Può
la bellezza assolvere la morte,
farne gaia e solenne liturgia?
Con estrosi pigmenti catturare
il cielo e regalarlo agli ipogei?
Per lo strazio represso elaborare
un alibi di tenue fiordaliso
nei motivi del fregio lungo i muri:
rari uccelli con delicate piume,
grazia di tenui veli intorno ai corpi
di figure danzanti fra girali
e ricami che ornano il mantello
rituale dell’augure. Già l’anima
freme sul pugno del fanciullo, rondine
pronta a spezzare il laccio che la tiene
e sciogliersi dal glutine materico.
Può l’espediente d’armonia lenire
l’efferata ecatombe che l’eroe |
con
mano ferma sta compiendo, pronubi
le infere deità librate in volo,
appagate dal sangue? Può la vita
estinguersi in silenzio e non gridare
il suo diritto a perpetuarsi, a uscire
da tenebre muschiose in pieno sole?
Dove torrenti cingono rovine,
riducendo quel regno trapassato
a un’isola distante, irraggiungibile,
può irrompere da ceneri neglette
a un mondo aperto di fulgore e suoni:
qui vento e nembi parlano di un Dio
che nutre l’erba e l’oro del tarassaco,
il miele nel gorgheggio dell’allodola,
segno che alterna foglia a seme, a voce
nel ciclo di un eterno divenire.
Solo questa è perfetta arcana pace.
Fulvio Di Lieto |