Il
percorso che l’anima intraprende per giungere all’apice
della concentrazione è comparabile, per analogia concreta,
alla conquista di un picco roccioso. Alla sua base si
raccoglie l’attrezzatura indispensabile, si ripassa con
attenzione la via, che in molti casi è l’unica possibile,
scoperta ed aperta in tempi antecedenti da scalatori d’élite:
è questo che rende possibile il tentativo di chi viene
dopo.
- Si
inizia. Cuore e respiro trovano un nuovo ritmo, muscoli e
nervi protestano, obbligati a sottomettersi ad una
determinazione inusuale.
- Dopo un
breve tratto la mente non può piú divagare in futilità e
fantasie, ma solo convergere nello sforzo intelligente…
caricare il peso sull’avampiede sinistro, premere l’estremità
delle dita nell’ombra di una rientranza, scivolare con la
gamba destra oltre un cordolo trasversale… Il respiro
tagliato, l’occhio bruciato dal sudore, il dolore della
carne violata dalla densa asprezza del minerale: c’è
tutto e ancora altro, ma rimane fuori, sotto. È
inessenziale per l’ascesa, per un salire che sente e
tuttavia ignora paura, fatica e dolore; per un pensiero
totalmente dedicato al moto del salire in solitudine
perfetta.
- Occorre
tempo, interminabile, e sforzo al limite del possibile o
forse oltre, e ci si accorge che l’anima è scomparsa.
Rimane solo il corpo in movimento ed un soggetto che non è
piú il soggetto di prima e nemmeno il corpo è quello,
opaco e pesante, che si sentiva all’inizio della via.
- Quando
Nietzsche, dando voce a una nostalgia profonda, nel
contemplare le alte vette le chiamava “pure, non macchiate
di spirito”, sbagliava: avrebbe dovuto dire “non
macchiate dall’anima”!
- In
questi momenti una caduta funesta sarebbe una tragedia per
parenti ed amici, non per lo scalatore, che sperimenterebbe
un librarsi meraviglioso e liberatorio nella viva vastità
dell’Aria.
- Giunti
alla cima, tutto l’assetto del rocciatore cambia ancora.
Il lungo sforzo, soggettivamente quasi interminabile, la
ferrea incandescenza dell’atto di assoluta determinazione,
si convertono in un riposo potente.
- Dalla
cima, lo sguardo al mondo circostante non è grande per ciò
che vede ma per l’immanenza dello Spirito in chi guarda.
Sulla cima, l’uomo ha dato piú del possibile e se in lui
vive l’asceta, lascia, nella superiore attività del
non-agire, che il Cielo espiri trasparenti altezze di Quiete
che si aprono in segni di Luce e fisionomie di Saggezza e
Forza.
-
- Similmente,
dopo anni penosi di tentativi e smarrimenti, per chi si era
esercitato al controllo del pensiero, alla ricostruzione
dell’immagine concettuale ed alla vera concentrazione che
è soltanto il darsi perdurante di tutta l’attenzione in
questa immagine, vinto l’irraggiamento centrifugo dell’anima
e la frammentazione del flusso pensante, si instaura il
picco, l’apice della concentrazione. Genericamente la
differenza tra chi ha iniziato da poco e chi ha lavorato
strenuamente per anni o decenni è che di solito quest’ultimo
si spinge piú avanti in tempi piú brevi; piú esattamente
la differenza è sportiva e si chiama intensità.
- Nessuno
conosce sui primi passi della via interiore cosa sia l’intensità
nella sfera della coscienza pensante anche se nella vita
qualcuno è stato afferrato con intensità da un’idea,
molti dall’intensità di un sentimento.
- Del
resto tra l’essere afferrato da qualcosa, fosse anche un
dio, e l’afferrare in volizione cosciente un concetto, un’idea,
si apre un varco ampio come l’universo della fisica.
- L’intensificazione
interiore, voluta e coscientemente alimentata tramite
attenzione di pensiero che si enuclea in immagine
concettuale, è sconosciuta alle coscienze scientiste,
filosofiche, antroposofiche, tradizionaliste, formalmente
diverse ma sostanzialmente identiche in quanto perfettamente
intercambiabili nella loro celebrale riflessità, ossia
in quel nulla che permette l’accendersi dell’autocoscienza
ma che poi non afferra e non comprende nemmeno un filo d’erba.
- Lo stato
apicale: l’oggetto interiore, con o senza forma, acquista
autonomia, la sua concreta saldezza implica la formazione di
uno spazio animico in cui ci si raccoglie, la sua perdurante
intensità assorbe tutto il pensare. Come, durante l’esercizio
della disciplina, svanisce la presenza dell’anima intesa
come esperienza personale, cosí ora cessa l’attività
personale del pensiero: il noto sforzo dell’ascesi si
interrompe, ha esaurito il suo propedeutico compito.
- La
possente Quiete impersonale che accoglie la coscienza reca
in sé un penetrante sentimento di familiarità. Si ottiene
subito la consapevolezza che questa condizione eccezionale
è quasi immediata alla nostra piú vera realtà, lontana ma
soprattutto diversa dalla pallida opacità dei fondali
dipinti che, nell’alienazione di noi stessi, chiamiamo
realtà nostra e del mondo.
- Un certo
pericolo, a fianco dell’esperienza evocata, può
verificarsi a causa di un eccesso di saturazione dell’immagine,
se questa eccede e ci attrae, se tenta di risucchiarci
dentro e attraverso sé. Abbandonarsi a ciò, che è assai
simile alla forza di gravità in una caduta o ad una
galleria del vento attivata, ci trascina di colpo dalla
sfera ancora collegata al sensibile, in mondi che sovente
sono troppo lontani dall’esperienze in cui permanga un sano
nesso tra percezione ed autocoscienza. Per poter
attraversare correttamente certe porte è necessario
raggiungere una forte maturazione di precise forze animiche
mediante diverse discipline indicate dalla Scienza dello
Spirito e intuitivamente selezionate.
- Ma il
pensare-sentire-volere è davvero scomparso?
No, è
scomparso soltanto per riapparire. Però mutato,
trasformato. Le
forze che abbiamo sempre riconosciuto come “forze dell’anima”
in realtà ordinariamente sottomesse all’astrale
inferiore, dunque alterate e giustificate solo dall’inversione
del Principio umano, ora riaffiorano nella loro natura
originaria: come arti dello Spirito, organi dell’Io.
Risorgono dalla possente intensità dell’immobilità e del
silenzio per essere capaci di azione spirituale.
-
- Frasi
simili spiegano poco e per chi non trova ancora in sé un
germoglio d’ascesi sembrano anche peggio; è però logico
che le cose stiano in tale modo: v’è un limite lungo
il quale ognuno può capire di tutto e fare di tutto. È
il limite della dialettica, della parola mentale,
onestamente funzionale al solo mondo sensibile, che diviene
astratto arbitrio, inganno e menzogna qualora supponga di
poter contenere alcunché di spiritualmente reale, fatti
salvi i rari casi in cui venga riplasmata dallo Spirito
attraverso il veggente o l’artista.
- Oltre
quel limite non c’è nulla da capire ma una strada da
percorrere superando il bisogno di spiegazioni. Essa si
chiama Concentrazione e Contemplazione. Solo su quella
strada chi in qualche modo è stato chiamato può
risvegliarsi al Fondamento di sé ed alla realtà dello
Spirito.