- Conoscete questo racconto? Un
cacciatore s’era perso dentro un fitta foresta e, stanco,
sedette sopra una pietra che sporgeva sulle acque d’un
ampio e impetuoso torrente. Di lí si mise a scrutare nelle
buie profondità dei flutti e udí, d’improvviso, il
battere d’un picchio sulla scorza di un albero vicino. Il
cacciatore avvertì allora un gran peso nell’anima. «Sono
solo nella vita – pensò – come dentro questa foresta,
ed è da gran tempo che ho perduto il mio, tra i tanti
sentieri, e non ho vie d’uscita. Isolamento, fatica,
morte! Ma perché sono nato, perché sono entrato in questa
foresta? Che profitto trarrò da tutta la selvaggina che ho
cacciato?»
- In quel momento si sentí toccare
una spalla. Era una vecchina tutta curva, magra, segaligna,
del colore di un baccello secco o del gambale d’un vecchio
e sporco stivale, con gli occhi diffidenti; aveva sul mento
due ciuffi di peli bianchi; abbigliata con una veste di
valore, ma frusta e a brandelli.
- «Buon uomo – disse al
cacciatore – dall’altra riva si può andare in un luogo
che è un vero paradiso! Recandoti là potrai dimenticare
tutti i tuoi dispiaceri. Però da solo non potresti mai
trovarne la strada, mentre io ti ci porterei senza difficoltà;
io sono di là. Occorre solamente che tu mi porti
all’altra riva; io non saprei resistere all’impeto della
corrente; i miei piedi si muovono appena appena, quasi non
respiro piú e, morire? Oh, come non mi tenta affatto
l’idea!».
- Il cacciatore aveva buon cuore.
Non credeva affatto al paradiso cui aveva accennato la
vecchina; non aveva per niente voglia di affrontare quel
torrente gonfio e minaccioso, né era lusingato dall’idea
di caricarsi la vecchia; ma quando la sentí tossire e
tremare come una foglia pensò: “Non posso mica lasciare
qui senza soccorso una persona cosí malandata; costei avrà
certamente piú di cent’anni e avrà dovuto sopportarne
assai di miserie, nella sua esistenza; occorrerà che faccia
uno sforzo per aiutarla”. «Andiamo nonnina, raccogli bene
tutte le tue ossa, per non seminarle lungo il cammino e non
ritrovarle piú dentro l’acqua!».
- La vecchia gli si aggrappò allora
sulle spalle, e il cacciatore sentí all’istante gravargli
addosso un peso spaventoso, come se stesse portando sul
dorso una bara con un morto, tanto che poteva avanzare con
grande fatica. “Mah!, andiamo – pensò tra sé e sé. –
Sarebbe ormai vergognoso che mi tirassi indietro”.
- Entrò nell’acqua, e ai primi
passi avvertí che il suo fardello si alleggeriva di colpo e
che, per ciascun passo che faceva, il trasporto gli
diventava sempre piú agevole. Ebbe sentore di un prodigio
e, tuttavia, continuò ad avanzare guardando dritto davanti
a sé. Solo allorché era arrivato sulla riva opposta si girò
e, al posto della vecchia che gli stava addosso, gli si parò
davanti una fanciulla di indescrivibile bellezza.
- Costei lo condusse nella sua
patria, dove egli non soffrí mai piú di isolamento, e fece
attenzione a non nuocere mai piú neppure ad un animale, né
dovette cercare la sua strada nella foresta.
- Con numerose varianti, tutti
conoscono questo racconto; io lo conosco fin
dall’infanzia, ma soltanto oggi ho avvertito che esso ha
un senso tutt’altro che leggendario.
- L’uomo dei nostri tempi ha
perduto la strada maestra della vita per darsi a correre
dietro a beni fuggevoli e a fantasie che sfumano al volo.
Davanti a lui scorre il torrente limaccioso e impetuoso
della vita. Il tempo scandisce senza pietà, come un
picchio, il decorrere dei momenti perduti. Angustia e
isolamento, oscurità, morte.
- Ma dietro di lui stanno le sante
tradizioni del passato; oh! spesso vestite di poco attraente
apparenza; ma che importa? Che l’uomo pensi solo a quanto
egli deve al passato; che per un moto del cuore egli veneri
i capelli bianchi, che egli abbia pietà della debolezza,
che egli senta vergogna di deviarsene per il fatto che
appare in brutte sembianze. Che egli si sforzi di portare il
sacro fardello del passato sull’altra riva del torrente
della storia, invece di correr dietro a fantasie
evanescenti. È per lui l’unico mezzo di uscire
dall’errare, l’unico, perché ogni altro mezzo sarebbe
inadeguato, iniquo ed empio: non si può lasciare senza
soccorso una persona tanto vecchia.
- L’uomo dei nostri tempi non
crede ai racconti, non crede che le vegliarde possano
mutarsi in fanciulle; non lo crede, e tanto meglio! A che
pro credere ad una ricompensa futura, se occorre
guadagnarsela con un vero sforzo, con un atto di sacrificio?
Chi non crede nell’avvenire delle vecchie cose sacre, è
costretto tuttavia a ricordarsi del loro passato. Perché
non caricarsele sulle spalle per rispetto della loro
antichità, per pietà del loro decadimento, per timore
d’essere ingrati? Felici coloro che credono; essi sono
ancora su questa riva e già vedono lo splendore di una
perfetta bellezza sotto le rughe della vecchiaia. Ma anche
coloro che non credono nella metamorfosi, anch’essi hanno
un interesse: quello di una gioia inattesa. Per questi, come
per quelli, è medesimo il dovere: bisogna andare avanti
portando sulle spalle tutto il peso delle cose antiche.
- Uomo del nostro tempo! Se tu vuoi
essere uomo dell’avvenire, non dimenticare tra le rovine
fumanti tuo padre Anchise e gli dèi della tua famiglia.
Questi ebbero bisogno di un pio eroe per essere portati in
Italia, ma essi soli poterono donare a lui e alla sua
discendenza l’Italia, e con essa il dominio del mondo.
Orbene, le nostre cose sacre sono piú possenti di quelle
dei Troiani e, con esse, dobbiamo arrivare ben piú lontano
che in Italia, piú lontano che ai limiti della Terra. Il
salvatore si salverà. Questo è il mistero del progresso,
non ce n’è e non ce ne sarà un altro.