Incontri

Le Massime antroposofiche di Steiner, e in particolare le nn. 44, 45 e 46 (pp. 34-35 dell’edizione 1969), indirizzano con precisione sullo studio del Karma. Con riferimento a quelle massime mi pare di qualche interesse la segnalazione di una esperienza karmica individuale, gravitante sulla persona di Massimo Scaligero, come quella che segue.
Il primo incontro con Massimo rimane, naturalmente, indimenticabile. Dopo tanti anni non ricordo la data, né il nome di chi mi avesse suggerito di rivolgermi a lui per affidarmi ad una guida sicura. Già uomo maturo, ma con le medesime irresoluzioni dell’adolescente e un anelito indeterminato verso un’altrettanto indeterminata “regione” dello Spirito, mi aggiravo a quei tempi a tentoni per le foreste e le boscaglie della “cultura”, infarcito delle piú varie filosofie, da Platone a Gadamer. Mica so cosa andassi cercando in quelle filosofie. Già il fatto che mi aggirassi a tentoni per i territori della cultura e che “qualcuno” mi indicasse l’esistenza di Massimo Scaligero è di rilevanza karmica innegabile. Prima dell’incontro con Lui però, e proprio da adolescente, avevo avuto una esperienza altrettanto indimenticabile.
Covavo già da quattordicenne gran simpatia per tutto ciò che inclinava la mia attenzione verso le cose dello Spirito, e a quell’età avevo avuto l’ardire di scrivere una letterina al filosofo Giovanni Gentile, per il quale nutrivo profonda venerazione; egli mi appariva allora un vero araldo dello Spirito. Per quanto potessi capirne a quell’età, mi intestardivo nel pretendere di saper leggere i suoi libri. Con quella letterina gli chiedevo di poterlo conoscere personalmente, e il grande pensatore, ignorando naturalmente la mia età, mi rispose, fissandomi un appuntamento presso il suo magnifico studio dell’Enciclopedia Treccani, di cui era Presidente. Non mi ero qualificato e forse la mia lettera, fin dalla calligrafia già smaliziata, dall’uso dei vocaboli e di una sintassi accettabile, non doveva avergli destato il sospetto che io fossi un adolescente; pensava forse che si trattasse di uno degli studenti della facoltà di lettere. Ricordo ancora il suo lieve cenno di sorpresa al vedersi invece davanti un vero e proprio ragazzino. Tuttavia si dispose ad ascoltarmi con un po’ di curiosità, ma con la piú amabile e incoraggiante benevolenza. Potei cosí manifestargli subito e senza pudore le mie velleità. Volevo (niente po’ po’ di meno!) fondare una rivista di cultura, e in particolare di filosofia, da destinare ai giovani della mia età, per farne anche veicolo del suo alto magistero; chiedevo quindi a lui l’aiuto e il patrocinio.
Ero a quei tempi un entusiasta fascista, come non poteva non esserlo un giovincello, specialmente nel clima prebellico del ’39, quando la retorica patriottica imperversava oltre misura e conquistava qualunque ragazzo che, privo di contatti con qualche non fascista o con antifascisti, avesse l’anima intrisa di quel patriottismo, che s’identificava tout court con il fascismo. Tanto più l’adolescente qual ero io, educato da una madre che era stata addirittura squadrista (cioè fascista della primissima ora!). Da adolescente abitavo peraltro in un condominio del Rione Monti, un antico quartiere del centro di Roma in cui tutti erano, o mi pareva che fossero, fascisti; e il rione si trovava in prossimità di quella piazza Venezia che, di lì, si poteva raggiungere in pochi minuti a piedi, nelle frequenti circostanze in cui il popolo era chiamato a salutare nel Duce, il Fondatore dell’Impero.
L’incontro con il Gentile fu emozionante, certo, ma si mutò subito in una cocente delusione. Alla distanza di piú che cinquant’anni ricordo nitidamente il contenuto e il senso di ciò che mi disse, dopo avermi prestato la sua cordiale attenzione, e che mi aveva deluso.
“Mio caro ragazzo – disse –  i suoi propositi sono commendevoli, ma a parte il fatto che la cultura in questo momento si trova in mani poco raccomandabili, è forse piú opportuno che lei prosegua con impegno i suoi studi e attenda di conseguire piú matura coscienza della sua libertà interiore”.
Se il senso di ciò che mi disse è rimasto nella mia memoria come ho appena detto, letterali e indelebili sono rimaste invece le parole in corsivo: la cultura in questo momento si trova in mani poco raccomandabili.
Io sapevo, per sentito dire, che non il Duce ma lo stesso eminente pensatore che avevo davanti aveva scritto di suo pugno quel testo sinottico sulla “dottrina del Fascismo” che si poteva leggere sull’Enciclopedia Treccani di allora!
Ma la cultura, in quel momento, non era cultura fascista? Che significava allora quella frase?
