Attualità spirituale

Se il mese di gennaio è legato, nella tradizione cristiana, all’Epifania del Signore e all’Adorazione dei Magi, quello di febbraio evoca, per semplice consequenzialità cronologica, la fuga in Egitto della Sacra Famiglia. Il Vangelo di Matteo infatti, l’unico dei quattro canonici a riportare l’episodio, non specifica il lasso di tempo intercorso tra la visita dei tre sapienti astronomi d’Oriente al Bambino della grotta e l’apparizione dell’angelo a Giuseppe, per sollecitarlo a mettere in salvo suo figlio, riparando nella terra dei Faraoni. Ma data la frenesia paranoica del re Erode, è facile immaginare che non dovettero passare molti giorni dalla notizia della nascita di Gesú all’esplosione dell’ira del satrapo, il quale vedeva nel fanciullo, stando a una malintesa interpretazione delle profezie, chi lo avrebbe detronizzato.
La strage degli innocenti coinvolse tutti i neonati di Betlemme e dintorni. Sin dalla sua nascita, quindi, Gesú di Nazareth, designato dal progetto divino di redenzione dell’uomo ad accogliere lo Spirito del Cristo, è stato oggetto di persecuzione. E ciò da parte sia dell’autorità costituita sia per mano di singoli individui che hanno contestato, da duemila anni a oggi, la sua figura storica e la sua divinità.
L’anno appena trascorso, il 2004, ha registrato una particolare veemenza persecutoria nei confronti della figura dell’Uomo di Galilea, del suo insegnamento, dei simboli e dei valori che la sua venuta ha diffuso nella vicenda materiale e spirituale del mondo.
L’uscita del film “La Passione di Cristo” di Mel Gibson, agli inizi di aprile, ha scatenato un’offensiva di contrapposizione a largo raggio, con grandi e piccoli gesti, alcuni eclatanti e diretti, altri clandestini ed ellittici. Nella chiesa di una borgata romana, pochi giorni dopo l’inizio della programmazione, una mano ignota armata di martello e mazza di ferro ha infierito su una statua in gesso del Cristo, un “Ecce Homo” divenuto, dopo quel sacrilego trattamento, ancor piú aderente all’epiteto.
È stato una specie di segnale per l’avvio di una vasta operazione di “dàgli al Messia!”. Il 20 aprile la Procura di Viterbo ha iscritto nel registro degli indagati il parroco di Bagnoregio di Tuscia. L’atto dovuto faceva seguito a una denuncia da parte di un sedicente ateo convinto, tale Luigi Calcioli, il quale sosteneva che il prelato della locale chiesa di San Bonaventura avrebbe reiteratamente abusato della credulità popolare, predicando e asserendo, a suo dire falsamente, che Gesú di Nazareth sia realmente esistito, cosí come affermano e testimoniano i Vangeli. Mentre, a opinione del Calcioli, autoelettosi studioso delle Sacre Scritture, Gesú non è mai esistito. Trattasi di una favola storica. Pertanto, oltre alla denuncia per falso, il parroco di Bagnoregio ha rischiato anche l’incriminazione per il reato di sostituzione di persona, in quanto la non vera, a detta del denunciante, figura di Gesú Cristo, avrebbe fraudolentemente usurpato quella di un personaggio vissuto nello stesso periodo, chiamato Giovanni di Gamaele. Tocca adesso alla Magistratura fare luce sull’inedita vicenda.
Sarà stato per imitazione indotta, fatto è che di lí a poco anche la Procura di Pisa si è mossa, sequestrando, su richiesta di una sedicente “Polizia del Pensiero”, alcuni passi del Vangelo, poiché ritenuti istiganti all’odio razziale e religioso, in quanto vi si parla dei Giudei che “tramavano per uccidere Gesú”. I passi incriminati, tratti dai Vangeli di Giovanni, Luca e Matteo, raccolti in faldoni sigillati, giacciono ora nei sotterranei della Procura di Pisa, e lí attendono che anche su questo caso si deliberi in sede giudiziaria.
