
- Abbiamo cominciato a porci
nella differenza percettiva fra un ambito che è statico
(morto) e un ambito che è dinamico (vivo)
potendo cosí individuare in noi due capacità di
percezione distinte per ognuno dei due ambiti: uno
consueto, appartenente alla razionalità
intellettuale, ed uno affine ad una “sensibilità
artistica” ma di cui ancora in realtà non
possediamo il nome. Andiamo quindi a raccontare questa
differenza, a formarci immagini interiori di essa, e
vi invito ad avvertire la zona interiore in cui vi
state muovendo, dove percepirete interiormente mentre
leggete e intuite: cominciate subito ad accudire
questo “intuire”, poiché è ciò che diventerà
“lo” strumento.
- Osiamo ora anche dare una
forma a questa differenza che comincia a cogliersi tra
un ambito di morte-finito che blocca e uno di
vita-movimento che fluisce, disegnandola cosí come ci
è data da una ulteriore intuizione (ved. schizzi
sottostanti).
- Immaginiamo un flusso che si
svolge in estensione, dall’alto verso il basso. A
questo flusso contrapponiamo un ostacolo di traverso.
In una ulteriore sintesi simbolica è addirittura
riconoscibile il simbolo del mercurio alchemico.
Rimanendo al puro intuire formale, se ad un movimento
lineare viene contrapposto uno trasversale la forma
che si crea è “una croce”: si crea evocando un
“fermare”, chiudere, fissarsi. Croce che, posta su
di un qualcosa come segno grafico, vuole eliminare,
cancellare, far morire, però deve spontaneamente
inclinarsi per farlo nel gesto vergato a mano.

Oppure ancora l’incrociarsi
di due linee parallele se si vuole fissare un
qualcosa o evidenziarlo.

- Possiamo poi ritrovare
magnificamente questo segno, quale sintesi conclusiva,
anche nel portato sonoro e di
contenuto concettuale della lettera «T» dell’alfabeto.
Si può osservare come venga usata proprio in quelle
parole dove il concetto rimanda a un movimento che va
a finire, ed è quindi finiTo, che va a
fissarsi ed è quindi fissaTo. Si usa la parola
“finiRe” o “fissaRe”, con la sua
bella erre roteante, quando il movimento è ancora in
atto, mentre non si può non dire che è “finiTo”
o “fissaTo” quando è proprio già
compiuto, basta, “morto lí” come anche si dice.
- Velocemente si osserva che
nel termine TesTa sono ben due le T che descrivono una
peculiarità di questo nostro organo che tende a
mortificare dei contenuti viventi… Al lettore
trovare mille altre parole.
- Questo approccio alla forma
tramite il disegno, e cioè tramite un coinvolgimento
“dinamico” di un elemento gestuale, in cui viene
impiegato un elemento volitivo, ci aiuta ulteriormente
a cogliere in maniera vivente un contenuto che
tenderebbe invece a mortificarsi come conoscenza
meramente intellettuale: cosí quindi potrà esserlo
anche per le nostre due piante [ved. numero
precedente].
- Possiamo arricchire
ulteriormente la conoscenza che abbiamo di loro,
provando dunque a disegnarle, cosí come ci viene, con
quel poco o tanto di capacità che si ha, senza badare
alla nostra titubanza tecnica.
- Il disegnare,
da un’angolatura e poi da un’altra, con una
tecnica e poi con una diversa, nello sviluppo delle
stagioni dell’anno, oltre che guardarle adesso dal
vivo, ci permette di entrare in peculiarità dell’oggetto
altrimenti inconoscibili. Gli studenti delle varie
accademie che copiano opere d’arte, sculture,
quadri, architetture, esercitano una tecnica di
apprendimento conoscitivo che non resta solo nella
testa: è un apprendere che passa attraverso le
membra.
- In un momento temporale
successivo, quando dalla memoria si “evocherà”
quella conoscenza, rimembreremo e non soltanto rammenteremo,
e se viene coinvolto un sentimento intenso ricorderemo.
Il “Parco della Rimembranza” di Gorizia, dedicato
ai Caduti della prima guerra mondiale, non avrebbe
potuto chiamarsi altrimenti, e a immaginarlo col nome
di “Parco del Ricordo” si avverte una sottile
differenza, proprio riferendosi agli eventi in cui
quelle persone sono morte e che quel luogo vuole
evocare. Ecco dunque l’importanza della scelta nell’uso
nelle parole.
- Per questo “conoscere
disegnando” c’è un punto di verifica
storico-artistica in un manuale dell’età d’oro
della pittura cinese che si intitola Gli
insegnamenti della pittura del giardino grande come un
granello di senape(1),
composto nell’ultimo quarto del XVII secolo a
Nanchino, in Cina, da Lu Ch’ai con i due fratelli
Wang Shih e Wang Nieh. Questo testo ci dà uno spunto
per ulteriori considerazioni.
