
…Quando adunque il
nostro Cortegiano sarà giunto a questo termine, benché assai
felice amante dir si possa a rispetto di quelli che son sommersi
nella miseria dell’amor sensuale, non però voglio che si
contenti, ma arditamente passi piú avanti, seguendo per la
sublime strada dietro alla guida che lo conduce al termine della
vera felicità; e cosí in loco d’uscir di se stesso col
pensiero, come bisogna che faccia chi vuole considerar la bellezza
corporale, si rivolga in se stesso, per contemplar quella che si
vede con gli occhi della mente, li quali allor cominciano ad esser
acuti e perspicaci, quando quelli del corpo perdono il fior della
loro vaghezza; però l’anima, aliena dai vizi, purgata dagli
studi della vera filosofia, versata nella vita spirituale ed
esercitata nelle cose dell’intelletto, rivolgendosi alla
contemplazione della sua propria sostanza, quasi da profondissimo
sonno risvegliata, apre quegli occhi che tutti hanno e pochi
adoprano, e vede in se stessa un raggio di quel lume che è la
vera imagine della bellezza angelica a lei comunicata, della quale
essa poi comunica al corpo una debole ombra; però, divenuta cieca
alle cose terrene, si fa oculatissima alle celesti; e talora,
quando le virtú motive del corpo si trovano dalla assidua
contemplazione astratte, ovvero dal sonno legate, non essendo da
quelle impedita, sente un certo odor nascoso della vera bellezza
angelica, e rapita dallo splendor di quella luce comincia ad
infiammarsi, e tanto avidamente la segue, che quasi diviene ebbra
e fuor di se stessa, per desiderio d’unirsi con quella,
parendole aver trovato l’orma di Dio, nella contemplazione del
quale, come nel suo beato fine, cerca di riposarsi, e però,
ardendo in questa felicissima fiamma, si leva alla sua piú nobil
parte, che è l’intelletto; e quivi, non piú adombrata dalla
oscura notte delle cose terrene, vede la bellezza divina; ma non
però ancora in tutto la gode perfettamente, perché la contempla
solo nel suo particolar intelletto, il quale non può esser capace
della immensa bellezza universale. Onde, non ben contento di
questo beneficio, amore dona all’anima maggior felicità: che,
secondo che dalla bellezza particolare d’un corpo la guida alla
bellezza universale di tutti i corpi, cosí in ultimo grado di
perfezione dall’intelletto particolare la guida all’intelletto
universale. Quindi l’anima, accesa nel santissimo fuoco del vero
amor divino, vola ad unirsi con la natura angelica, e non
solamente in tutto abbandona il senso, ma piú non ha bisogno del
discorso della ragione; che, trasformata in angelo, intende tutte
le cose intelligibili, e senza velo o nube alcuna vede l’ampio
mare della pura bellezza divina, ed in sé lo riceve, e gode
quella suprema felicità che dai sensi è incomprensibile.
Baldassar Castiglione
“Discorso di Pietro Bembo” dal Cortegiano,
IV-LXVIII.
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