- Questo cogliere
in immagini, questo imaginare, questa
percezione sottile, questo vitale, fluidico cogliere, può
essere evocato, coagulato, e disperso,
dissolto, come anche Franco Giovi ha osservato, sempre su “L’Archetipo”.
- È possibile provare a farlo
evocando-disperdendo le immagini avute, come i ricordi,
che si hanno quali immagini-sintesi in cui vi è tutto in
un attimo quello che poi si dirà, si spiegherà in
successione temporale. Se leggete adesso qui la semplice
parola “alloro”, ecco che immediatamente vi salta alla
mente quello che di questa pianta già conoscete, oltre a
quello che avete letto su queste pagine, ed è come una
sola immagine, vedete? Ora provate a raccontare dell’alloro
a una persona che vi sta accanto, per quel poco o tanto
che è in voi, e notate la differenza tra questo vostro
descrivere in successione un qualcosa che avete colto, che
è un ricordo, e l’immagine-sintesi che è balenata in
voi appena avete letto la parola “alloro”.
- Di questo evocare/disperdere
può essere tratta anche una “segnatura”. Per poter
tentare ciò, prendiamo in prestito, osservandoli “novellamente”,
i segni grafici convenzionali usati per le vocali “e”
ed “o” dell’alfabeto. In grammatica usiamo la “e”
quale congiunzione, e pure il segno grafico
minuscolo rimanda simbolicamente a ciò, collegando
un punto ad un altro. Invece la “o” determina in
grammatica un’alternativa, e “simbolicamente”
la linea che congiungeva i due punti si chiude su di un
unico punto. Ecco quindi che il contenuto concettuale
corrisponde al contenuto formale visivo del simbolo.
- Una congiunzione tra due punti
potrebbe essere una semplice linea retta, ma se è una “e”,
in realtà, viene creato un “ente” che si forma con la
linea che va avanti, torna indietro un momento, per poi
girare e proseguire avanti.
- Cosí possiamo tentare di
immaginare questa metamorfosi dinamicamente dal basso:
nella “o” un ente si coagula, si evoca, si fissa,
lentamente si trasforma nella “e” come dissolvendosi,
disperdendosi, dipanandosi per tornare a voler formarsi in
una “o” ma capovolta.
- «…Ripetete piú volte l’operazione,
evocando e disperdendo, evocando e disperdendo – coagula
et solve – sino a possedere uno stato, vostro, di
intensità…» (Franco Giovi).
- Si può tentare anche un’ulteriore
sintesi grafica simbolica, dove però non è descritta in
successione la metamorfosi, ma diviene una ulteriore
sintesi per sovrapposizione: creando cosí un neo-logo.
- L’Arte che è capace sopra
ogni altra di sintetizzare in un gesto e in un movimento
del corpo umano sia una forma visiva sia una forma sonora
sia anche una qualità interiore vivente, è l’Euritmia
fondata da Rudolf Steiner.
- Prendendo spunto dalla “e”/“o”
grafica che si relaziona alla “e”/“o”
grammaticale, abbiamo osservato che la “e” è una congiunzione,
mentre la “o” è un’alternativa.
- In euritmia ciò invece si
ribalta, e mentre la “e” chiude, si incrocia, la O
abbraccia, ama: l’opposto delle qualità espresse nelle
due vocali intese grammaticalmente.
- Il gesto usuale dell’incrociarsi
delle braccia (braccia conserte) o delle gambe accavallate
sono delle belle “e” nella gestualità spontanea, e
possiamo notare come vengano effettuate in situazioni in
cui ci si vuole come “chiudere” rispetto al fuori, al
contrario della bella “o” dell’abbracciarsi: proprio
il contrario del “o io o tu”, cioè “io con te siamo
tutt’uno”.
- Oppure la bellezza, la grazia,
nel gesto dell’indicare con il dito,
consueto per un insegnante, in cui si disvela una “d”
euritmica del dada, come è detto in sloveno “il
maestro”, o il tata, come invece si chiama in
friulano “il papà”.
- Notiamo come si approfondisca
ulteriormente il contatto interiore con il mondo della
Parola.
- Nel gesto euritmico, in un atto
vivente di volontà cosciente, viene creata una forma
oggettiva contemplabile nella sua virtú vivente,
addirittura assimilabile ad una virtú interiore che si
esprime “proprio in quel gesto e non in un altro”: che
si può avvertire solo sperimentandolo, muovendo nel
tempo, nello spazio.
