- Chi si è cimentato nella lettura
del testo che precede il presente articolo(1),
avrà colto e intuito quello che la sua anima gli ha reso
disponibile a cogliere. Nel leggere ci si può accorgere di
intuire e ripercorrere quello che lo scrittore ha intuito e
trascritto, e di poter poi anche andare oltre nel movimento,
a intuire ulteriori contenuti, originali, nuovi. Usando
quegli strumenti interiori che si è indicato allora, si è
quindi provato a portare la propria anima a una sua “piú
che desta e limpida presenza a sé e al mondo”, a una sua
“calda disponibilità accogliente” e la si è temprata
portandola alla sua “prontezza determinante”. Da un tale
assetto si ha allora la possibilità infine di cominciare a
distinguere un àmbito vivente da uno mortifero, si è
capaci finalmente di cominciare a sostanziarsi di verità.
Da tale assetto si avverte poi la ripercussione di un
qualsiasi atto che sia portatore di morte e di menzogna: una
sofferenza accentuata, una deformazione contorcente, è il
riverbero avvertibile.
- La Luce che un contenuto vivente
porta dalla sua sostanza di verità viene costantemente
uccisa nel momento in cui passa per la testa e si
dialettizza, diventando sapere, articolandosi in pensati.
Arte preziosa è quella di chi è in grado di suscitare
immagini atte a risvegliare, a riscaldare e approntare in
altri da sé la stessa Luce: che l’altro infine
riconoscerà, e riconoscendola sarà capace di rendere
vivente.
- Del testo che precede il presente,
ci è stato osservato che non è stato pronunciato un nome,
il Nome verso il quale converge tutto quanto è stato
intuito e immaginato, e da cui tutto parte. Nome che avremo
quindi l’ardire di pronunciare a breve, nel punto in cui
le considerazioni che andremo a comporre ce ne indicheranno
l’esatta necessità e pertinenza.
- Prima di tale momento di ri-conoscimento, volendo forzare l’enunciazione di tale
nome, articolando conoscenze solo intellettuali, portandosi
di fatto in elucubrazioni retoriche, è avvertibile la
mortificazione del contenuto vivo che si attua in quel
momento da parte di chi tale contenuto vivo ha visto
risplendere al pronunciare tale nome. È il nome che ognuno
ritrova nel silenzio trasformante della propria anima, che
desta, calda e pronta sia capace di portarsi senza
intenzione astratta al sacrificio, alla donazione, alla
rinuncia, al ringraziamento: alle qualità di Dei operanti.
- Ogni qualvolta l’uomo porti il
frutto di tali “atti degli Dei” e renda reale tale
frutto, egli realizza lo stato di Umanità che lo sostanzia
come Uomo, quale è. Ogni qualvolta questo frutto maturato,
questo suo “figlio”, fiorisce dalla sua libera
conquista, allora può osare nominare ciò “Figlio dell’Uomo”.
- Prima di questo, l’uomo è preda
di animalità, di psichismi, che egli non è, ma che lo
dominano. Inizialmente è possibile che si sia spinti da un
oscuro sentimento verso un percorso di ricerca conoscitiva
che indirizzi verso vari luoghi, interiori e/o esteriori, in
cui cercare soluzione a quella richiesta pressante e non
cosciente dell’anima. Illuminato che si abbia tale
impulso, che quindi dall’oscurità affiora e si porta alla
limpida coscienza, il movimento ulteriore che si è soliti
intraprendere è quello di strutturare, di disciplinare tale
impulso, fornendosi di strumenti interiori e di tecniche
atte a dare efficacia operativa a quel movimento di
autoconoscenza.
- A quel punto molteplici possono
essere i tentativi di enucleare un proprio metodo,
sintetizzati in atti trasformanti delle principiate buone
intenzioni di cambiamento interiore.
- Le persone piú operative che
frequentano queste pagine hanno già trovato un comune
metodo di formazione, che trae la sua principale
caratterizzazione in grandi uomini e Maestri quali Rudolf
Steiner e Massimo Scaligero. Intrapreso che si abbia un tale
metodo, in una fenomenologia che non può che essere
personale, in quanto non vi è uno schema prefissato e
rigido cui adeguarsi, è facile che subentrino, dopo i primi
entusiasmi, stupori, intuizioni o rafforzamenti interiori,
delle inevitabili delusioni, degli insuccessi, dei
fallimenti.