Neanche si erano spenti gli echi di timbri, sigilli e scatti di serrature, quand’ecco entrare nel perverso gioco delle denigrazioni a comando gli Esseni, l’austera comunità di asceti nella quale Gesú sarebbe nato, cresciuto e avviato al suo magistero divino. Autori dei famosi rotoli di Qumran, o del Mar Morto, depositari di una fede intemerata e di alte conoscenze misteriche, gli Esseni, per mano di un giornalista di un importante quotidiano romano, alla fine di luglio, venivano sbugiardati e rivelati per quello che, secondo l’articolista, realmente erano nella congiuntura storica: una comunità di autentici viveur sibaritici, che possedevano mobili e oggetti di lusso, gioielli, e le cui donno usavano raffinati cosmetici. Insomma, in quelle grotte sulle rive nord-occidentali del mare piú salato del mondo, si sarebbe svolta un’esistenza all’insegna del carpe diem, altro che la decantata severità dei costumi e l’osservanza alla lettera della Legge!
Ma non era finita. In settembre, Dario Fo ha lanciato l’ennesima provocazione anticristiana, annunciando che avrebbe tenuto all’Università umbra di Alcatraz cinque lezioni sul tema “Il Vangelo e le donne”, denunciando l’esclusione delle “femmine” da ogni rituale di stampo cristiano, e con l’occasione pubblicizzando due libri scritti dal figlio Jacopo, dai titoli rispettivamente Il libro nero del Cristianesimo e Gesú amava le donne. L’attore e regista premio Nobel nella sua diatriba si è fatto forte della consultazione di antichi testi orientali, di vangeli apocrifi di provenienza anatolica, di reperti della tradizione orale «accuratamente registrati e messi nero su bianco». Come al solito, il celebre comico, assurto con il riconoscimento ottenuto alla statura di grande drammaturgo, se la prende con il cane-clero per colpire il padrone-Cristo.
Non a caso, nello stesso periodo è stato proiettato su un canale TV di larghissima audience il film “The body”, Il corpo. La pellicola, senza perifrasi né pudori e neppure tentativi di fair play, narrava di archeologi israeliani, del tipo di quelli che hanno rivelato il lato mondano degli Esseni, i quali, dietro la capziosa invenzione cinematografica, affermavano di aver scoperto nella tomba di una ricca famiglia di Gerusalemme i resti di un uomo crocefisso duemila anni fa, nascosti da un muro tirato su velocemente, cosa che lascerebbe supporre la malafede dei discepoli. Sofisticati ed avanzatissimi rilievi e studi, porterebbero nel film alla conclusione che quei resti potrebbero essere appartenuti a Gesú di Nazareth, crocefisso dai Romani. E dunque, niente Resurrezione e di conseguenza niente divinità. Un uomo come tanti, un rabbi arruffamoltitudini, magari con capacità ipnotiche e qualche ben riuscito numero di prestidigitazione.
Finché non è entrato in scena, verso novembre, un tale che si è dichiarato “Papa dei pagani e guardiano dell’Anticristo”. Questi ha rivelato che gli adepti della Federazione pagana, legalmente costituita nel 2002 e di cui egli è il Gran Sacerdote, cercano di acquisire un corpo di luce, praticando riti politeisti nei boschi, e raggiungendo l’Iniziazione attraverso il Fuoco Sacro. Ma non contentandosi di questo, ha affermato che Gesú non è mai esistito e che la Passione è una scopiazzatura della crocifissione di Ermia descritta da Aristotele.
Ha chiuso l’anno la Natività di David Beckham, nella realistica figurazione allestita nel Museo delle Cere di Madame Tussaud a Londra. Il celebrato calciatore inglese e sua moglie Victoria vi figurano nei panni di San Giuseppe e della Madonna. Alle loro spalle, librata a mezz’aria, la cantante australiana Kylie Minogue, che impersona un angelo adorante, in una positura, oltre che blasfema, irridente e sconcia. In questo farsesco presepe mancava il Salvatore: si può supporre fosse andato a raggiungere le migliaia di bambini che di lí a poco sarebbero morti nel maremoto dell’Oceano Indiano.
