- Il referendum dello scorso giugno
sulla fecondazione assistita e i suoi enigmi, inestricabili
per i piú, e forse anche per gli stessi addetti ai lavori,
piuttosto che indicare un orientamento etico-scientifico, ha
dovuto rilevare un dato di fatto antropologico: l’essere
umano è un animale in via di astensione. Potrà sembrare un
gioco di parole, ma non lo è: l’esito referendario ha
premiato, se cosí si può dire, chi non si è recato alle
urne, inficiando perciò il quorum necessario a rendere
valida la consultazione. Questa massiccia defezione è stata
variamente interpretata da parte di osservatori ed esperti di
cose socio-politiche, che hanno usato criteri di giudizio
tratti dal corredo antiquario dei parametri accademici e
istituzionali. Poiché ad esempio la piú alta percentuale dei
renitenti alle urne si è avuta al Sud, i commentatori non
hanno trovato di meglio che scovare i ferrivecchi del
sanfedismo meridionale, con il Borbone e il cardinale Ruffo di
Calabria, la Repubblica Partenopea e la Fonseca Pimentel, il
brigantaggio di Fra’ Diavolo e Garibaldi. Un minestrone in
cui si è voluto ribollire il tritume stantío dei luoghi
comuni che vedono nel Meridione un permanere del Medioevo piú
retrivo e buio, nonché la discarica di tutti i mali del
paese.
- C’è chi poi ha voluto, in
definitiva con lo stesso spirito reazionario, in un’ottica
offuscata dai fumi del disappunto e della frustrazione,
addebitare alle congiure del Vaticano il comportamento
refrattario degli elettori italiani, che hanno preferito
andare al mare piuttosto che avallare una competizione voluta,
piú che dal popolo, dalle residue velleità positiviste della
classe politica, senza distinzione di toni cromatici e di
bandiere. E infine, da una certa categoria di scienziati e
ricercatori che non si accorgono di riedire il delirio
creazionista del dottor Mabuse, con le stesse maldestre
manipolazioni di una materia il cui mistero richiederebbe il
rispetto che si deve a tutte le espressioni sensibili dell’imponderabile.
- In realtà nessuno può gioire o
dolersi dell’esito referendario, neanche chi si è astenuto,
ritenendo di boicottarlo per accidia e non per convinzione
morale e ideale. Piuttosto è lo sbigottimento che deve
prevalere, insieme a un sano e cosciente senso di precarietà
che l’evento ha segnato negli annali della nostra vita
sociale.
- In tutto ciò non entra la politica,
né la scienza genetica e tanto meno la teologia. Il
referendum ha segnalato una cifra vieppiú crescente di
disamore dell’uomo della strada per ogni tipo di
istituzione, di quella statale in prima fila. Astenendosi, ha
voluto dichiarare che non intende piú partecipare alle
liturgie dello Stato, e il suo atteggiamento non è da
ritenersi un fenomeno che riguarda solo l’Italia. Basta
infatti seguire i media per accorgersi che sempre maggiore è
il numero di astenuti in consultazioni elettorali e
referendarie tenute in ogni angolo del pianeta, dai paesi piú
civili e cosiddetti democratici, a quelli dove regimi
autoritari sono costretti alla coscrizione per indurre i
propri cittadini a recarsi ai seggi.
- Sembrerebbe, alla luce di tali
fatti, che i popoli della Terra stiano sviluppando un’idiosincrasia
per i gruppi di potere che li governano, e che una profonda
frattura divida ormai i cittadini dallo Stato, avendo quest’ultimo
esautorato ogni identità e autonomia, sia nei singoli che
nelle entità culturali, giuridiche ed economiche. E la
consultazione elettorale altro non sarebbe quindi che un’artata
e goffa pantomima per far credere che tale frattura non
esista, e che un perfetto idillio connaturi il rapporto del
cittadino con le istituzioni.
- Ma questo gioco, un tempo paludato
di una certa grossolana e vistosa plausibilità, non funziona
piú. Almeno, non al cento per cento. Lo sanciscono come
valido soltanto coloro che sanno di poter trarre dalla
fedeltà allo Stato prevaricante i privilegi che fissano il
grado del proprio benessere e della propria libertà d’azione.
