a tutela del lavoro dei campi e della
pastorizia, le attività preminenti nell’economia delle
genti italiche dei primordi. Proteggeva il germogliare della
vegetazione, delle “marze”, vale a dire dei giovani
virgulti fioriti delle prime gemme. Piú tardi, poiché il
suo culto coincideva con l’inizio dell’anno romano e con
l’avvio delle campagne militari, venne assimilato al dio
greco della guerra Ares. Guerra e agricoltura, dunque, i
pilastri della società quirite.
- In onore
di Marte, presso le popolazioni sabine e latine si celebrava
un rituale misterico importante: il ver sacrum,
ovvero la primavera sacra. Questa cerimonia aveva inizio
alle calende di marzo: si rinnovavano le corone di alloro da
appendere agli usci delle Curie e alla dimora del sacerdote
di Giove (flamen Dialis), di quella del sacerdote di
Marte (flamen Martialis) e di quella di Romolo
Quirino (flamen Quirinalis) Una vestale procedeva poi
all’accensione del fuoco sacro, che era stato spento a
febbraio, al termine dell’anno. La sacerdotessa designata
praticava con una trivella un foro in una tavola ricavata
dal tronco di un albero fruttifero (arbor felix). L’attrito
tra metallo e legno generava l’ignizione. Il fuoco che ne
scaturiva veniva portato al tempio in un braciere di bronzo.
Da qui, simbolicamente, un tizzone era poi consegnato quale
viatico ai giovani che andavano a fondare nuovi insediamenti
lontani dalla città madre. Il “focolare” costituiva
infatti, una volta scelto il sito da colonizzare, il nucleo
dal quale si sarebbe animata la nuova comunità. E quel
granello di legno ardente ne sarebbe stato il seme.
Guidavano i gruppi dei migranti, indicando loro la strada,
gli animali sacri a Marte: il picchio verde e il lupo.
- Ad
avvalorare il legame di Marte con la dimensione agreste,
Ovidio narra la leggenda che vuole il dio legato
strettamente alla natura vegetale, alla forza generativa che
presiede al nascere e al crescere delle piante, al
propagarsi dei semi e agli innesti che si praticavano
durante il mese a lui dedicato. Narra il mito riportato da
Ovidio, che Giunone, irritata per la nascita di Minerva
direttamente dalla testa del marito senza la sua
partecipazione, si riproponesse di rendere a Giove la
pariglia. Chiese allora a Flora, la dea della forza
linfatica che alimenta la vita vegetale, di procurarle un
fiore magico capace di renderla feconda senza l’intervento
maschile. Fu cosí che venne concepito Marte, grazie al
semplice contatto di sua madre, la regina degli dèi, con un
fiore miracoloso raccolto dalla ninfa che, amata da Zefiro
dio del vento, era divenuta dea anch’essa, con la potestà
di regnare sui fiori spontanei dei campi e su quelli
coltivati. Era lei per questo che faceva produrre alle api
il miele.
- Anche a
noi, uomini progrediti e malati di densità e promiscuità
demografica – derivante dall’insensata inurbanizzazione
e dal conseguente abbandono di vasti spazi aperti – il
pianeta Terra sembra stare stretto. Sgomitiamo, scalciamo
alla ricerca su nuovi pianeti di quanto qui già abbiamo
senza saperlo vedere e apprezzare. Per questo, mancandoci l’essenziale
pur abbondando del superfluo e dell’effimero, anche noi
come i popoli protolaziali tentiamo di celebrare, a modo
nostro, s’intende, il ver sacrum, la diaspora
interplanetaria, per andare a cercare altrove nello spazio
le condizioni idonee a formare una nuova civiltà.
- Ma quale
fuoco sacro e germinale portiamo noi da questo nostro
pianeta in stato di deliquescenza, un mondo stanco, tarato
da nevrosi d’angoscia da un lato e da deliri di potenza
dall’altro? I giovani romani e sabini camminavano tenuti
per mano dagli dèi, ne leggevano i segni e ne rispettavano
i dettami. Procedevano sicuri nell’alone della
trascendenza mistica, baciati dal candore di ideali
archetipici non ancora intaccati dalla tabe dell’opportunismo
e del prosaico. Le loro fronti splendevano di un’eroica
innocenza e le città che andavano a fondare si ergevano nel
nome di valori superumani. Non era quella una fuga dalla
società in cui erano nati, cresciuti e diventati uomini.
Essi incarnavano le cellule vitali di una benefica
metastasi, che irradiava umori e valori di alta moralità.
Rispettosi della triade Dio-natura-uomo, portavano lo
spirito di un’essenza interiore di individui aggregati in
un popolo e ne facevano l’anello di una catena di
comunità aventi lo stesso retaggio animico. Erano
missionari di civiltà.
- Tutte
queste considerazioni sembrano invece cedere il passo, nell’approccio
alla realtà marziana da parte di scienziati e tecnici, a un
opportunismo di stampo pragmatico. È già in atto una
colonizzazione semantica nella mappatura del pianeta
visitato dalle sonde: Mount Olympus, Gusev Crater, Endurance
Valley, Columbia Hills e via di seguito. Forse a questa
dominazione seguirà una lottizzazione sulla carta, anzi,
sulle carte topografiche marziane. A meno che – come
ipotizzava un celebre film di qualche anno fa, Capricorn
one, in una tesi di fantasia ma molto plausibile – la
conquista del pianeta rosso non sia stata tutta una messa in
scena politico-elettorale e le immagini inviate dallo spazio
profondo in realtà provenissero da una segreta località
terrestre. Come nel caso della citata pellicola, nella quale
in un hangar militare abbandonato nel deserto del Nevada era
stato allestito un vero e proprio set cinematografico,
riproducente con verosimigliante fedeltà il suolo del
pianeta su cui gli ignari piloti dell’astronave, costretti
con l’inganno a quella farsa, avevano messo piede. Se
cosí fosse anche nella presente missione, gli acquirenti
dei fantomatici lotti marziani resterebbero con un pugno di
sabbia terrestre.