Eppure, la realtà storica di Gesú di Nazareth fu testimoniata da scrittori di vaglia come Tacito, Svetonio, Plinio il Giovane e Tertulliano, oltre a Flavio Giuseppe, uno storico ebreo che ne riconobbe la veridicità e l’onestà dottrinale. E quando la fanno esistere, tale storicità, la dequalificano, collegandola persino a oscuri episodi e leggende controverse. In questo senso, risulta incomprensibile il fatto che, mentre al Cristo annunziato da profeti e veggenti si negano carisma divino e taumaturgico e finanche l’esistenza storica, ad altre figure bibliche si riconoscono veracità esistenziale, contatti col trascendente e il soprannaturale, potestà miracolose, eminenza spirituale e autorità morale. Cosí, è assodato e incontrovertibile che Abramo ascoltasse la voce di Dio, che Mosè parlasse con l’Eterno ricevendone il Decalogo, che Lot incontrasse gli Angeli che lo portarono fuori da Sodoma, che Giosuè fermasse il Sole facendo crollare le mura di Gerico al suono delle búccine da guerra e che Daniele parlasse ai leoni e li ammansisse. Si organizzano persino spedizioni per la ricerca dell’Arca di Noè, che avrebbe sicuramente navigato per quaranta giorni e quaranta notti spiaggiandosi sull’Ararat. E perciò prodigi, miracoli e poteri soprannaturali vengono attribuiti a personaggi piú remoti nel tempo e la cui presenza nello scenario epocale viene tramandata da tradizioni e testi che, proprio grazie alla loro arcaicità, si sottraggono alla “zelante” verifica di dati, testimonianze e reperti, che viene invece riservata alla vicenda terrena del Dio incarnato. E spesso, volendo obliterare la figura del Cristo, accade che si mettano in discussione, passando dal particolare al generale, tutte le facoltà umane di sublimazione e divinizzazione, già riconosciute queste dalle piú antiche dottrine esoteriche.
Ad esempio, secondo la tradizione Lao-Tsè, fondatore del Taoismo, vissuto in Cina intorno al sesto secolo a.C., a un certo punto della sua vita trascorsa a insegnare la disciplina del Tao, la Via, decise di lasciare il consesso umano. Partí da Luoyi, dove svolgeva il lavoro di archivista e dove, pare, avesse piú volte incontrato Confucio, e si diresse a Ovest. Intendeva raggiungere il “Regno del riposo dell’anima”. Lí, rivela sempre la tradizione, avrebbe ricevuto in premio la Vita eterna. Nessuno, che si sappia, si è mai curato di accertarsi della natura di quel felice luogo a ponente della Cina, né di conoscere la sorte di uno dei massimi pensatori orientali. I Cinesi però erano sicuri che il filosofo del Tao si fosse allontanato per sempre dalla vita materiale, annullandosi in una dimensione senza tempo e raggiungendo lo xien ren, l’immortalità, diventando tianshi, ovverosia Maestro Celeste. Era l’immortalità cui il discepolo taoista perveniva mediante pratiche che andavano dalla dieta alla meditazione, passando per rigorosissime discipline ascetiche.
Le antiche religioni orientali contemplavano la possibilità per l’uomo di sconfiggere la caducità della materia e assimilare il proprio corpo a una dimensione imperitura: farne sostanza luminosa, sottraendone le molecole ai condizionamenti di spazio e tempo cui la materia fisica è sottoposta. È della cronaca recente il fenomeno riguardante il monaco buddista Khambo Dashi Dorgio, deceduto nel 1927. Il suo corpo, disseppellito due anni fa, non presenta segni di corruzione né di mummificazione. Il rilievo anatomico, eseguito da scienziati e patologi, ha constatato che nessun processo chimico di decomposizione si è verificato nella struttura fisica in tutti questi anni: appare il corpo di una persona caduta in stato letargico. I seguaci del monaco, che fu una guida spirituale del buddismo russo e ritenuto santo, affermano che il lama Khambo Dashi Dorgio non è morto: dopo aver assunto la posizione del loto, in cui si trova tuttora, egli è entrato in meditazione profonda ed è in viaggio verso il Nirvana. Si risveglierà, ne sono certi, quando tutte le religioni troveranno la loro unità nella Verità divina.
Secondo la tradizione dei Romani, Romolo venne assunto in Cielo col suo corpo, e cosí Numa Pompilio, che s’incamminò verso il Gianicolo, dove una nube lo avvolse e lo trasse a sé. Si dice che i grandi Maestri Zen assumessero il loro corpo nella dimensione spirituale, lasciando come residuo fisico una spada. Cagliostro invece lasciò una rosa bianca nella cella di San Leo, dove era tenuto prigioniero in un cubicolo senza porte. Per non parlare dell’Assunzione in Cielo di Maria dalla sua dimora di Efeso. Se agli uomini è concesso di trasumanare, ancor piú lo sarà ad un Dio fattosi uomo, che morendo ha dissolto e donato alla Terra la sua veste fisica assumendo quella eterica.