Insomma, si tratterebbe della corte del Re Sole in edizione
repubblicana.
- Massimo Scaligero cosí descrive la
degenerazione del nuovo statalismo: «Non
affermando se stesso ma una politica, lo Stato si oppone alla
strutturazione del corpo sociale secondo le esigenze dell’uomo
libero, che è l’uomo spirituale e responsabile. Interviene
in processi a cui invece dovrebbe garantire, con la sua
autorità, l’autonomia. Non ha altro senso la sua autorità.
Nel suo voler dirigere la cultura, il diritto, l’economia,
lo Stato non risponde a ciò che è richiesto dalla
costituzione interiore dell’uomo di questo tempo, il cui
senso è la presenza responsabile dell’Io, la cui vocazione
è la libertà. La vocazione dell’uomo attuale è veramente
ciò a cui sin dalle origini tende il Cristianesimo: la
formazione di comunità umane costituite da esseri autonomi;
di comunità, o di collegi, o di categorie, il cui interno
rapporto non sia la costrizione ma la libertà, l’essenziale
individualità».
- Ma oltre alle conseguenze
squisitamente sociologiche, il neo-statalismo degenere tocca
livelli ben piú profondi dell’individuo. Cosí ancora
Scaligero: «L’astratta società
diviene l’idolo a cui va sacrificato l’individuo. …Non
si vuole l’“Io”, ma si vuole la “società”, o la “comunità”,
inevitabilmente composta di “Io”. La società deve
schiacciare l’Io, perciò, in definitiva, con l’Io viene
schiacciata la società, ma simultaneamente inizia il regime
della miseria per tutti, perché viene paralizzata l’inventiva
immaginativa dei competenti dell’attività economica, cioè
la relazione dell’Io con i beni della Terra, e la
possibilità della loro fraterna distribuzione».
- La miseria per tutti, quindi, e non
solo quella materiale. Ed è proprio per sfuggire a questa
nemesi globale che le masse elettorali, disertando le urne,
hanno inteso manifestare alle classi politiche, ai capi che
gestiscono il potere, ai sindacati e alle consorterie
finanziarie, che esse non vogliono piú farsi usare per
omologare la validità delle istituzioni. Allo stesso tempo,
denunciano il disagio profondo che le attanaglia e auspicano,
chiedono con forza, che si ponga mano a una seria verifica dei
modi e dei tempi piú consoni a riportare in sesto una
situazione che è ormai giunta a un punto di rottura ovunque
nel mondo.
- E altresí contestano la violenza
bellica, la prevaricazione fiscale, il ricatto del lavoro, la
speculazione finanziaria, che sembrano essere divenuti gli
unici strumenti adoperati dai poteri pubblici per protrarre il
loro insediamento nelle cariche spesso acquisite con metodi
poco ortodossi.
- Ma l’astensione è soltanto il
prologo, l’anticamera di una ben piú seria patologia
sociale: la secessione. Potremmo dire che accanto alla
globalizzazione, su un binario parallelo e alla stessa
incontrollabile velocità, viaggia questo male che ha colpito
le comunità umane ad ogni latitudine del globo. Segnali
secessionisti giungono dai Caracoles zapatisti del Chiapas,
organizzati militarmente e con strategie eversive totali, fino
all’innocua stravaganza folclorica della richiesta di
indipendenza, votata a furor di popolo, al Vico Paparelle,
zona Duomo, a Napoli. Istanza che, benché estemporanea, cela
tutti i germi di una dolente alienazione animica di una
comunità, quella partenopea, orfana da sempre di governi
paternamente solleciti, sia locali che nazionali. Non
menzionando certe pause di velleitari paternalismi di tipo
neomonarchico che hanno giovato solo all’immagine
scenografica della città, e forse neppure a quella.
