- Fino
a tempi recenti erano di moda i cinodromi. Li
frequentavano gli scommettitori sulle corse di levrieri,
i cani piú veloci che esistono. Barbara e crudele
usanza, ma sempre meno delle odierne lotte a morte
clandestine tra pitbull e altri mastini all’uopo
addestrati. Surclassati da stadi calcistici, autodromi,
ippodromi e palazzetti dello sport, i cinodromi
appartengono ormai al novero delle antiche manie
popolari di azzardo. Tipiche delle corse dei cani erano
le lepri di pezza, fantocci che imitavano assai
realisticamente gli animali veri, e che venivano
trascinate per la pista appese a un’apposita griglia.
Dovevano imitare lepri selvatiche in fuga dai
cacciatori. I levrieri, liberati al segnale del
mossiere, obbedendo all’istinto della specie si
lanciavano all’inseguimento dei pupazzi di panno che
mai avrebbero raggiunto. Senza accorgersene, diventavano
gli animatori delle scommesse e sostenitori involontari
di un apparato di cui erano le sole vittime.
- Giubilate dai cinodromi, le
lepri di pezza si sono trasferite in altri ambiti e
servono a ingannare un diverso tipo di levrieri.
Confezionate da esperti mediatici, informatici e
didattici, formano le notizie e le opinioni
preconfezionate dietro cui si lanciano all’inseguimento
lettori, spettatori e fruitori in genere di cultura,
scienza e dati sociopolitici, illudendosi di farsi un’idea
obiettiva e realistica di come vadano veramente le cose
nel mondo.
- Particolarmente attivi e
seguiti dal pubblico sono gli esperti di geopolitica,
che una volta si chiamavano semplicemente storici; si
dividono per sommi capi in tre categorie: gli esperti
del passato, gli esperti del presente e quelli del
futuro, anche definiti, questi, con una vena di biasimo,
futurologi, volendoli assimilare in qualche modo agli
astrologi e ai maghi.
- Ad avere la vita piú facile
sono gli appartenenti alle due categorie esterne: i
passatisti e i futuristi. I primi, trattando di fatti
già avvenuti e pertanto già esaurientemente studiati e
dibattuti, disponendo inoltre di documentazione di varia
natura e peso, sono in grado di impegnarsi in disamine e
valutazioni che hanno il conforto del riscontro e, se
anche avanzano tesi inedite su qualche episodio o
personaggio, al massimo rischiano il contraddittorio di
altri critici e studiosi, il che spesso è quello che
essi vogliono alzando la polvere dei secoli e cavando
dai sepolcri dell’oblio eroi, lestofanti e cortigiane
di volta in volta esecrati o rivalutati. Non di rado
organizzano veri e propri processi, in cui ad esempio
Nerone, Rasputin, Messalina, Cleopatra o la Pompadour
vengono chiamati al banco degli imputati per discolparsi
o autocriticarsi, chiedendo venia ai posteri che li
hanno cosí abruptamente riesumati. Il piú delle volte
caratteri edificanti nella agiografia risultano furfanti
di tre cotte e viceversa, donne di facili costumi, che
trafficavano con alcove e fiale di veleno, escono fuori
da queste pantomime processuali, piú candide e
integerrime di Chiara d’Assisi.
- Ma per lo piú, al termine di
questi dibattimenti, il giudizio su quei personaggi e
sui loro vizi e stravizi, non varia se non per un lampo
di notorietà da Grande Fratello che illumina piú o
meno pateticamente i loro caratteri, nonché la libido
di protagonismo di pseudo-giudici, difensori e
accusatori.
- Quanto ai futurologi, agli
esperti cioè che deliberano sui casi di là da venire,
il loro compito diviene vieppiú arduo e spinoso mano a
mano che dal futuro remoto le loro valutazioni scivolano
verso i tempi attuali. Prevedere infatti lo scioglimenti
delle calotte polari tra centomila anni o anche
diecimila, o persino tra un secolo, non comporta rischi
per l’esperto che abbozzi la previsione geologica. L’eventualità
che in Piazza del Duomo a Milano si raccoglieranno tra
millenni vongole e cozze, può essere prospettata a cuor
leggero, tanto, campa cavallo… e l’esperto è al
sicuro dietro la benigna protezione della diga del
tempo. Chi vivrà, vedrà.
