Non
può che essere “saggezza” l’espressione di Anima,
ritrovata, luminosa e illuminante, calda e riscaldante. L’uomo
di questo tempo, che sembra aver raggiunto l’apice della sua
evoluzione, ad uno sguardo piú sobrio rivela di non aver
realizzato il suo stato di Uomo, non aver realizzato la sua
Sophia. Può osare dire ciò quando può dare parola ai versi
del Poeta, sí sublimi: «Vergine Madre, figlia del tuo
figlio, umile e alta piú che creatura, termine fisso d’eterno
consiglio…», come se fosse la propria piú sacra Umanità a
cantarli, quando li evochi dall’Anima del Mondo che gli si
rivela quale propria: dalla piú illuminata Luna, dalla
Vergine, dall’Immacolata, dall’Innocente, dalla Gratia
plena. …«In te misericordia, in te pietate, in te
magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di
bontate…» …in te…
- «Ave» è il saluto, l’esatto
opposto di Eva, la prima donna: «Ave, Maria, piena di
grazia» questo è il suo mantram – come dice Massimo
Scaligero in Iside-Sophia, la dea ignota – nello
splendore splendente del femminile assoluto. È veramente
possibile in imagine che «…si avverta il movimento dell’aria
di quella veste che trattiene il riverbero del “femminile
assoluto”, e quello che si rivela in quel momento quale
esterno a sé, sembra appartenere alla piú intima intimità
dell’anima, sembra essere l’anima stessa…» e dopo quel
piccolo attimo che deflagra in una commozione infinita, la
porta è aperta alla commozione che ritorna a ogni meraviglia,
a ogni bonarietà, ogni sacrificio che può essere colto nei
gesti comuni di altri da te, altri te. Si è riconosciuta una
porta: è tutta nostra, nostra realizzazione. Non è cosa
paragonabile a un qualsiasi sapere antroposoficamente
accumulato e dimenticabile, come è della natura di qualsiasi
sapere. Non è una conoscenza da tenere, da accumulare
interiormente, ma qualcosa matura, trasforma, apre: un “fare
che è sacro”, un “sacrificare”. Lei balena in un
attimo, un attimo di “soluzione”. Che cosa ha reso
possibile che accadesse tale piccolo attimo infinito? Quale
successione di eventi lo hanno preceduto, cosa è accaduto
prima, quale vita è stata? Mare, Maria, Marina: nomi che
evocano grandiosità di acque in movimento, di maree e
signorie delle acque.
- “Al mâr a é me mari – El
mar sé mia mare”. Che magnifiche differenze/comunanze
di suoni e sensi portano appresso nella parlata friulana o
veneta la stessa imago: “Il mare è mia madre”.
- I vecchi Lunari assegnavano all’otto
di settembre il giorno dedicato alla ricorrenza del “Nome
della Madonna”: un giorno dedicato a un nome! Lunari dove si
riportavano le oscillazioni di marea, dove si segnava la Luna
nel determinare l’alzarsi e l’abbassarsi delle acque:
poeticamente vi si intravede il ritmico oscillare dell’anima,
e se ogni santo giorno è sacro, bisogna portare molta
attenzione a ogni santo giorno per poterlo “sacrificare”.
- Questo sacrificare è un’attitudine
già in uso nella piú semplice quotidianità di ogni persona:
ogni piú semplice persona è capace di rinuncia, di donazione
di sé, di ringraziamento. Addirittura, in situazioni molto
critiche, ad esempio coinvolgenti l’estrema salute di una
persona a noi cara, una sola persona, o ancor piú un gruppo
di persone accomunate da fraterno sodalizio, possono scegliere
liberamente e coscientemente di offrire un sacrificio, come
già veri Uomini, come Maître Philippe di Lione, hanno
portato ad esempio di possibile miracolo. Il sacrificio, l’atto
di rinuncia che la persona compie, può essere esteriore o
interiore: può riguardare il cibo, o abitudini piacevoli come
il fumare o il vedere la TV o il comperare cose futili, il
riposo o l’attivismo ecc. Oppure, soprattutto, rinunciare a
pensare, dire o fare male a persone, a qualsiasi persona.
