Ascesi

È difficile da ottenere, è difficile da conservare. Viene donato inizialmente dal mondo spirituale al ricercatore dello spirito, che ne sia considerato degno, come impulso a proseguire il cammino interiore. È come se gli dicesse: «Ecco ciò che ti attende, ecco ciò che devi realizzare. Quanto hai ora sperimentato come nostro dono devi riconquistarlo con le tue forze. Non scoraggiarti degli insuccessi, perché questa è la meta a cui ti attendiamo. Puoi arrivarci, perché altrimenti non te ne avremmo dato la percezione».
Il dono della percezione dura pochi, infiniti istanti che potrebbero riempire di sé un’intera vita, tanto sono perfetti e pieni di beatitudine.
In essi scompaiono i limiti umani: non ci sono desideri, ambizioni, rancori, né tutto il corteo dei difetti che affligge l’uomo, e anche il discepolo.
Non c’è depressione, abbattimento, scoraggiamento. Non c’è esaltazione. C’è solo calma, luminosa gioia celeste, quieto coraggio di vivere operosamente, quieta forza di affrontare momento dopo momento ciò che la vita ci porta incontro.
È uno stato di concentrazione interiore, di costante raccoglimento, che con ferma volontà bisogna difendere dagli attacchi del mondo. Attacchi che arriveranno fatali per scuotere l’essere e distruggere lo stato di grazia, perché l’uomo che vive in tale stato è “un’offesa” per il caos del mondo. Ma lo si può difendere ritirandosi nella parte piú intima di sé.
In un tempo lontano, chi voleva realizzare e permanere nello stato di grazia si ritirava sulle montagne o nelle foreste, come l’eremita Trevrizent, la grande guida spirituale di Parzival. Nel nostro tempo tutto questo non è piú possibile, perché il ricercatore dello spirito è chiamato a vivere all’interno della società, fra gli uomini: lí dovrà riconquistare a fatica la sua difficile mèta. Diversamente dall’asceta antico, il discepolo moderno è predisposto a questo compito, nasce già con le forze necessarie e sufficienti a raggiungere ugualmente lo scopo.
Uno scopo altissimo, perché nello stato di grazia è la presenza dello Spirito Santo. È il medesimo stato richiesto ai cavalieri e alle dame del Graal, poiché è impensabile l’accesso a un cosí grande e venerabile mistero, se non si è conquistata la Pentecoste personale, che può verificarsi per chiunque si trovi nelle condizioni di riceverla, una volta avvenuto l’evento storico-spirituale della Pentecoste per gli Apostoli e per Maria. Del resto, la descrizione che Trevrizent fa a Parzival della discesa della colomba sulla pietra del Graal il Venerdí Santo, e la stessa processione che l’ingenuo eroe vede la prima volta, mentre è ospite al castello, sono pervase dallo stato di grazia contessuto a una venerazione profonda. Parzival percepisce tutto questo, ma come qualcosa che gli è ancora estraneo. Per tale ragione dovrà sperimentare molta sofferenza: per diventare degno di conquistare quello stato di grazia e quella venerazione.
Una volta tuttavia che sia stato conquistato, bisogna lottare per mantenerlo: bisogna conquistarlo sempre di nuovo. È qui il mistero del tradimento, sempre possibile, sempre instante, verso lo Spirito.
Vivere nello stato di grazia significa ritrovare la Sophia che l’uomo ha perduto, poiché è la condizione indispensabile per ottenere la conoscenza spirituale. Significa attuare quanto dice san Paolo nella Lettera ai Romani: «Come sta scritto: il giusto vivrà mediante la fede» (1,17). Significa stare “nel mondo”, ma non essere “del mondo”. Significa vivere nello Spirito.

Alba Chiara