Ma nella congiura globale non c’è solo la negazione della divinità del Figlio dell’Uomo. Esiste tutta una linea che mira ad assimilarne la figura in diversi ambiti religiosi, e ciò per annullarne la specificità e l’unicità fondante. Sul finire degli anni Sessanta, nel multiforme e variegato universo della mistica induista popolata di sadhu, guru, rishi e fachiri, emerse la figura, piccola di statura ma grande in carisma, del Maharishi Maheshi Yogi. Tra i vari ashram da lui fondati, frequentati da un gran numero di seguaci e devoti, vi era quello che sorgeva in un parco al centro del lago Dal a Shrinagar, capitale del Kashmir. Attratti dal fascino della Meditazione Trascendentale, una via che prometteva un rapido raggiungimento del vuoto mentale per mezzo di particolari mantra assegnati individualmente dal Maestro, molti affluivano a Shrinagar anche dall’Europa. Vi andarono persino i Beatles, allora all’apice della loro fama, e che molto contribuirono a diffondere la MT in Occidente e negli USA. Coloro che si recavano a Shrinagar in cerca di misteri e rivelazioni, oltre agli pseudoprodigi estatici procurati attraverso il metodo del Maharishi, si vedevano offrire dalle guide locali una visita esclusiva e inedita alla “tomba di Gesú Cristo”. Venivano quindi condotti nel quartiere di Rozabal Khanyal, dove, al di là di un recinto con una cancellata, un tempietto confuso alle povere abitazioni si diceva custodisse le spoglie mortali di un sant’uomo venuto dalla Palestina a predicare alla gente del Kashmir. Per avvalorare questa versione, tra favola e leggenda, le guide facevano riferimento a una famosa opera in sanscrito, la Bavisya Mahapurna, scritta nel 3191 dell’era Laukik, corrispondente all’anno 115 dell’era cristiana. Quest’opera, tra poema e cronaca, racconta che Yuz Asaf, un profeta dalla pelle bianca, era stato in India due volte proveniente da Israele. La prima volta all’età di 14 anni, quando, dopo aver lasciato la famiglia e compiuto un viaggio avventuroso con una carovana di mercanti, era giunto nella regione himalayana. Qui aveva frequentato molte scuole e monasteri, raggiungendo il piú alto livello di conoscenze iniziatiche. Al compimento dei 29 anni, era tornato in Palestina dove aveva dato inizio alla sua predicazione, aveva compiuto miracoli ed era stato crocefisso. Ma non era morto, bensí era entrato in uno stato di samadhi, grazie alle sue doti di mahayogi. Era stato poi recuperato dai discepoli e aveva fatto ritorno in India, in compagnia di Maria Maddalena, passando per Babilonia, Hamadan e Bukara. Qui la sua compagna era morta ed era stata sepolta in una località chiamata Kashgar. Yuz Asaf – o Isha Natha, secondo i sutra degli asceti Natha, presso i quali il profeta avrebbe a lungo dimorato – era morto in tarda età a Shrinagar, dove era stato sepolto e da allora venerato come uno dei piú grandi Maestri della tradizione religiosa locale.
Ma non è stato solo Gesú di Nazareth a subire un tale arbitrario procedimento di assimilazione da parte degli abitanti del Kashmir, i quali hanno elaborato un sincretismo di comodo tra l’induismo, l’islamismo, i culti sikh e tantrici. A una sessantina di chilometri a Nord di Shrinagar, sorge un monte denominato Ablu. Gli studiosi locali sostengono si tratti del biblico Nebo, dove Mosè terminò i suoi giorni dopo aver rimirato da lontano la Terra Promessa. Questa altro non sarebbe che la ridente vallata del Kashmir. E per rendere ancora piú plausibile tale ardua ipotesi, sulla cima del monte Ablu, o Nebo che sia, si venera un tumulo che conterrebbe la tomba del patriarca delle Tavole della Legge. Il luogo viene appunto definito Hazrat Musa, il Sepolcro del Profeta del Libro.