- Il problema è per gli eventi
a breve scadenza, quelli cioè il cui evolversi
giungerà al pettine della verifica storica nel giro di
pochi anni, o persino di mesi. Ecco allora che la
posizione dell’esperto diviene precaria e vulnerabile,
le sue previsioni possono risultare errate, i suoi
calcoli sballati, la sua capacità previsionale finire
alle ortiche del pubblico ludibrio. Questo è il punto
dolente in cui l’esperto del futuro si congiunge, in
termini di capacità e rischi, con l’esperto del
presente, costretto quest’ultimo a giocare un vero e
proprio poker scoperto con le disamine e previsioni
degli eventi. Difatti, le tesi, ipotesi e valutazioni
riguardanti fatti e personaggi, avranno una verifica ipso
facto, o almeno a scadenza breve o brevissima, dall’oggi
al domani. Il meteorologo è uno di questi funamboli
della veggenza, pur se oggi la scienza e l’informatica
satellitare gli consentono di operare con la rete di
sicurezza di strumenti affidabili, cicloni e terremoti
permettendolo.
- Ecco, entra in ballo il
fattore di rischio piú deleterio: l’imponderabilità,
ossia l’imprevedibilità di un fenomeno e di ciascun
elemento che lo determina. Napoleone, grande stratega,
sensibile però alla superstizione, si circondava fin
quando poteva di generali capaci ma anche, e a questo l’imperatore
teneva, fortunati. Waterloo, con l’imprevedibile
fallimento di Ney, l’altrettanto imprevisto arrivo di
Blucher, l’eroismo di olandesi e scozzesi,
costituirono i fattori imponderabili a conferma che l’uomo
può affidarsi ai dati certi fino al punto del favor
Dei e non oltre. Fattore umano, quindi, ma anche
fattore divino. Episodi con esiti scontati prendono a
volte pieghe inattese, che sconfessano le teorie degli
esperti del presente e del futuro prossimo, nel senso
che chi le elabora e propala, rischia nome e sostanze
qualora appunto gli imponderabili fattori entrino in
gioco scompigliando le carte. L’abilità sta quindi
nel ritagliarsi astute vie di uscita, con riserve e
appositi distinguo.
- La guerra contro l’Iraq di
Saddam Hussein, dichiarata motu proprio da USA e
Inghilterra per motivi artatamente resi urgenti e
drammatici, acquistò nei prodromi del suo scatenamento,
per bocca e penna della gran parte degli esperti, la
portata di una guerra santa contro le cellule fautrici
del terrore mondiale e per annientare la satrapia
sanguinaria del rais, oltre a nullificare l’aggiotaggio
iracheno del petrolio. Fu quella la prima lepre di pezza
che gli esperti, specie i mediatici di stampa e TV,
confezionarono a uso e consumo dei levrieri utenti. Per
rendere piú verosimili i fantocci di panno che
rendevano improrogabile il conflitto, venne coniato
tutto un glossario ad hoc. Si masticava il chewing
gum del frasario angloamericano con termini come regime
change, nation building, shock and awe.
Per non essere da meno, alcuni esperti, memori di aver
degustato, con la cultura classica, il garum di Cesare e
Cicerone, inserirono argute zeppe latine come si vis
pacem para bellum, e i militari, pregustando a loro
volta di poter finalmente menare le mani e provare sul
campo e dal vivo, anzi dal morto,
la bontà dei piú sofisticati congegni di sterminio
aereo e terrestre, tirarono fuori la solita filosofia
machiavellica di Clausewitz, chiamato in causa ogni
qualvolta le armi prendono il posto della bonaria e
costruttiva discussione, come alla TV si invita a
dimostrare e a tagliar cipolle e carote il buon chef
Vissani, quando suona l’ora della gastronomia di
livello doc.
- Purtroppo il coro pro bello
fu unanime. La stessa Santa Sede, dopo i primi sdegnati
dinieghi e veti morali, si piegò all’esigenza di una
guerra “dolorosa ma necessaria” per il trionfo del
bene e per la sicurezza dell’Occidente cristiano. E se
proprio non lo disse chiaramente, lo affermò col
silenzio e l’astensione. Del resto, da piú parti si
giunse a concludere che la decisione per l’intervento
era un atto di pura formalità. Con i mezzi a
disposizione delle forze angloamericane e alleate,
sarebbe stata questione di giorni, al massimo di mesi.
Poi sarebbero venuti, si disse, la pace, un governo
democratico, la ricostruzione e la civiltà occidentale
per tutti. Non è questo che in fondo il mondo intero
voleva e vuole? Cina e India comprese? Era lo spettro
mitico e fallace della Blitzkrieg che tornava ad
affacciarsi dalle trincee della Somme e dell’Adamello,
dalle spiagge di Dunquerque e Salerno, di Gallipoli
turca, indietro fino a Gaugamela e Platea, a tutte le
grandi e piccole carneficine che costellano il tetro
planetario della storia umana.