- Nel libro si parla dei
bambú e viene scritto:

- «I
bambú si comportano in modo diverso a seconda che la
giornata sia serena, che piova, che tiri vento o che
siano imperlati di rugiada (le quattro condizioni
meteorologiche principali in cui si esprime la natura
e che venivano raffigurate nella pittura in Cina).
Che sia eretto o reclinato, esposto o nascosto, ogni
aspetto del bambú ha una sua forma e una sua “integrazione
strutturale” particolare (questo concetto è
traducibile anche con la parola “potere”, o stile,
o qualità vivente, o verità). Ogni movimento che
lo porti a inclinarsi, a dispiegarsi o ad ergersi,
reca in sé un’idea (significato) (i)
e un principio (li) specifici (traducibili
anche come “legge interna”, o essenza, o
principio, o anima della cosa, o riflesso del Tao),
che debbono essere osservati e percepiti con il
cuore, se si vuole pervenire a una perfetta
comprensione dell’espressività del bambú (Su
Tung-p’o scriveva che gli artigiani erano in grado
di riprodurre la forma, ma soltanto quelli dotati di
grande abilità e intuito, ossia i “pittori-gentiluomini”,
potevano captare il “li” della forma e trasferirlo
sulla carta). Se un fusto non trova una
collocazione rigorosamente esatta, o una foglia non
viene aggiunta nel modo pertinente, l’intera
composizione può risultarne compromessa, cosí come
un piccolo difetto può guastare un blocco di giada».
- Cosí scriveva un maestro
cinese del ’600, e da ciò si può senz’altro
avvertire una “qualità affine” che ci può essere
propria e riguarda la contemplazione della forma,
che ci rende accorti di una nostra capacità di
cogliere dei contenuti in modo “fulminante”,
istantaneo, sintetico, senza mediazione dialettica o
intellettuale, ovvero “di TesTa”. Testa che ci
aiuterà invece poi nella descrizione, nello
snocciolamento in concetti, tramite parole collegate
scientemente, di questa immagine sintetica che
abbiamo di un contenuto intuito, cosí da rendere
intelligibile, comunicabile, quel contenuto “balenante”.
- Accorgersi di ciò è reso
possibile da una sensibilità in noi che possiamo
definire artistica, e che ognuno possiede in
diverso grado e capacità espressiva, che si può
sviluppare e a cui si può dedicare un’attenzione
creativa. Questa “sensibilità” ha il potere di
cogliere e di rivelare un’essenza in immagine, un
contenuto non sensibile, che la forma del sensibile
evoca.
Nel
frattempo, noi abbiamo anche disegnato la nostra
pianta, ne abbiamo colto pel tramite del gesto
ulteriori intuizioni sostanziali, ed ecco che allora,
dopo aver disegnato, si possono anche “leggere senza
parole” i disegni di diverse persone (ved.
schizzi qui a lato) e nel confronto avvertire la
diversità degli stili di disegno, delle diverse
tecniche di approccio, delle diverse abilità, delle
sensibilità, dei caratteri, dei modi formali di
rappresentazione, delle diverse personalità, e cosí
trovare come ogni disegno porti un ulteriore “timbro”
peculiare, il suo “li”, la sua idea vivente, la
sua parola, il suo verbo, la sua verità.
- Questo nostro esempio
iniziale partiva quindi dall’osservazione,
principalmente dalla “vista”, di due piante, ma il
criterio di osservazione fin qui descritto è
applicabile a ogni percepibile “oggetto”. Si
possono osservare oggetti di ambiti appartenenti a
sfere sensoriali differenti e quindi coglierne anche
lí le differenze: cosí i gusti, i profumi, i diversi
suoni, i diversi intervalli musicali, le cadenze,
sicuramente i colori, anche addirittura i diversi
gradi di calore, le diverse posizioni e pressioni del
corpo. Si potrebbe quindi raccontare dello splendore
di ogni cosa, lo splendore di ogni mistero manifesto,
colto nella sua “differenza” rispetto ad un altro.
Ognuno può rendersi conto di quale sia l’ambito che
gli è piú affine, per lui piú percepibile, piú
avvertibile dalla sua anima. Ecco dei rapidi accenni.
Circa il calore, ad esempio, è descrivibile l’esperienza
che si può avere in uno stato di debolezza, di quella
sensibilità peculiare che ci può far accorgere se è
il caldo oppure il freddo che ci può
dare sollievo, o addirittura diventare salutare, in
determinate parti del corpo. E questo si avverte senza
mediazione intellettuale. Calore nel senso
anche del sentirsi bene, del poter agire in ambienti
con la temperatura adatta. Infatti, non si parlerebbe
assieme, tranquillamente, in un luogo ghiacciato.
- Anche dell’immagine che
sopraggiunge contemplando le zone corporee
si potrebbe parlare a lungo. Le anche, le costole, le
spalle, che cosa dicono alla coscienza distesa e
vigile, alla mano esteriore e interiore che sfiora? Si
percepisce la “volontà non mediata” delle anche,
il “calmo equilibrio” delle costole, la “capacità
di portare”, e di sopportare, delle spalle.