Ma
a parte le frodi e le combine elucubrate dalle finzioni
letterarie e cinematografiche, Marte risulta comunque
deludente. Il motivo è da ricercare nell’aspettativa, da
parte degli scienziati, di una realtà fisico-materica
simile alla nostra, obbediente alle leggi chimiche e
biologiche della terra. La totale assenza nell’ambiente
esteriore visibile del pianeta “piccolo apportatatore di
calamità” – come era ritenuto dagli antichi astrologi –
di elementi come acqua, aria e di processi geologici simili
a quelli terrestri, induce i ricercatori materialisti a
prospettare una sterilità biologica assoluta su Marte. Le
conoscenze esoteriche affermano invece che ogni pianeta ha
una sua propria dimensione, e che l’esistenza dei suoi
abitanti si svolge su piani diversi da quelli terrestri, non
percepibili quindi dai nostri organi sensori. Sappiamo
peraltro, grazie alla Scienza dello Spirito, che l’uomo
entra in contatto con quelle dimensioni ogni notte durante
il sonno profondo, e nel periodo fra morte e nuova nascita.
Per quanto specificamente riguarda Marte, sempre la Scienza
dello Spirito ci rivela il ruolo avuto da questo pianeta in
un lontano passato, quando fu teatro di grandi conflitti tra
i suoi abitanti, al punto che il Buddha, per redimerne il
karma, accettò di compiere un sacrificio personale simile a
quello del Cristo sul Golgota.
- Queste
rivelazioni sono ardue da accettare per gli individui dell’epoca
attuale, incapaci di adoperare il calibro trascendente per
misurare le proprie azioni e gli eventi cosmici. Siamo
immersi nella materia, ne siamo integralmente condizionati.
Laddove andare nello spazio è un procedere per vie e mezzi
eterico-astrali di cui fatichiamo a impadronirci, per colpa
di un sistema di disvalori planetari diventati la nostra
prassi esistenziale. Noi ci fidiamo ormai solo della
macchina, del congegno, e per sottrarre le nostre navicelle
spaziali alla gravità terrestre bruciamo energie materiche
colossali, risorse economiche e intellettuali sconfinate,
che andrebbero utilizzate per cause e propositi migliori
sulla Terra. In questo nostro delirante procedere, abbiamo
iniziato a lasciare scorie e detriti nel vuoto cosmico. Se
le sonde Spirit e Opportunity fossero veraci, l’inquinamento
marziano, dopo quello terrestre, sarebbe già iniziato.
- Cosa
cerchiamo in verità con queste imprese che ricordano un po’
la megalomania babelica del “mai troppo alto”? Spazio
territoriale, risorse minerarie, scoperte scientifiche
strabilianti? Pretendiamo di sceverare i segreti dello
spazio e degli altri corpi celesti e non abbiamo neppure
esplorato l’interno della Terra e contattato le creature
che lo abitano. Continuamente si ritrovano specie di pesci e
piante ritenute estinte, cosí come tribú primitive allo
stadio neolitico avvistate nelle foreste del Borneo o dell’Amazzonia,
vedi i famigerati “flecceros” brasiliani scoperti di
recente. E, cosa piú grave, non utilizziamo se non
superficialmente tutte le potenzialità animiche e cerebrali
dell’uomo, le sue virtú spirituali e le facoltà possenti
che da esse potrebbero e dovranno sbocciare.
- Questo
desiderio di esorbitare dalla nostra Terra per incognite
periegesi spaziali è semmai il segnale di un volerci in
fretta allontanare dallo scenario di un disastro
fallimentare filosofico, economico, scientifico, sociale. Il
parco divertimenti di maldestri orchi mangioni che, avendo
guastato e smembrato i loro giochi, sono alla ricerca di
nuove aree ludiche dove ricominciare a imbrattare, rompere,
consumare e distruggere. A quando una missione alla scoperta
dell’Uomo vero? Vasti e doviziosi territori ci attendono,
inesauribili per consolazioni e ricompense. Invisibili all’ottica
materiale ma quanto mai reali e percepibili alla visione
dello Spirito.
- Ciò
sarà possibile solo quando avremo del tutto sublimato la
nostra natura fisica, eterizzato il gravame biologico che ci
rende vulnerabili alle mille e piú insidie batteriche,
virali, alla dilatazione del tempo e dello spazio oppure
alla loro estrema rarefazione. Cosí come siamo adesso,
possiamo unicamente eccitarci guardando ciò che la TV ci
ammannisce: un robottino che avanza a 36 metri l’ora su
una distesa di sassi e buche, che si pretende sia Marte,
cercandovi segni di vita. Una vita su quel pianeta c’è,
ma nessuna sofisticata videocamera riuscirebbe a coglierla e
rivelarla, poiché ha occhi come i nostri: vedrebbe soltanto
la dimensione fisica, considerata dall’attuale scienza
materialistica la realtà ultima.