Ognuno sa a cosa può rinunciare, ognuno ha una sua capacità
di invenzione. Un tale insieme di atti di rinuncia la persona
li compie liberamente nel corso della giornata poi, dopo il
tramonto, si raccoglie in sé e raduna quella sostanza di
umanità, quasi come tanti piccoli pezzetti di pane tolti
dalla propria bocca, e dona, porge il suo sacrificio, a quello
che può considerare il “Rappresentante dell’intera
umanità”, immaginandolo come una “entità vivente”, che
rappresenti per noi tutto quanto possiamo considerare come “pienezza
dell’essere uomini”: nella benevolenza, nel calore, nella
considerazione, nella cordialità, in tutto ciò che di
positivo l’uomo è capace di emanare da sé. Quindi si
immagini questo “Rappresentante dell’umanità” assumere
le fattezze di quella cara persona che si trova presso una sua
“situazione limite” di salute, che riceve in dono i nostri
sacrifici.
- Tutto ciò ha la forma e può avere
la denominazione di “rito”, attuato da un gruppo di
persone unite dal comune denominatore della volontà di
giovare a qualcuno. Potrà in seguito essere ripetuto anche
per altri casi di pari gravità e importanza, stabiliti di
volta in volta. Non viene dato un termine temporale per il
lavoro individuale: termine e intensità dell’operazione
scaturiscono dal libero intuire e agire di ognuno. È
avvertibile o meno la necessità di simili iniziative,
compiute in piena libertà; sensibilità vorrebbe che si
avesse comunque “cura” nel relazionarsi a ciò: l’Umanità
in noi deve venire prima di ogni altra considerazione sulle
persone che abbiamo dinanzi, prima di ogni giudizio di merito,
prima di ogni argomentazione sull’uomo e il mondo: nella
relazione con l’altro prima dovremmo trovare Umanità in
noi, poi ogni altra cosa. Solo cosí l’incontro con l’altro
diviene profondo e verace.
- All’inizio di un percorso di
ricerca interiore si desidera la presenza, la sapienza, l’esperienza
delle persone che riconosciamo piú addentro alla disciplina,
e ad essi doniamo tutta la nostra attenzione, escludendo gli
altri, anche quell’Umanità che vive, soffre, crea, nascosta
al nostro sguardo escludente: una Umanità che può essere
appannaggio di persone comuni, semplici, che non frequentano
alcuna ascesi dichiarata e magnificata, ma che nondimeno
realizzano l’Uomo nella pienezza del suo senso. È
percepibile questo senso di umanità: è uno schietto
sentimento che porta dritto alla commozione, non alle
luciferiche esaltazioni ideologiche o alle ahrimaniche
indifferenze cariche di sufficiente considerazione di tipo
esoteristico. Sta esattamente nel mezzo quella schietta
Umanità. Esattamente nel mezzo ritrovo quella persona che,
pur avendo problemi di lavoro, avendo una famiglia e poco
tempo, trova la forza di rispondere a un amico in gravi
difficoltà finanziarie e impegnare i propri giorni, le sere e
le notti a organizzare una colletta fra tutti gli amici dell’adolescenza
comune, sollevandolo cosí, almeno un poco, dai suoi problemi.
- Esattamente nel mezzo ritrovo una
signora che, pur non conoscendo i due sposi turisti, in un
paesino tra i monti, inventa un gigantesco uovo, lo decora
artisticamente e ne fa un magnifico dono beneaugurante per
loro! E quelli, sbalorditi, a cogliere tutto il suo talento e
la sua imprevedibile generosità. Come esattamente nel mezzo
sta, in tutto il suo dolore incolmabile, l’amico che ci
racconta tramortito di cosa gli è accaduto facendo
retromarcia con il suo camion: ha spezzato per sempre una
piccola vita, una vita uguale a quella di suo figlio. E non
puoi non sentirti morire con lui, con la sua tragedia
devastante, ma che sofferta fino in fondo può divenire
trasfigurante. Oppure alle volte trovi esattamente nel mezzo,
nei piú piccoli e nascosti gesti, quella stessa Umanità: un
braccio che ti circonda le spalle per sostenerti e comunicarti
la sua comprensione, la rinuncia ad un suo credito per il tuo
sbaglio in un lavoro, l’aiuto disinteressato e preciso di
persone sconosciute. O ancora, una mattina presto vi svegliate
per il rumore ritmico di quella macchina che raccoglie, giorno
dopo giorno, tutta la nostra immondizia, e quell’unica volta
vi accorgete che là vi è un uomo, già in piedi da un pezzo,
e che sta lavorando per voi… Ed ecco, mentre per la
millesima volta vostra madre ripete quel racconto che vi ha
sempre annoiato e infastidito, improvvisamente vi prestate un’insolita
attenzione, e arrivate a sentire in voi tutto il dolore da lei
evocato, di quando si trovava sola nella grande città,
lontana dal suo paese, insieme alla sua bambina, presso un
letto di ospedale dove giaceva il suo sposo tra la vita e la
morte, e chi ora finalmente ascolta, chi ora sta piangendo,
sarebbe nato di lí a poco.
