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Non v’è indagine legittima del “tradizionale”, che non presupponga l’esperienza sovrasensibile, piuttosto che la somma delle conoscenze, cioè il sapere tradizionalistico. Questo sapere può essere un grosso inganno, se non è giustificato dalla reale percezione estracosciente, o supercosciente. È piú importante tale percezione che la problematica del valore tradizionale: questo, per essere autentico, presuppone appunto un percepire sottile, che è muovere nell’anima secondo il fondamento. Dal punto di vista della percezione sottile, è lecito parlare di zone dell’anima che nell’uomo moderno si sottraggono alla coscienza ordinaria, non in quanto esse obiettivamente esistano come un “estracosciente” codificabile da una coscienza che rimane quale è a livello dialettico, incapace di afferrare se stessa, bensí in quanto riferibili ad un Io che sperimenta: che è dire al reale soggetto umano. Esse sono sperimentabili nella misura in cui si possegga la dinamica del pensiero, epperò mediante questa si abbia di esse una percezione diretta, meglio che una deduzione in base a semplici nozioni o rappresentazioni spirituali.
Il pensiero è l’immediato veicolo dell’Io, l’immediato puro, ma come tale non conosciuto dall’uomo ordinario, che al massimo lo riconosce filosoficamente come mediazione. Sia Evola che Guénon non mancano di indicare come fondamentale per la ricerca interiore, la disciplina liberatrice, o trasformatrice (Evola), l’ascesi dell’intelletto puro (Guénon), in definitiva la concentrazione. Qualsiasi tipo di concentrazione è in sé un’operazione di pensiero. In tal senso la concentrazione è la chiave di ogni tecnica interiore, sia di tipo yoghico, sia vedantico, sia sufico. Il pensiero, quale viene quotidianamente sperimentato dal moderno uomo razionale, è il continuo sbrindellamento, ora deduttivo-induttivo ora istintivo-cerebrale, di una forza superiore, che è in sé una corrente sintesi di Luce e di Vita. Qui il pensare ha interno a sé il volere, il volere ha interno a sé il sentire. In una zona supercosciente, le tre facoltà dell’anima, pensare, sentire, volere, sono una sola splendente forza. Se, come tale, cioè con il suo originario potere di Luce di Vita, simile forza scendesse nell’organismo umano, lo distruggerebbe. Per incarnarsi, perciò, questa forza si scinde in tre correnti, delle quali una soltanto, il pensare, diviene cosciente: ma diviene cosciente a spese del suo riflettersi nell’organo cerebrale. Rinunciando al proprio elemento sottile di vita, il pensiero diviene smorto riflesso, ombra esanime, dotata di moto in cui non c’è piú anima, o luce interiore: è il moto dialettico, cosí caro ai moderni filosofi, materialisti o spiritualisti: il pensiero dell’impotenza. Le altre due correnti, il sentire e il volere, mantengono bensí il loro elemento di vita, ma a condizione di vincolarsi alla subconscia sfera somatica, cioè al corpo senziente e al corpo vitale, o eterico, cosí che la loro dynamis si àltera e ascende alla coscienza rispettivamente sotto forma di flusso emotivo e di flusso istintivo.
Normalmente l’uomo si trova in stato di sogno rispetto al vivo sentire e in stato di sonno profondo rispetto al vivo volere: è sveglio soltanto nel pensiero privo di vita. Questa privazione di vita rende il pensiero indipendente dalla sua corrente sintetica originaria, onde l’uomo è bensí libero nel pensiero, ma di una libertà astratta, retorica, priva di spirito. Il vuoto guscio di questa libertà normalmente si riempie di contenuto istintivo: per tale ragione l’uomo giustamente si ritiene libero, ma viene sostanzialmente manovrato dagli istinti. Non essendo cosciente dell’originaria forza sintetica, il pensiero non riesce a distinguere sé dal contenuto istintivo, cosí come non riesce a compiere una reale sintesi della molteplicità del mondo che gli viene incontro mediante le percezioni sensorie: non riesce se non a compiere astratte sintesi concettuali, non riesce a muovere se non secondo relazione dialettica. Lo sbrindellamento del pensiero viene appena sanato dalla logica astratta, cioè dal moto riflesso, o dialettico del pensiero. La reale forma-pensiero invero si scinde in una serie continua di rappresentazioni, il cui piccolo caos viene appena ordinato dal pensiero logico. Gli istinti e gli stati emotivi in realtà spadroneggiano nella coscienza, grazie a questa importanza del pensiero.