- Un’altra grassa e bella
lepre sguinzagliata dagli esperti è stata quella del
cavillo speculativo tecnico e strategico, secondo cui la
guerra non è una questione militare bensí politica,
anzi, essa comincia dove termina la politica, ne diventa
un inevitabile proseguimento, solo che impiega strumenti
“persuasivi” di altra natura. Anche perché, grazie
al Network Centric Warfare, le operazioni di deterrenza
e persuasione, vale a dire bombe, testate e cannonate,
intelligentemente guidate da congegni ad alta tecnologia
telematica, selezionano gli obiettivi sensibili, dando
luogo alla chimera sorella della Blitzkrieg, la
cosiddetta distruzione chirurgica suasiva, in grado di
risparmiare al massimo la vita dei soldati e dei civili,
lasciare indenni gli edifici assistenziali e umanitari,
le scuole, i musei, riducendo il tutto a un’amena
passeggiata, per indurre il nemico ostile a passare
dalla propria parte, con minimi danni e tanta voglia di
abbracciare usi, costumi e credo politico di chi lo
stava tanto diligentemente e razionalmente bombardando.
- L’aspetto tuttavia piú
aberrante di questo ripascimento di lepri di pezza nello
scenario ambiguo della guerra in Iraq, è costituito dal
fatto che l’ineluttabilità della guerra, la sua
finanche salutare necessità politica, sono state come
sempre omologate e avallate da esperti che hanno usato a
tal fine la loro erudizione, le conoscenze dei
meccanismi storici e politici, l’esperienza
diplomatica e strategica, la capacità dialettica.
- Non una però delle loro tesi
si è avverata. A dispetto di quanto da loro
preconizzato, l’Iraq è il lugubre fondale di un
ennesimo dramma umano, con rovine, morti e disperati alla
ricerca di sopravvivere, e lo fanno con le sole chance
concesse ai disperati: ferocia e disumanità. Nulla di
nobile, di chirurgico e intelligente è stato compiuto,
come essi avevano fraudolentemente ipotizzato. Ché di
ingenuità e disinformazione certamente non possiamo
parlare nel caso di uomini addetti per mestiere a questo
tipo di analisi. E ora, rivelandosi l’impresa bellica
lo spettrale flop che è, si salvano con i “cosa
vi avevo detto”, “io in parte l’avevo previsto”
ecc. Ma forse rovine, lutti e distruzione dei gangli
vitali di un Paese erano esattamente quanto i “liberatori”
si prefiggevano. Togliere cioè di mezzo uno scomodo e
ricco avversario, con una guerra i cui aspetti e fini
solo pochi tuttora conoscono, e il cui prodest
non riguarda certo il popolo iracheno. A chi gli
chiedeva in una intervista come andassero le cose
durante i primi mesi dell’attacco a Bagdad, il
presidente Bush, sorridente, affermò che «tutto stava
andando per il meglio, come previsto». L’azzeramento
di una nazione val bene la spesa in termini di dispendio
di beni materiali e vite umane, poiché in realtà, anzi
nella Realpolitik, i morti da ambedue le parti
non interessano i think tank dei fautori del
conflitto. Essi sono già compresi nel preventivo dei
costi. Come per il Vietnam, i votati alle Parche sono
reperibili tra le schiere dei senza censo, dei “torturabili”,
cosí definiti da Graham Greene in uno dei suoi divertissement
letterari, Il nostro agente all’Avana.
Torturabili al pari di Paesi e popoli designati a far da
cavie e palestra di conflitti sperimentali.
- Altra lepre di pezza, la piú
tragica, è quella che parla di ricostruzione, di
restaurazione, di ripristino dei diritti civili sulle
cianciose cadenze del “chi ha avuto ha avuto”. Ma le
guerre non sono mai giuste e neppure necessarie, e men
che mai si dimenticano. I traumi che da esse derivano si
imprimono nel DNA dei popoli e vi restano per sempre,
creando un deposito di rancori e amarezze che mai si
cancellano e sono spesso causa di nuove guerre. Cosí
via per secoli, sempre, e da tempo immemorabile. È un
mortifero pendolo che oscilla nell’aria cupa e vuota
dei destini umani. Diventa incubo nei sogni, spettro
sempre presente in ogni amplesso, svago, pensiero o
slancio di amore, passione o fratellanza. Un retrogusto
di morte e di odio che ci rende incapaci di affidarci
all’altro fino in fondo senza riserve né sospetti.