- Padania, Corsica, Paesi Baschi,
Scozia, Ulster, Repubbliche ex-sovietiche, Taiwan, Réunion,
Regione Tamil di Sri Lanka, su tutto l’orbe terraqueo
circola una fibrillazione separatista, una forza centrifuga
inarrestabile. Ci si divide, o si progetta di dividersi, dalle
realtà nazionali, spesso con poca o nessuna cognizione di
cosa creare di valido in termini alternativi. E non di rado
all’origine di queste spinte autonomistiche si registrano
guizzi umorali ai limiti del burlesco, fino alla paranoia, che
anche nei picchi della sua delirante megalomania non smette i
panni della fantasmagoria teatrale, dell’assurda mitomania.
Ecco allora che se Napoli stravagante piange per le ambizioni
secessioniste di Vico Paparelle, l’austera Stoccolma non
ride. Anni fa, nella capitale svedese, tale Reinhold Wendling,
operaio sessantenne, si proclamò principe Reinhold I del
regno sommerso di Wikingland, la terra dei vichinghi. E per
asseverare la sua presa di potere, ha decretato l’emissione
di una serie di francobolli illustranti virtú e bellezze del
suo dominio subacqueo. Ai valori postali sarebbe seguito,
secondo il progetto dell’autoproclamatosi regnante, la
moneta in forma cartacea e metallica.
E
non può ridere a tanta follia neppure la Grande Mela, New
York. Anche questa fattiva metropoli rischia di perdere buona
parte del suo quartiere piú prestigioso, Manhattan, cuore
pulsante dell’economia e della cultura statunitensi. Tanta
efficienza e grandiosità, benché poggiante geograficamente
su uno zoccolo di granito, è insidiata dai discendenti del
corsaro Robert Edwards, che, stando ai documenti in loro
possesso, acquistò legalmente quaranta ettari dell’isola
corrispondenti proprio alla parte estrema di Wall Street, che
affaccia sulla baia di Hudson e che ospita importanti edifici
quali la Borsa, il Municipio, la celeberrima chiesa della
Trinità e dove, fino all’11 settembre, svettavano le Torri
Gemelle. I pronipoti del bucaniere fanno sul serio e stanno
raccogliendo fondi per intentare causa alle autorità
cittadine. Documenti alla mano, i presunti eredi del
filibustiere, gallese di origine, sostengono che il loro avo
non fosse un volgare razziatore di navigli, bensí nientemeno
che un “pirata governativo”, che assaliva e depredava i
galeoni spagnoli e portoghesi su incarico ufficiale di Sua
Maestà Britannica. A ricompensa dei suoi rapaci servigi, la
monarchia inglese gli aveva regalato la suddetta porzione dell’isola
di Manhattan.
- Nella linea dell’eredità
piratesca ai fini di una secessione, si mantengono anche i
cittadini di Seborga, un comune situato nell’entroterra di
Imperia. Sua Altezza Giorgio I, eletto monarca assoluto dagli
abitanti della cittadina, rivendica l’indipendenza del
territorio sulla base di un’antica donazione fatta
nientemeno che dal Corsaro Nero. Il ripristino della zecca per
battere moneta propria è tra i progetti piú ambiziosi e
significativi del nuovo regno. Al re di Seborga fa eco il duca
di Ventotene, che vuole secedere dal Governo di Roma e
ripristinare quello borbonico. Non è da meno Capri, che sogna
un Principe capace di pilotare l’isola verso la totale
indipendenza. Di stampo meno aristocratico è il programma del
Comune di Colonnella, in quel di Pescara, che ambisce a piú
modeste dimensioni, eleggendosi a Repubblica di Val Vibrata.
- Accanto a questi progetti in
fieri vi sono serie realtà di stampo autarchico già
realizzate. La comunità di Damanhur in Val Chiusella, Ivrea,
ad esempio, ha edificato un tempio gigantesco, un autentico
falansterio ipogeico nelle viscere dei Monti Pelati. Gli
adepti hanno dato vita a una federazione trogloditica, e però
raffinatissima, ispirandosi forse alle comunità catacombali
della Cappadocia. Gli appartenenti vivono in regime autonomo,
con leggi esclusive e una propria religione. Questa entità
federativa non deve tuttavia la propria sussistenza alle
preghiere e relative grazie della divinità cui è devota. Un’organizzazione
economica e commerciale di prim’ordine conta su quaranta
imprese che esportano i prodotti confezionati dagli “Acquariani”,
ovvero il Popolo dell’Acquario, come amano anche definirsi
gli appartenenti a questa cellula separatista, una vera e
propria nazione socio-religiosa con aspirazioni esoteriche.