La vicenda terrena del Cristo, conclusasi con la sua Ascensione dal Monte degli Ulivi, ha innescato una diaspora di personaggi, oltre agli Apostoli, che, lasciata Gerusalemme e la Palestina, si spostarono in Asia Minore, Turchia, Grecia e soprattutto Roma. Recavano, alcuni di loro, testimonianze di prima mano della vita di Gesú di Nazareth e della sua portentosa vicenda terrena. Altri gelosamente sottraevano alla bramosia e al sacrilegio oggetti e reliquie che di quella vicenda erano stati gli strumenti di elezione, toccati, usati dal Cristo, da Maria, dalle pie donne, e naturalmente quelli serviti a flagellarlo, torturarlo, inchiodarlo alla croce. Tra questi era la tunica inconsutile, senza cuciture, tessuta da Maria, che Gesú indossava, la corona di spine, il sudario, il panno della Veronica. Intanto che gli oggetti testimoni della vita e della Passione del Cristo camminavano per le strade del mondo, fiorivano leggende di ogni genere. Mentre Giovanni e la Vergine si fermavano a Efeso, in Turchia, Pietro e Paolo raggiungevano Roma. Una linea di tale peregrinazione si dice toccasse la Francia. Vi sarebbero sbarcati, alle foci del Rodano, Giuseppe d’Arimatea con Maria Maddalena e altre due pie donne chiamate anch’esse Maria, tuttora venerate alle “Saintes Maries de la Mer”. Oltre al calice della cena, nel quale aveva raccolto il sangue del Redentore, Giuseppe d’Arimatea recava varie altre reliquie, e forse documenti che confermavano le vicissitudini legate alla vita terrena del Cristo. Il grande discepolo si spinse poi dalla Gallia fino in Britannia, dando origine alla leggenda del Graal.
Da questo ceppo originario di leggende e racconti sono nate miriadi di tesi e illazioni che si sono allontanate dal vero tessuto storico. Al di là di tale messe di fantasiose trasformazioni, l’essenza del Cristo emerge però in tutta la sua grandezza e divinità. Nessun’altra figura, lungo l’intera parabola della storia umana, ha mai suscitato tali e tanti sentimenti, virtú eroiche, sollecitato pensieri e ispirato opere di creatività artistica. Ovviamente, come spesso accade nelle temperie umane, intorno a fenomeni importanti e vitali si scatenano ambizioni e congiure di vario genere. Tra queste primeggia la tendenza a ridurre la statura del Cristo a quella di modesta comparsa nella vicenda sublimativa umana. L’antroposofia intende invece ribadire la centralità del Cristo nel percorso evolutivo dell’uomo e la facoltà che questi ha di assimilarsi al divino attraverso la conoscenza dello Spirito, uscendo dall’attuale pania del materialismo e del pensiero astratto. Come ci dice Rudolf Steiner «…con il Mistero del Golgotha, il Cristo voleva dimorare nell’umanità, ma non voleva offuscare la nascente coscienza dell’Io. Egli aveva già compiuto ciò una volta in Gesú, nel quale visse, a partire dal Battesimo, la coscienza del Figlio in luogo della coscienza dell’Io. Ma questo non sarebbe dovuto avvenire negli uomini delle epoche successive. In essi, l’Io avrebbe dovuto elevarsi in piena coscienza, epperò divenire dimora del Cristo. …Egli tuttavia inviò agli uomini quella entità divina che non estingue la coscienza dell’Io e alla quale ci si eleva non nella visione, bensí nell’invisibile spirito. Egli inviò agli uomini lo Spirito Santo. È propriamente lo Spirito Santo ciò che il Cristo dovette inviare all’uomo, affinché questi potesse conservare la coscienza dell’Io, vivendo il Cristo in lui senza che egli ne fosse cosciente. …Il Cristo, inviando lo Spirito Santo all’umanità, ha donato a questa la facoltà di sollevarsi alla concezione dello Spirito, liberandosi dall’elemento intellettuale»(1).
Le varie religioni che per secoli si sono combattute per affermare ciascuna la propria veridicità rispetto alle altre, dovrebbero finalmente convergere sull’unica verità che il Cristo ha portato all’uomo di ogni epoca e appartenenza etnica: la rivelazione della capacità di trasumanare. Il Cristo è la forza che, superando dogmi, canoni e decaloghi, giustifica le aspettative di redenzione della creatura umana. Sarebbe dunque tempo che si disputasse meno sulla sua esistenza storica, sull’autenticità delle sue reliquie e sulla sua natura divina, ponendo invece al centro delle aspirazioni umane il dono supremo del messaggio che egli ha portato nel mondo. Insegnandoci come sollevarci al di sopra della brutalità materica, egli ci indica come procedere su una via di conoscenza e di donazione di noi stessi al prossimo. La promessa, a chi saprà realizzare la sua legge d’Amore, è l’approdo ad una dimensione di perfetta armonia, la luminosa dimora dove tutti dovremo ritrovarci.

Ovidio Tufelli

(1) R. Steiner, Il mistero della Trinità, Tilopa, Roma 1989, pp. 66-68.