- Non tutti gli esperti però si
sono uniti al coro dei plaudenti all’ennesima prova di
forza bellica, messa in atto per persuadere gli
sconfitti della bontà della democrazia portata dai
vincitori, usando l’enorme lepre di pezza del concetto
che la guerra è persino benefica per chi ne subisce i
danni. Non tutti i levrieri si sono lasciati turlupinare
dai fantocci rilasciati dai gestori palesi od occulti
del cinodromo geopolitico. Voci, di cui qualcuna
autorevole, si sono levate per denunciare le radici
profonde e remote dell’attuale malessere mondiale: le
“truffe innocenti” di cui ha vissuto per anni, e
continua a vivere tuttora, l’economia della grande
impresa e delle corporation, dei trust,
della Borsa, degli organismi finanziari pubblici e
privati, con la cattiva se non fraudolenta gestione di
denaro e risorse, comprese quelle umane. Cattiva
economia che è diretta emanazione della dubbia morale
di operatori e controllori, da cui è scaturita, per un
nefasto effetto domino, una deleteria politica che dal
denaro è condizionata, e da qui la guerra quale
inevitabile filiazione.
- Una di queste voci fuori dal
coro è quella di John Kenneth Galbraith, decano dell’economia
accademica e istituzionale americana. Questo vegliardo,
nato nel 1908 e tuttora in attività didattica presso le
Università di Princeton, Cambridge e Harvard, quale Professor
Emeritus di Economia, ha di recente pubblicato un
saggio sulle degenerazioni di economia e politica nel
suo Paese, che ha chiuso con queste parole:
-
- «Dal
tempo della Bibbia, e anche prima, il progresso civile
è molto elogiato. Ma è necessaria qualche
precisazione. Mentre scrivo, Stati Uniti e Gran Bretagna
vivono l’avvelenato dopoguerra del conflitto in Iraq.
Accettiamo la morte programmata dei giovani e quella
fortuita di uomini e donne di ogni età. Cosí è stato,
in misura infinitamente maggiore, nella Prima Guerra
Mondiale e nella Seconda. E continua a essere, in modo
via via piú mirato, fino all’Iraq di oggi. La
civiltà umana, come viene chiamata, è un’alta torre
bianca che celebra il progresso umano, con la cima
nascosta da una grande nube nera. Il progresso umano
sormontato da crudeltà e morte inimmaginabili. …Nei
secoli la civiltà ha fatto grandi passi avanti nella
scienza, nella difesa della salute, nelle arti e in gran
parte, se non in tutto, ciò che è benessere in senso
economico. Ma ci ha anche consentito di sviluppare nuove
armi e pericoli di guerra. Cosí, le carneficine sono
diventate l’ultimo prodotto della civiltà. Le
conseguenze della guerra sono inesorabili: morte e
sofferenza che colpiscono a caso, messa in parentesi dei
valori civili, il caos dei dopoguerra. Questa la
condizione umana e le sue prospettive, ora piú che mai
evidenti. I problemi economici e sociali qui descritti,
e anche la miseria e la fame, si possono affrontare col
pensiero e l’azione, come già si è fatto. Ma per l’umanità,
la guerra segna la piú grave delle sconfitte»(1).
-
- Ma intanto, mentre gli ultimi
sinistri lampi dei bombardamenti a tappeto illuminano il
crepuscolo di quella che fu la felice terra dei Sumeri,
l’eden tra i due fiumi, i detentori del monopolio che
confeziona lepri di pezza già stanno imbastendo i
fantocci da agitare sul muso dei levrieri dell’opinione
pubblica italica e mondiale: la guerra non è finita,
altrove sono le basi del terrore, altre sono le menti
ispiratrici e altri i capitali di sostegno. E
ci saranno perciò a breve nuove fanfare, divise
sgargianti, armi da guerre stellari, fiori per i morituri
te salutant, privilegi e prebende per tutti. A patto
però che scrivano e reclamizzino tesi, pensieri,
opinioni e divagazioni sulla bontà e salubrità del
nuovo imminente shock and awe. Penne e parole
piú devastanti di fucili e bazooka.
- Una proposta ad hoc:
accanto ai solenni e tronfi memoriali al Milite Ignoto,
mettere sacelli dedicati all’Orfano e alla Vedova
Ignoti. Sono in definitiva queste le categorie destinate
a portare piú a lungo il fardello della guerra, a
pagarne il prezzo piú alto, in un anonimato senza
conforto né gloria.
Leonida I. Elliot
(1) J.K. Galbraith, L’economia
della truffa, Rizzoli, Milano 2004. |
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