Costume

La “città dei morti”, un vecchio cimitero del Cairo divenuto un quartiere abitativo dei piú poveri, che hanno da tempo eletto dimora nelle sepolture degli antichi califfi e dei mamelucchi.

Non è la marca di una cioccolata,
o di biscotti per la colazione:
nello swahili di Nairobi indica
“l’uomo che mangia grazie alla mondezza”.
Sono i kenioti senza grado e censo,
abitanti in ripari di fortuna
nel suburbio del grande capoluogo;
vagano per le strade e sopravvivono
sniffando colla per calmare i morsi
della fame che uccide piú dell’AIDS.
Per questi sperequati dalla sorte,
penosi frutti del colonialismo,
diventano, le pile di rifiuti
ammassati in discariche abusive,
una dispensa a modo di self service,
un grande magazzino a cielo aperto
dove trovare capi di vestiario
e vari oggetti utili a campare.
Tale crudo fenomeno si replica
nel Terzo Mondo in ogni megalopoli,
con le ovvie varianti geopolitiche
e i tipi del corredo antropologico.
Al Cairo, una metropoli di ormai
quasi venti milioni di abitanti,
i senza tetto eleggono dimora
nei cimiteri della gente bene,
allocandosi in tombe e mausolei
dove montano tende e paratie,
creando appartamenti in piena regola,
con cucine, soggiorni e zone letto.
La vicinanza dell’immondezzaio
consente ai derelitti di pescare
cibo e quant’altro dalle colossali
piramidi formate dal pattume
proveniente dai ceti benestanti,
dai condomini della borghesia
che mangia il sovrappiú che a loro manca.
Cecità, rachitismo, insufficienza
nello sviluppo fisico e mentale,
patologie virali d’ogni sorta

Un chokora di Nairobi sceglie
tra alcune scarpe recuperate

Sorridenti, ecco due anziani
abitatori di una tomba al Cairo

sono le conseguenze cui va incontro
chi assume queste ignobili pietanze
avendo a coinquilini i trapassati.
Voi penserete che siffatti casi
succedano soltanto nei Paesi
diseredati. No, disilludetevi.
Nel camposanto di Castronno, presso
l’opulenta Varese, ha preso alloggio
tale Crestani Lella, una sfrattata,
anni cinquantadue, senza lavoro,
quasi cieca, diabetica, con soli
duecentotrenta euro di pensione
sociale, una miseria. Si consola
parlando coi defunti e con un cane
randagio, suo compagno di sventura.
Nei trionfi dei Consoli romani,
per abbassare i fumi dell’orgoglio
che umanamente aveva il celebrato,
la truppa gli gridava «Non sei nulla!»
ed altri ammonimenti che servivano
a ridimensionare la superbia
nonché le velleità di strapotere.
Persino gli contavano i difetti
fisici, e le segrete debolezze.
A questa civiltà che si rimira
nello specchio dei tempi e fa la ruota
beandosi di banche e grattacieli,
di aerei supersonici e computer
digitanti al comando della voce,
è bene rammentare i suoi refusi
prodotti dal perverso dinamismo
cui s’accorda la giostra dei consumi,
dalla quale precipita in centrifuga
l’umanità piegata dai soprusi
ma speranzosa nell’istituzione
di un sistema che stemperi gli eccessi
e aggiusti la coperta dei vantaggi
perché non scaldi solo i prepotenti
lasciando al freddo i derelitti esclusi.

Il cronista