- Ogni atto di spontanea donazione, di
gratitudine, di accoglimento, di sacrificio, va a risuonare
nell’anima che compie il suo àmbito benevolo. Come l’accorgersi
di quanto si è fortunati a vivere vicino a una donna e
avvertire il suo accoglierti. O all’inverso, percepire la
mancanza di considerazione dell’altro nella sala d’attesa
di un ospedale, di quell’ospedale dove gli uomini vengono
portati al limite della loro capacità di resistenza e spesso
non come uomini sono considerati. E quasi la toccate, quella
indifferenza.
- Quanto si potrebbe ancora dire di
Umanità risplendente da ogni Giuliano, Giorgio, Mario, Diana,
Sandro, Ivano, Concetta, Maria, Stefano, Ugo, Ennio e tutti
gli altri… che appartengono al nostro “incontrare Umanità”,
nella nostra vita. Ogni persona ha un nome che porta,
conosciuto ai piú, ed uno sconosciuto, indicibile, ma
avvertibile a chi muove diritto per le vie degli sguardi che
salgono da cuori liberati che hanno conosciuto gli aliti
mortiferi della testa. Sicuramente non tutti avvertono questa
Umanità, non tutti frequentano l’àmbito benevolo dell’anima,
ma restano frammischiati alla parte oscura, dove si può
restare voluttuosamente al buio, magnificamente comodi fuori
dallo stato umano. Pure, chi avverte la luminosità di Anima
non lo può definitivamente, non è conquistato per sempre,
deve essere ogni volta riconquistato, poi si oscura, poi si
illumina, e via, ritmicamente buio e Luce. Il quadro che
emerge è quello di qualcuno che combatte contro qualcosa di
inumano, mentre vi è sempre, sullo sfondo, in secondo piano,
rappresentata una figura di donna prigioniera di un Drago, che
attende di essere liberata. La Principessa liberata porta
nostro figlio, il Figlio dell’Uomo, che è, o sarà, il
frutto della nostra conquista. Chi ha visto il dolore, o il
malanno, chi ha intravisto la morte, può piú facilmente
avvertire queste storie d’Umanità, poiché la sofferenza
ammorbidisce, aprendola, quella zona interiore dove solamente
è possibile cogliere certi sottilissimi segreti,
impercepibili altrimenti. Passata che sia tale sofferenza
trasfigurante, è possibile tornare ad abbandonarsi alle
normali abitudini critiche, a volte pure sprezzanti. In
realtà vi è il timore di entrare nell’ambito del sentire
da parte di chi inizialmente frequenta un’ascesi del
pensiero. Si cerca di restare esclusivamente “pensanti”,
senza accorgersi che in realtà si tende a sopprimere il
sentire, a denigrarlo, a minimizzarlo, a non volerlo
considerare. Per non restare preda di emozioni e sentimenti,
si considera preferibile l’astratta analisi formale e
dialettica, scambiata per un vero costrutto di pensiero, che
invece non è presente. Le due opposte polarità – di chi si
esalta, si entusiasma, si fa prendere dagli stati d’animo, e
di chi invece resta freddo, come disinteressato – “soffrono”
entrambe, e non “conoscono”, l’ambito del sentire: per
eccesso o per difetto…