Damanhur
vuol dire il Tempio dell’Uomo, e orbita quindi nella sfera
del soprannaturale, pur vivendo con i piedi ben piantati sulla
terra e abitando sottoterra…
- Ispirata ai valori post-materialisti
e all’antico comunitarismo cristiano, sono sorti in Italia,
dietro la spinta dei fenomeni beat e hippy degli Anni
Sessanta, gli eco-villaggi. La loro dimensione varia dai
piccoli nuclei familiari ospitati in casali rustici
riadattati, alle comunità piú estese sorte sulla base di
piani organizzativi mirati alla totale autosufficienza.
Rientrano in questa configurazione gli Elfi dell’Appennino,
una comunità di venti villaggi confederati, con centinaia di
appartenenti che praticano l’agricoltura e l’allevamento
biologico. Si dichiarano liberi dal denaro e dai
condizionamenti religiosi.
- Di natura piú squisitamente
fideistica sono invece le comunità degli Hare Krishna e degli
Ananda, che si rifanno genericamente alla spiritualità
induista, nelle specifiche derivazioni di scuola e di
corrente.
- Scettici circa la possibilità che
la salvezza finale possa venire da alcunché di terrestre, per
quanto ideale e morale, si dichiarano gli appartenenti alla
Comune ufologica di Valpisa, attiva a Civitella di Romagna,
Forlí. Gli adepti ritengono che l’uomo non solo non
discenda dalla scimmia come asseriva Darwin, ma sia un
prodotto extraterrestre, derivato da una manipolazione
genetica operata dagli abitanti della stella Vega, situata
fuori della nostra galassia.
- Di piú prosaici e terreni elementi
costitutivi è invece il “simec”, acronimo che sta per “simbolo
econometrico di valore indotto”. È una creatura partorita
dal fervido ingegno di Giacinto Auriti, abruzzese di Teramo,
docente universitario, economista, nonché giurista di
intelletto fino. Il “professore”, come usano chiamarlo, ha
dichiarato guerra alle lobby finanziarie, alla Banca d’Italia,
al Trattato di Maastricht, fondando un sindacato antiusura che
provvede a stampare anche banconote, il simec, appunto, con un
potere d’acquisto equivalente a un euro. È arrivato persino
a farlo circolare nella località di Guardiagrele e dintorni,
in Abruzzo, sua zona di provenienza, negli esercizi
convenzionati.
- L’assalto con intenti separatisti
alle piú alte istituzioni nazionali è molteplice e
variegato. Dalla moneta alla poltrona, anzi al trono. Una
singolare associazione milanese, “Gli Amici della Corona
Ferrea”, tempo fa ha inoltrato alla Presidenza della
Repubblica la richiesta di acquisto della sedia che fu il
trono dei sovrani d’Italia, i quali l’hanno utilizzata
fino al 1946. Netto e categorico è stato il rifiuto del
Quirinale alla petizione, motivato dal fatto che «il detto
mobile non può essere alienato in quanto facente parte del
patrimonio indisponibile dello Stato».
- Le pulsioni secessioniste, o
semplicemente autonomistiche, riguardano aree vaste quanto la
Sardegna e minime comunità di poche anime. Ma tutte sono
mosse da istanze materiali piuttosto che sentimentali. Cosí
Taormina chiede il Casinò da gioco per rimpinguare le casse
comunali, e quindi un’azione essenzialmente utlitaristica,
per contro però Lampedusa ha chiesto tempo fa di diventare
bergamasca, lamentando un totale disinteressamento da parte
delle autorità regionali siciliane, ai problemi che
riguardano l’isola, in primis gli sbarchi selvaggi e la
carenza di servizi sociali e di controllo.