Le virtú interiori evocate nel
gesto euritmico per le vocali (nel pensare, sentire e
volere):
Figure
euritmiche: le vocali |
- A: – meraviglia,
accoglimento
– armonia
– volontà
- E: – concentrazione,
venerazione
– meditazione, devozione
– decisione
- I: – intuizione
– ispirazione
– immaginazione
- O: – cosmo
– amore – mondo
- U: – unità
– umanità – umiltà.
- Le corrispondenti movenze
euritmiche sono immagini poderose: sono virtú
viventi, sintesi viventi, semi viventi, gesti
viventi. Le movenze euritmiche compiute da soli, sono
diverse da quelle eseguite con un’altra persona, con
due, tre o altre persone, di fronte o di lato, avanti o
indietro, in una figurazione geometrica o in un’altra.
Quello che rivela una sola movenza è differente secondo
il grado di assetto interiore (morale) in cui viene
compiuta, a partire dalla singola esecuzione; che
cambia ancora, interiormente, relazionandola ad altri da
sé che compiono movenze contemporaneamente.
- Vi è un’immagine interiore
portata anche dal “numero”, che nel gesto ripetuto si
avverte: provate a fare una volta una cosa, un gesto, poi
una seconda. Per provare la terza bisognerebbe aspettare,
cosí per la quarta ecc. Si può avvertire una differenza,
si rivela una “qualità” del numero.
- Raccontate una cosa. Nell’ulteriore
svolgimento poi raccontate “la stessa cosa”: appare il
mistero, l’immagine del “2”, nel ripetere.
- La terza ripetizione porta una “intenzione”.
Una intenzione.
- Vi propongo una “specie di
poesia” per meditare sul segreto del numero nella
variante di Rudolf Steiner di antichi testi rosicruciani a
cui è associato il diagramma della figura a lato:
Chi penetra bene l’azione dei
numeri
vede come è costruito il loro mondo.
Il quattro è in ogni luogo
come numero degli elementi,
da essi sorge il tre,
e ti danno spirito, anima e corpo.
Il due sorge da Sole e Luna,
ne nasce il Figlio dell’uomo,
cui nulla somiglia nel mondo,
che supera tutto il regno terrestre.
- Dobbiamo esercitare questo
novello organo interiore che si va formando, che abbiamo
cominciato a frequentare, a osservare, a riconoscere nella
sua realtà e potenza.
- Vi è anche un’immagine
interiore portata dal diverso modo di percepire il senso
del tempo: se in un viaggio in treno parliamo con
delle persone cordialmente, ci accorgiamo all’arrivo di
quanto sia passato velocemente il tempo; viceversa se non
c’è nessuno, se non abbiamo nulla da fare, lo scorrere
del tempo sembra molto piú lungo.
- Il primo movimento della
conoscenza è un moto di meraviglia.
- Innanzi tutto sorge una domanda:
una necessità viva a cui si fa di tutto per trovare una
risposta che porti una “trasformazione” in noi: a cui
la domanda pone un viatico di schiettezza e veracità. Da
dove viene questa forma? Che cosa crea la forma?
Che qualità rende percepibile l’ambito di tale
creazione? Come si sviluppa tale qualità? Qual è il suo
potere?
- Il secondo movimento è il
porsi in un’attitudine di osservazione.
- Silenziosamente ma “entusiasticamente”,
ed è quello che abbiamo fatto con le piante: si
raccolgono, si coltivano, si osserva attentamente la forma
di ognuna, nel confronto si coglie la differenza, e si
frequenta un ambito di immagine sottile, delicata, un’impressione
viva di quella forma vivente.
- Abbiamo quindi potuto prima
accorgerci della personale possibilità e capacità di
imaginare, quindi poi esercitare, cominciare a
considerare come ulteriore movimento il fatto di rendere
pulito e potente questo talento, “mortificando”
fantasie volatili ed enucleando una fantasia esatta.
Poiché deve essere un imaginare sobrio, schietto, sagace,
non ebbro, evanescente, esagitato: uno strumento efficace
di trasformazione e non il vaniloquio inconcludente di
anime instabili. Una sensibilità che deve essere resa
stabile, dominata da una tempra che la renda capace di
divenire strumento efficace di conoscenza.
- L’imagine si “presenta da
sé” o si può “evocare”, si può
lasciare a intorpidire o esercitare a trasformare:
interiormente vi è quindi un dove (che individua)
e vi è un come (che determina).
