Botanima

Dopo il precedente ampio abbozzo di una indicazione di ricerca dell’operare dell’imaginare nell’ambito degli eventi del destino, cerchiamo di sintetizzare ora l’attitudine di fondo su cui questa capacità può essere sostanziata, su cui può crescere e fiorire. Questo imaginare, la qualità dell’imaginare, si può cominciare ad avvertire da uno stato di equilibrio dell’anima, di attenzione (a-tensione) vigile, di silenzio da presenza a sé tonica: si può quindi esercitare l’accesso a tale ambito.
Ecco una magnifica sintesi del percorso che si è abbozzato: «L’accordo del Pensiero con la Volontà è la base dell’equilibrio e della forza dell’anima. L’equilibrio e la forza dell’anima aprono il varco al suo potere sovrasensibile. È il potere in cui risorge come Vita il sentimento, il piú vasto e liberatore»(1).
L’ambito dell’imaginare fiorisce da un’attitudine di ascolto devoto, da un equilibrio attento e delicato, facilmente disturbabile. La calma è la virtú dei forti: ecco un bellissimo modo di dire che descrive l’attitudine cui si accenna. Il rafforzamento è operato da quello strumento prioritario che è il pensiero-volente o la volontà pensante; questo rafforzamento interiore porta l’anima a quella zona di calma quiete interiore, di a-tensione, capace di cogliere in imagini. Si osserva, si descrive, si sintetizza, si arricchisce, si coltiva, ci si dedica, si comincia ad amare quelle due piantine, come ogni altro ambito cui portiamo attenzione. Ci si tonifica portandosi in una zona di equilibrio interiore, da cui è possibile andare incontro al mondo cogliendo l’ambito piú reale, piú vero, piú positivo, e si riesce poi addirittura a non porre alcun giudizio appartenente al nostro finito passato, morto, e si resta completamente aperti e accoglienti senza alcun giudizio che venga prima.
Ed ora immaginiamo, per contrasto, per evidenziare un consueto declino nefasto, di compiere un brutto gesto, o di distruggere, sgraziatamente, un qualche cosa, o di recriminare verso qualcuno, o di disprezzare: in quel momento, in quell’atto, un delicatissimo organo che abbiamo cominciato a formare in noi va mortificandosi, deformandosi. Può addirittura essere avvertito il dolore che suscitano simili consueti atti: chiedetelo, magari, a quel vostro amico…
«Prima che la voce possa parlare dinanzi ai Maestri, deve aver perduto il potere di ferire» dice Mabel Collins.
La normale percezione è piú spessa, grossolana, rispetto alla delicata percezione del sottile.
Come non si è parlato dei colori, mondo vastissimo, si può solo accennare a quell’imaginare simbolico che è tipico del sognare, dove indicazioni importantissime possono essere suggerite su di sé in tale formazione di immagini. Si può accennare anche qui al fatto che quello che vediamo venirci incontro come una fiera, un mostro che ci aggredisce, in realtà è una forza che è in noi e che si inverte. È interessante osservare come si compia una inversione ogni qualvolta un ambito che provvisoriamente definiamo “spirituale” si trovi ad agire o venga percepito. Questo esercitare l’imaginare, dopo averlo colto, porta a cominciare a frequentare l’ambito del vivente, che è l’ambito verace e pertinente per approfondire e risolvere (solvere) l’annodato, il problematico, la “questione” (question = domanda) sociale, o scolastica, o meridionale, o interiore, cioè il raggrumato, il “coagulato”, in ogni suo aspetto fenomenologico. Comincia a delinearsi uno spostamento dall’anima razionale all’anima cosciente: vivente versus minerale, morto.
Nella meditazione, percorrendo e collegando immagini interiormente, senza parole, si impegna piú vivamente, piú volitivamente un’attenzione cosciente che non il descrivere “a parole”. Le parole interiori aiutano “dando appoggio”, tendono però a sclerotizzare il movimento interiore del puro imaginare.
Dovrà essere un intenso esercitare, un sincero entusiasmo insistito, uno schietto porsi alla fine delle proprie velleità mondane, al servizio del proprio senso del vero, affondato sulle proprie esclusive qualità, che ci porterà a scardinare l’accesso al sottile ambito della percezione interiore cosciente.
Diversi momenti sono propizi a questa percezione, oltre a quelli suscitati scientemente, come ad esempio il momento del passaggio dal sonno alla veglia, prima di alzarsi dal riposo notturno: se vi è un livello piú sottile della percezione dei contenuti interiori che avviene nel momento tra il sonno e la veglia questo è imputabile a uno staccarsi, allentarsi del legame tra soma e “corpo fluidico”: dove l’allentarsi ulteriore porta a liberare dal fisico il “corpo di vita”, entrando cosí nel primo reale Spirituale, che è dire nel reale Vero.
L’operazione che si tenta di compiere, in sostanza, è quella di scardinare l’elemento interiore di retorica, ipocrisia e formalismo immettendo, andando a cogliere, quell’elemento di Vita che è in noi e nel mondo e che si sostanzia di Verità. Quindi questo im(m)aginare ha il potere di cogliere il vivente e quello che lo denota come tale è la peculiarità di “esprimersi in verità”.