- Ci sono poi le strategie
dimostrative che usano le armi della provocazione per
denunciare disagi logistici o economici di cui soffrono a
vario titolo piccole o grandi località. A Soveria Mannelli,
un paese di circa tremila abitanti situato nella Sila piú
impervia e remota, per rompere l’isolamento e richiamare l’attenzione
del mondo sui problemi che affliggono la comunità, il giovane
e dinamico sindaco ha pensato di intitolare strade e piazze a
personalità nazionali e internazionali celebri ma di stampo,
per cosí dire, alternativo alla realtà locale. Ecco allora
una Via Gianni Brera, un’altra Achille Campanile e persino
una piazza elevata al rango di Esplanade Charles De Gaulle. Ma
per meglio avviare e condurre al successo la rinascita del
paese, il primo cittadino ha pensato di chiamare a gestirne il
processo evolutivo intellettuali di grido e qualche guru della
sfera mediatica, in particolare televisiva. E cosí, sono
stati intanto convocati personaggi di rottura, capaci cioè di
suscitare l’interesse nazionale con le loro personalità
provocatorie, oltre che quotate culturalmente. Sono arrivati
perciò a Soveria Aldo Busi, Piero Chiambretti e Giordano
Bruno Guerra, al quale è stata affidata la carica piú
incisiva: quella di Assessore alla Dissoluzione dell’Ovvio.
La prima mossa del neo-assessore è stata l’ordinanza che
prescriveva l’occultamento dei cassonetti dell’immondizia,
perché la loro vista disarmonizzava l’unità estetica dell’aspetto
urbanistico della cittadina. Il sindaco, che si propone di
fare di Soveria la comunità piú informatizzata d’Italia,
assegnando un computer a ogni famiglia, oltre alle
convocazioni di cotanti geni della letteratura e dell’intrattenimento,
ha già provveduto ad assegnare altre denominazioni
toponomastiche, creando ad esempio un “Largo ai giovani” e
una “Via col vento”. Dotato di tanta sbrigliata fantasia,
ci si chiede che necessità avesse di convocare intellettuali
di rottura e comici alternativi. Forse ignora, il sindaco di
Soveria, cosa diceva di certi intellettuali e personaggi di
potere il suo conterraneo Massimo Scaligero: «L’alterazione
mentale di taluni intellettuali, come di taluni spiritualisti,
come di responsabili della politica, è qualcosa che non si
manifesta in fatti evidenti, conducibili al quadro della
psicopatologia: essi non sono certo folli sprovveduti e
scoperti, che finiscono nelle case di cura. Si tratta di folli
ben mascherati anche a se stessi, avallati da cultura, da
titoli accademici, da dialettica, da sicurezza scientifica».

- Se però al Sud modificano per fini
propagandistici o di utilità nomi di strade e piazze, al Nord
se li vendono per lucrare royalty dagli sponsor
produttori di automobili, bibite e detersivi, che pagano molto
bene per vedere il loro marchio campeggiare sui cartelli
stradali e di segnaletica varia. Ha dato il via a questa
tendenza la città di Riccione, che ha mutato il proprio nome
in RICC1ONE,
per ricordare il modello di una nota casa francese di
automobili. Si prevede che verrà presto imitata da altre
località turistiche. Avremo quindi strada e piazze “mulini
bianchi”, portici e colonnati “tutto intorno a te”,
fontane che “lavano piú bianco” e cosí via.
- Sarebbe materia ricreativa e di
evasione il repertorio delle citate eccentricità
devoluzioniste, se non presentasse al suo rovescio le
raffinate angosce che distillano gli eventi della cronaca e
che ci fanno chiudere a testuggine contro vere o presagite
insidie. O magari, in un rinnovato Medioevo, ci fanno privare
del nostro habeas corpus spontaneamente, per
rinserrarci a doppio filo spinato, con cancellate e picche
antiscavalco, con barriere elettroniche a orario, dentro
fortini come quello che è stato definito “il paese sotto
chiave”, o peggio ancora “il Fort Alamo del Pavese”: San
Genesio. Tremila e rotti abitanti, rotti anche nel senso lato
della parola, perché stufi di subire furti e rapine da parte
di bande organizzate di predoni che, come nei secoli bui,
battono la campagna dei cui frutti vive quella laboriosa e
altrimenti aperta comunità.