- Nella vita ci può succedere di
tutto. Alcune sensibilità, qualità personali che si
hanno, ci permettono di intuire, di cogliere il reale
vivente operante là dove un malanno ci porta a toccare l’ambito
della morte fisica, dell’assenza assoluta del vivente, l’assenza
chiama cosa manca. Eventi tragici e dolorosi del destino
possono portare una madre o un padre a perdere
letteralmente il senno per la perdita di un figlio, oppure
a essere capaci di fare fiorire una qualità che benedice
ogni successivo momento della loro e della altrui vita.
Dolore, sofferenza che, quanto sono piú profondi e
sopportati con una destità che si riesca a tenere ancora
vigile “nonostante tutto”, creano, fioriscono in una
nuova sensibilità “angelicata”, veramente nuova.
- Oppure ci si accorge di come una
malattia, che si ha sempre avuto ma di cui non si sapeva
nulla, può portarci a voler rendere piú efficace il
proprio operare, portandosi ad un’essenzialità che
rivela quelle qualità che non operanti ammalavano e che
operanti ci guariscono, ci trasformano, ci rivelano la
nostra vocazione.
- Allo stesso modo, può accadere
spontaneamente che in un punto “geografico” piú o
meno a una stessa ora si intuisca qualcosa dove per
giorni, mesi, anni si passava senza mai vedere quello che
ora è di una evidenza lampante: si vedono due piante e ci
fulmina il fatto che una è mineralizzante e l’altra no,
una è albero l’altra è erba. Oppure, sempre nello
stesso “punto”, notare la potenza di una gru su di un
camion e cogliere che senza il petrolio che brucia,
scoppia, viene consumato, “sacrificato”, senza
qualcosa che viene “risucchiato” per essere dato come
energia e dominato nel meccanismo, non si sposterebbero
quei carichi pesanti. Realizzando quindi che “meccanicamente”
non viene mosso niente e che è sempre qualcosa di
organico che muove, che nessun “meccanismo” ha forza
ma che “organismi” hanno forze, che dietro a qualsiasi
movimento di macchine vi è un principio organico, di
vita, che determina il moto e la forza. Potendo quindi
riosservare dopo qualche tempo l’intuizione balenata, si
riconosce ulteriormente che in realtà il “meccanismo”
riesce a contrapporre al moto vivo scaturito dall’organico
la sua potenza di fissità, di peso, di sostanza minerale,
di morte e nella “forma” in cui è strutturata,
ordinata, composta, dall’uomo questa sostanza minerale,
materia, oscurità, prorompe il moto dell’elemento
organico vivente che, incontrando l’ostacolo di
fissità, modulato diversamente nelle varie forme, può
diventare allora elemento che solleva argani, elemento che
muove ruote, elemento che fa arrivare violentemente un
corpo piccolo di metallo in un corpo umano, e cosí via…
- Questo può cogliere ognuno,
cosí come può sapere di sé, può cogliere dal proprio
stile.
- Il tipo, il modo di imaginare è
peculiare alla persona e alla vita, al mestiere, al ruolo
che “frequenta”: essendo io di professione un grafico,
muoverò da un certo modo di imaginare, il medico muoverà
da un altro, il tenore o il pianista da altro ancora,
cosí la casalinga, la segretaria, la studiosa, l’insegnante,
il militare ecc.
- Una “capacità di comporre”
è per il grafico una qualità essenziale per il suo
operare, l’organizzare immagini e il testo in modo che
suscitino un’impressione o tutt’altra. Parlando del “principio
ordinatore” umano che si rivela in questa forma, ad
esempio, per me grafico è interessante anche l’osservare
“da dove arriva” questo tendere a ordinare, il “mio”
ordinare componendo, o comporre ordinando. Già persone
che mi frequentavano da molto tempo lo notavano e me lo
dicevano senza che io potessi cogliere quello che mi
facevano notare. Nel rendermene conto oggi, nel vederlo “del
tutto mio” adesso è possibile portare lo sguardo
indietro nel tempo e vedere qualcosa che è maturata, è
diventata strumento, dal mio “dover” organizzare
progetti, artigiani, burocrazia nell’ambito di un altro
mestiere che è stato per molti anni quello di arredatore:
qualità maturate da esercizio “spinto” dal destino.
Maurizio Barut (3. continua)
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