Dunque “senso del vero”, “sincerità con se stessi e il mondo”, che deve essere qualificata, resa tonica, schietta, sobria, gentile, cordiale, vigile, deve essere curata, accurata. Quello che noi realizziamo essere “vero” appartiene ad un moto intimo della coscienza che non si basa su alcuna dimostrazione esteriore: è un riconoscere senza mediazione (immediato) e non può che appartenere alla piú pura “sede mediana”, cardiaca, appartenente a un ri-cor-da-re, a un coraggio.
«Superare se stesso come forma riflessa, significa per il pensiero cessare di limitarsi a valere come significato delle cose: ritornare pura vita di sé. Questa pura vita del pensiero viene riconosciuta come il contenuto metafisico di cui viene fornito ciò che si riconosce come vero»(2). Il leggere, citando altri uomini, vuole fare rivivere l’opera d’arte che hanno composto in certe parole organizzate, ordinate, conformate insieme.
«Se nella corrente del pensiero l’interna Luce, la Luce non riflessa, è la Vita, e la Vita è il quantum di verità che l’uomo fornisce alle cose nella misura in cui le riconosce reali, si può comprendere il senso ultimo della Scienza: questo non è il “progresso” o la tecnologia. La Scienza è un mezzo, l’iniziale mezzo, con cui il pensiero tende a ritrovare la propria Luce di Vita: inconsciamente opponendosi a questa, come pensiero riflesso»(3).
«…Perché in un primo tempo non si tratta affatto di pensare questa o quella cosa, ma di pensare obiettivamente per virtú di forza interiore. Se ci si è educati all’oggettività con un processo fisico-sensibile facile da osservare, il pensare si abitua a voler essere obiettivo, anche quando non si sente piú dominato dal mondo fisico-sensibile e dalle sue leggi; si perde l’abitudine di lasciare errare i pensieri in modo non conforme alla realtà»(4).
Allato all’elemento dell’immagine, si rivela la questione della verità o della menzogna: entrambe sostanziate (immagine e verità) da un “potere di vita” che le caratterizza e che parte da dentro verso fuori e non l’inverso, non c’è verità che sia fuori, in un atto appartenente alla sfera della libertà.
La Verità non può mai determinarsi per quantità ma per qualità; la Verità non è determinabile “a maggioranza”: viene intuita, non sommata…
Il simbolo è evidentemente “non vero” in sé sul piano della conoscenza razionale, ma lascia che il suo stato naturale di non verità formale riveli ad una conoscenza “super-razionale” il suo portato di verità: invece nella notizia parziale, scambiata per totalità, si vuole affermare una verità che in realtà è altrove.
Ogni forma di comunicazione è “simbolica”: afferma, definisce sinteticamente una parte rimandando ad un’altra che “lí” non c’è: non può esserci: è la moneta spezzata in due pezzi… In latino symbolum, in greco symbolon “segno di riconoscimento” poi divenuto “simbolo”, derivando da symbállein “mettere (bállein) assieme (syn)”. Nella Grecia classica era un contrassegno di riconoscimento, di controllo, legato all’uso di spezzare in due parti una moneta o un oggetto per poi farle combaciare.
Come dice Goethe nel suo Faust: «Tutto l’effimero non è che un simbolo».
Quindi si può benissimo prendere un triangolo e sovrapporre ad esso un quadrato e vederci altro.
«Pensiamo alla natura umana completa: le quattro parti costitutive inferiori e le tre superiori; vediamole davanti alla nostra anima in modo da poterci dire che nel singolo essere umano vive una goccia divina e che, nella sua evoluzione verso il divino, egli è l’espressione della sua piú profonda e intima natura. …Ciò che riposa nascosto nell’anima umana e che aleggia come la grande mèta dell’umanità è il “Padre nel cielo”. Se l’uomo vuole evolversi a tanto, deve avere la forza di sviluppare le sue tre parti costitutive superiori e le quattro inferiori fino al punto che esse possano conservare giustamente il corpo fisico, che il corpo eterico o vitale possa vivere nell’uomo in modo che vi sia un pareggio con il debito che vive in lui, che il corpo astrale non cada in tentazione, che il corpo dell’Io si liberi dal male. L’uomo deve tendere verso l’alto, verso il Padre nei Cieli, con le sue tre parti costitutive superiori, attraverso il nome, il regno e la volontà. Il nome deve venir sentito in modo da essere santificato. …Come nel mondo la luce si manifesta in sette colori e il suono in sette note, cosí la settemplice vita umana che si eleva a Dio si esprime nei sette diversi sentimenti di elevazione che si riferiscono alla settemplice natura umana, nelle sette domande del Padre nostro»(5).

Maurizio Barut (5. continua)

(1) M. Scaligero, Tecniche della concentrazione interiore, Edizioni Mediterranee, Roma 1978, p. 23.
(2) M. Scaligero, La Tradizione Solare, Teseo, Roma 1971, p. 109.
(3) idem p. 111.
(4) R. Steiner, La Scienza Occulta nelle sue linee generali, Ed. Antroposofica, Milano 1969, p. 269.
(5) R. Steiner, Il Padre nostro, una considerazione esoterica, Ed. Antroposofica, Milano 1994, pp. 19, 22.