- Le difficoltà, ad esempio, che
troviamo nel cimentarci nell’esercizio della
concentrazione, quando i pensieri restano saltellanti,
divaganti, o che rimandiamo “per troppo stress”, oppure
la difficoltà nella precisione di esecuzione dell’atto
puro, sono sintomatici del livello, del tenore, dell’assetto
interiore in cui ci troviamo in quel momento: sono lo
specchio del nostro stile di vita, del modo cioè in cui
affrontiamo la nostra vita. La disciplina stessa che ci
siamo dati, ci rivela in quei momenti di difficoltà la
differenza per sottrazione rispetto a quello che realmente
siamo capaci di fare, di affrontare, e quello che avevamo
intenzione di fare. È proprio allora, però, che si può
cominciare a chiarire il reale stato di fatto della nostra
anima, questa volta realisticamente, oltre i semplici
propositi. Nelle difficoltà, si può tastare con mano di
che pasta siamo fatti, di quali carenze soffriamo veramente,
ma anche scoprire quello che abbiamo e che ci aiuta a
risolvere quel nodo problematico: cominciamo ad avvertire
una specie di sostanza qualitativa che ci appartiene e che
siamo abituati a chiamare “anima”.
- Un tale “avvertire anima”, un
tale “animadvertere”, che va attuandosi nel cimento che
un qualsiasi ostacolo ci provoca quando ci si presenta
davanti, è ritrovabile dalla coscienza desta, che vi si
approccia quale reale materia dell’opera. Con quel simbolo
poderoso, quell’atto drammatico o esaltante, quale può
essere un qualsiasi evento in cui ci troviamo coinvolti, ci
viene fornita l’occasione per osservare la nostra anima.
- Tutto ciò è possibile nella
misura in cui noi non semplicemente “soffriamo” o
patiamo (pathos) quanto ci accade in quel momento, ma
sappiamo “soffrirlo”, o patirlo, ponendoci né contro
tale evento (anti-pathos) con moti di antipatia verso quanto
ci sta accadendo, né a favore di tale evento (sim-pathos) e
cioè con simpatia verso di esso, bensì a favore di quello
che tale evento ci offre come occasione di conoscenza:
con-pathos, compassione è il moto pertinente, verso ogni
evento, antipatico o simpatico che ci sia.
- La sofferenza, il dolore, la
malattia, la morte, diventano aiuti nella misura in cui li
si affronti e non solo li si patisca. Andiamo quindi a
scrivere di Anima, non l’anima, poiché ad ogni nome
personale non si danno articoli a precedere, ed è giusto
dare anche la maiuscola a un àmbito di cui potremo presto
comprendere il reale valore. Andiamo a vedere questi flussi
di marea animica, questi stati fluttuanti in alto e basso,
che sembrano proprio oscillare ritmicamente come la marea.
Andiamo a osservare e quindi descrivere quell’ambito
virginale che ci permetterà di riuscire cosí finalmente a
pronunciare quel nome, per poterlo evocare, dove per
evocazione si intenda un portare a realtà, un realizzare.
- Ecco che ora è opportuno parlare
delle qualità, delle peculiarità di ogni singola persona,
le quali rivelano quell’Umanità di cui è “sostanzialmente
sostanziata”. Le “qualità dell’anima” – che
cerchiamo di sviluppare attraverso esercizi come quello
della “positività”, in cui vogliamo trovare la Luce che
splende in ognuno, sotto tutte le brutture e le deformazioni
che scorgiamo e alimentiamo quando non cerchiamo piú la
Luce – sono quelle che maturiamo quando, volendo i nostri
pensieri, giungiamo alla libertà che si accorda con la
dedizione amorosa, ottenuta quando portiamo a coscienza
pensante ogni nostro atto, germogliando in campi di
silenzio, e giungendo a far fiorire, quale conquista, una
saggezza che ci è propria, è nostra, è il nostro vero
frutto, il nostro vero figlio. Si potrà quindi affermare,
con Mimma Benvenuti, che porteremo «…a
maturare il Figlio dell’Uomo», parlando dell’imponenza
della mèta verso la quale ci conduce la potenza di quei
semplici esercizi fatidici.
- Ecco che solo quando questi
cimenti faranno maturare in noi una reale, profonda
devozione, potremo riconoscere il significato di una
saggezza che appartiene all’Uomo, di una “Sophia”
propria dell’Uomo, e chiameremo ciò Antroposophia,
perché potremo portarci a immaginare prima, e a realizzare
poi, una compiutezza dello stato umano.