- Sí, queste smanie di voler fare per
conto proprio, di sciogliere patti e alleanze, di erigersi in
entità autonome alienate dal mondo circostante, sarebbero
materia di divertissement, se non fosse per le
efferatezze che la cronaca impone alla nostra sempre maggiore
vulnerabilità animica, le paure per la sicurezza individuale
e collettiva, le apprensioni per la futura sussistenza nostra
e di chi raccoglierà da noi il testimone per l’ininterrotta,
trafelata corsa della civiltà. Perciò, questa voglia di fare
da sé contro i terzi sarebbe materia per una sapida commedia
antropologica, ma poiché rivela al profondo della sua essenza
una follia in crescita esponenziale, ma di cui, questo è il
punto dolente e preoccupante, non conosciamo piú i parametri
per giudicare quanto siamo folli e quanto sani di mente,
allora tutte queste libidini di separatismo, spesso
anarchiche, vanno prese e intese come un male da curare, e in
fretta. Ma come individuare la giusta terapia e quali i modi e
i tempi per attuarla? Massimo Scaligero, con la chiara
facoltà del mentore spirituale ci fornisce in termini
inoppugnabili le linee guida per poter realizzare un’opera
di ripristino dei valori sociali e individuali per la finale
salvezza: «La socialità è
essenzialmente attività dello Spirito. …Questa doveva
essere l’epoca della socialità; ma se si guarda
obiettivamente come essa si è cominciata ad attuare, si
scopre che tutto è stato compromesso, forse
irrimediabilmente, ad opera di coloro che si sono proclamati
portatori della socialità e della fraternità: per cui è
legittimo il dubbio che proprio essi, con il loro dialettismo,
abbiano avuto il compito di ostacolare il processo della
socialità. È il momento di aprire gli occhi, perché
qualcosa si è gravemente guastato nella cultura e nel
costume, e continua a guastarsi, ad opera delle insistenti
suggestioni dell’intellettualismo materialista di qualsiasi
colore. …La socialità non è un punto di partenza ma un
punto di arrivo: su questo convengono alcuni socialisti,
capaci di pensare di là dal meccanismo dialettico, i quali
hanno il solo torto di credere ancora nella politica. Perché
la soluzione del problema è fuori della politica, fuori dei
partiti. …La soluzione a cui alludiamo è la Tripartizione
dell’organismo sociale intuita da Rudolf Steiner: soluzione
secondo libertà, uguaglianza e fraternità, ma
realisticamente concreta, in quanto non presuppone una
fraternità e una socialità che ancora sono da venire. …Lunghe
e faticose sono le vie della fraternità e della socialità:
esse non passano attraverso la politica né attraverso la
coartazione, o la violenza: non passano attraverso bruti fatti
o esteriori provvedimenti, o meccaniche sistemazioni della
cultura e della società, che finiscono con l’uccidere
insieme con l’elemento individuale la sostanza etica dell’uomo:
bensí attraverso la lotta del pensiero, per il conseguimento
della sua realtà, che è realtà spirituale, capace di recare
il sovrasensibile, che domina la vita, nella vita. Ma tale
possibilità non può essere il conseguimento della
intelligenza dialettica, bensí di una saggezza che
restituisce senso all’intelligenza. …Non nascerebbe fiore
sulla Terra, se il sovrasensibile non fosse l’intima vita
del sensibile».
- Tengano quindi presenti ai loro
animi questi ammonimenti i politici di casa nostra, che si
stanno preparando alle elezioni dell’anno prossimo, e già
li vediamo chiudersi nei loro gelosi laboratori di partito e
di lobby ad armeggiare coi vecchi e obsoleti alambicchi delle
strategie politiche e clientelari, seguendo le formule
cabalistiche ormai inafferrabili alla loro stessa
comprensione. I giochi sono finiti, soprattutto quelli antichi
e frustri. Come dice il Maestro, occorre aprire gli occhi,
quelli della testa, ma soprattutto quelli del cuore. Stringono
i tempi e le necessità della gente. Il rischio è che la
secessione tocchi fino all’ultimo degli italiani, fino al
nucleo piú intimo della loro identità animica, e ci renda
cosí tutti separati in casa, isole a sé stanti, abbandonati
sulla banchisa polare in attesa dell’orso.