Sfiorare,
avvertire, nominare.
- I suoni della natura,
poi, quanto possono raccontare all’anima sensibile,
aperta! Lo scroscio della pioggia, l’acqua che
scorre veloce in un torrente o che placida si distende
in un lago nel suo “smiracolare d’argento” . E
il cinguettio degli uccelli, degli esseri che volano
nell’aria e che cosí suonano dal loro interno “affermando”
o “domandando” al loro simile o alla Natura
stessa. Le foglie degli alberi, il “sussurro aereo”
delle foglie di un pioppo, la “carezza” dell’erba,
cosa non dicono all’anima vigile, disponibile. Si
può cogliere quindi la differenza tra il suono di un
essere cosí “animato” ed uno “inanimato”
morto, meccanico, e avvertire dove vi è anima.
Che cosa racconta il vento tra gli alberi, che cosa
dei barattoli che rotolano?
- Le forme parlano, e
quando qualcuno racconta una storia si percepiscono
delle forme, delle immagini interiori che tale
racconto evoca in maniera diretta, non astratta e
cerebrale.
- In Cina si dice “I” e
“LI”, ma si potrebbero anche
rammentare/ricordare/rimembrare detti della tradizione
occidentale quali “ogni pietra ha la sua folgore”,
oppure “ogni cosa ha un suono”, o “il nome
segreto degli enti”
oppure ancora, osando, parlare della “signatura
rerum”, dell’impronta delle cose: possiamo qui
cominciare a parlare della “imagine” e dell’ “imaginare”,
osando levare una “m”.
- Si sono quindi percepite,
mediante tutti i sensi, due piante, si sono
confrontate, integrando tale nostra percezione con
quello che altri hanno conosciuto e che abbiamo
riconosciuto come vero. Abbiamo cominciato a
sintetizzarle e contemplarle nello svolgersi del
tempo. Disegnando, abbiamo colto ancora piú
intimamente alcune peculiarità caratteriali sia delle
piante (oggetto) sia del disegnatore (soggetto), “imaginando”
ciò che “sta nel mezzo”.
- Ci siamo accorti di aver
arricchito le nostre rappresentazioni e di aver
cominciato a scorgere una zona interiore dove è
pertinente parlare di “percezioni del cuore”, di
un immaginare a cui cominceremo a togliere una emme.
Abbiamo realizzato che ciò è possibile attuare a
prescindere dall’ambito sensoriale, che è dire “ogni
ambito”; abbiamo cominciato a vedere la “storia”
che ci racconta ogni cosa, tutto quello di cui un
oggetto è sintesi o precipitato o è il
seme…
- Ora cominciamo a definire
ancora piú precisamente questo imaginare, servendoci
dell’aiuto della descrizione di Abraxa
scritta sulla rivista «UR»(2)
(cui Massimo Scaligero rimanda nello scritto
intitolato “Magia imaginativa” pubblicato su «L’Archetipo»
del gennaio 2003):
- «In
un essere risvegliato la mente non è piú “pensiero”.
È attività che determina per immagini
istantanee. Con immagini il mago crea, distrugge e
trasforma nella materia dei sentimenti e delle
sensazioni in sé; con immagini agisce sul proprio
organismo; con immagini opera sugli altri. All’atto
materiale e alla “volontà” degli uomini egli
sostituisce la forza dell’immagine.
- Ma,
anzitutto, è necessario destarsi alla rapidità
senza tempo nel sentire, nel concepire, nell’arrestare,
nell’intervenire. Tarda, inerte, ottusa, ciò che la
coscienza comune giunge di solito a percepire, è
lentezza sonnambolica. Gli atti le sfuggono –
essa apre gli occhi solo quando vi è già il “precipitato”
del fatto (la cosa, la sensazione, il movimento
materiale), e cosí ombra di fenomeno è ciò che essa
percepisce, un mondo di conoscenza-constatazione
(passione) e non di azione (magia).
- In
questo senso comprendi come esteriorità di fenomeno,
e lunarità, lo stesso mondo che chiami “interiore”;
cosí l’immagine non la conosci e vivi quale
azione, ma quale immagine: l’atto suo è
troppo rapido, e tu non vi sei presente. Semplice eco,
essa dunque o “si presenta” da sé, o può essere
soltanto “evocata”. Il rapporto creativo
che con essa ti farebbe agire dal profondo (imago
= imum ago), solarmente, non lo conosci».
- Forse si comincia a intuire
adesso perché il titolo di questo scritto accenni ad
un “potere” del formare immagini.
Maurizio Barut (2. continua)
(1)L.
Ch’ai, W. Shih, W. Nieh, Gli insegnamenti della
pittura del giardino grande
come un granello di senape, Leonardo Editore,
Milano 1989, p. 366.
(2)«UR»,
Rivista di indirizzi per una scienza dell’Io,
Ed. Tilopa, Roma 1980, p. 262. |
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