I rovelli nei quali mi dibattei per qualche anno intorno a quelle parole furono un tormento che durò fino a che non ebbi modo di spiegarmi per quale motivo certi filosofi eredi del grande pensatore, dopo la caduta del Fascismo, avessero imboccato tanto diversi e inattesi sentieri culturali, che non sto qui a specificare ma tutt’altro che fascisti. Ebbi modo di capire che, in verità, l’eminente interlocutore si collocava ben al di sopra dei fascismi e degli antifascismi, e doveva semplicemente accettare il suo destino, quello di trovarsi impigliato nella rete delle contingenze storiche e politiche in cui s’era lui stesso immerso.
Quando incontrai Massimo Scaligero Gli raccontai anche di quell’esperienza adolescenziale e, nel breve commento ch’Egli ne fece, trascurando del tutto la valutazione dei vari particolari, si soffermò sulla circostanza che io nutrissi una grande venerazione per il pensiero e la persona di qualcuno. Non era importante che, per il caso specifico, quel “qualcuno” s’impersonasse in una figura storicamente cosí importante come quella di Giovanni Gentile. Riferendosi con tutta evidenza a quello che Steiner addita come primissimo passo verso l’Iniziazione, vale a dire di nutrire il sentimento della devozione, della venerazione, mi disse: “Ecco probabilmente da dove proviene l’impulso che ti ha spinto verso la Scienza dello Spirito!”
A quel tempo la letteratura occultistica mi attirava, se pure aborrivo l’eccesso di pattume nel quale m’era dato di imbattermi curiosando tra gli scaffali delle librerie. L’occultismo lo vedevo istintivamente come un suburbio culturale pieno di insidie, suburbio nel quale non ero certo di potermi addentrare, se non disponendo di doti e di armi spirituali adeguate. Rivelazione determinante fu per me, invece, la lettura e poi lo studio di Filosofia della Libertà. Per lungo tempo cercai di capire perché lo Steiner filosofo non trovasse posto nelle storie della filosofia, ad onta del suo non copioso ma importante lavoro filosofico, qual’è documentato, anche tradotto in varie lingue e (almeno apparentemente) indipendente dal successivo impegno occultistico. Per me bastava il solo testo di Filosofia della Libertà a collocarlo non solo tra gli autentici filosofi, bensí tra i piú importanti. Certo assai piú significativo che il tanto reputato Heidegger, per esempio! Mi detti presto una risposta: è evidente che, per la cultura accademica, l’impegno occultistico rappresenta una inaccettabile degradazione del pensare, se pure si può ammettere che in quella cultura si sappia davvero e da tutti cosa significhi “pensare”! Che pensatori della statura di Giordano Bruno e Tommaso Campanella fossero occultisti si può implicitamente spiegare col fatto che la scienza, da allora ad oggi ha pur fatto i meravigliosi progressi cui assistiamo!
Bisogna pur dire che Filosofia della Libertà, tradotta per Laterza prima che si divulgasse lo Steiner occultista, meritò qualche rispettosissima attenzione da parte degli accademici. In Italia, il gentiliano Vito Fazio Allmayer la recensí (sul Giornale Critico della Filosofia italiana, 1920) con qualche accento di sussiego, trovandola (bontà sua) “un notevole sforzo per conquistare ...una concezione della libertà e perciò dello spirito”, non senza la riserva che, tuttavia, “..la soluzione (data da Steiner) riesce malsicura ed incerta” (sic!). Eccola la chiave dell’enigma: un filosofo dovrebbe fornire all’anima una soluzione sicura e certa, mentre lo Steiner pone davanti all’anima degli enigmi da elaborare, un sentiero in salita da affrontare! E bisogna sottolineare che si tratta di un sentiero che il successivo magistero di Massimo Scaligero non rende affatto piú agevole. Anzi, sono certo che Massimo Scaligero non fu mai nemmeno sfiorato dall’idea di rendere meno arduo quel sentiero, che ha invece avuto il coraggio lui stesso di affrontare e battere, da buon montanaro, fino a quando arrivò il momento giusto per dimettersi dall’ufficio assegnatogli su questo pianeta.
Avere per amico Massimo era (anzi è, perché l’essere andato altrove non vuol dire che manchi) uno sprone e ad un tempo un conforto per chi, come noi, sta ancora arrancando i primi timidi passi. Avere per amico Massimo significò capire come si potessero sciogliere alcuni nodi del proprio karma individuale, disporsi ad affrontarlo con coraggio e con la consapevolezza che non è permesso eludere le proprie responsabilità. Ricordo che confidandogli qualche problema legato a dissapori famigliari e coniugali, mi mise con grande severità in guardia dalle conseguenze di un atteggiamento insofferente e collerico. Tra le cose piú importanti, devo a lui la comprensione di come si debba, nella maggioranza dei casi, andare incontro agli eventi con l’atteggiamento interiore della positività. Fu un grande maestro di tecnica della disciplina interiore. Aveva del miracoloso la sua sagacia nel trasformare –  fin dove fosse possibile – la costituzione animica di un uomo già maturo e pur provato da avventurose vicende della vita. Ma ha ancora del miracoloso per chi lo sente sempre vicino nelle occorrenze spiritualmente piú significative.

Vittorio Leti Messina