La concentrazione restaura, sia pure ogni volta per breve momento, il dominio dell’Io nell’anima, in quanto esige dal pensiero il movimento secondo il potere sintetico originario: ciò consegue mediante un tema non imposto dai bisogni o dai doveri quotidiani, ma voluto per sé, come mezzo per l’unificazione e l’intensificazione della corrente del pensiero normalmente dispersa. Mediante l’attenzione rivolta illimitatamente a un tema o ad un’immagine o a un concetto, che deve campeggiare esclusivamente nella coscienza, il pensiero ritrova la propria unità originaria, la forza dell’Io.
L’errore generale umano, cosí come l’errore di taluni che tendono a ritrovare la dimensione sovrasensibile, senza rendersi conto di muovere da una coscienza dialettica, consiste normalmente nel fatto che la presenza reale dell’Io nell’uomo non è diretta, ma continuamente riflessa dal corpo senziente, o psiche, rispondente a ciò che induisticamente viene chiamato kâma rûpa, e dall’esoterismo occidentale “corpo astrale”, cioè dal corpo animico vincolato alle categorie corporee. Nell’uomo comune, in effetto, all’impulso metafisico dell’Io continuamente si sostituisce l’impulso psichico del corpo astrale. Mediante il corpo astrale, la corporeità fisica, con le sue potenze istintive e le sue demoníe emotive, giunge a manovrare il pensiero. Una simile situazione caratterizza specificamente l’uomo moderno, il cui pensiero è caduto talmente nella cerebralità, da giungere persino a dubitare di una propria autonomia rispetto all’organo cerebrale, e di costruire dottrine e teorie fondate sulla persuasione di una priorità dei processi cerebrali sul pensiero: che è la condizione del mondo animale. L’animale infatti non pensa, ma opera mediante un “pensare” adialettico, la cui immediatezza muove dalla sua corporeità fisica, sorretta da forze della propria incorporea “anima di gruppo”.
La dimensione esclusivamente razionale degrada l’uomo al livello animale: la sua intelligenza infatti è mondialmente mobilitata a soddisfare bisogni fisici e ad attuare un ferreo sistema di organizzazione economico-sociale conforme alla visione fisico-animale del mondo. Se v’è un momento primordiale della evoluzione umana, in cui l’uomo originario come entità spirituale supera il caos, occorre dire che l’attuale imporsi dell’organizzazione fisico-animale della società è un ritorno del caos sotto forma tecnologico-scientifica. Nuovamente lo Spirito è chiamato a fronteggiare il caos, l’avvento sistematico del demoniaco. Il dramma del presente tempo consiste nel fatto che l’Io non dispone del potenziale di profondità di cui invece dispone il demoniaco.
La concentrazione dà modo al pensiero di estrinsecare la propria forza pura, indipendente dalla psiche. Il pensiero eccezionalmente si sottrae al dominio del corpo astrale, che di continuo lo assoggetta alla corporeità animale, cioè alla sfera delle potenze istintive. Tali potenze sono in realtà forze dell’Io, cioè forze del volere di profondità deviate verso la necessità strutturale corporea. L’Io le subisce come opposte e deviatrici, finché è un Io riflesso o dialettico, privo della propria indipendenza rispetto al corpo astrale e perciò del potere di presa su esso. L’esercizio della concentrazione, in realtà movendo dall’Io, comincia a restituire all’Io il dominio originario sul corpo astrale.
Il pensiero è l’arto immediato dell’Io. Dominando il pensiero attraverso il corpo astrale, le potenze corporeo-istintive s’impongono all’Io. Liberando il pensiero dalla soggezione al corpo astrale, l’Io riprende i comandi dell’anima e perciò del corpo, domina e trasforma le potenze corporeo-istintive. Queste sono in sostanza forze originarie smarrite dall’Io, che l’Io ha il compito di recuperare. Il recupero ha inizio mediante la retta concentrazione del pensiero: occorre dar modo al pensiero di manifestare la propria obiettiva forza indipendente dal corpo astrale e perciò capace di veicolare la pura potenza dell’Io nell’anima. Colui che aspira all’Iniziazione nel presente tempo, deve anzitutto sperimentare il pensiero come forza pura indipendente dall’oggetto o dal tema mediante cui si manifesta, epperò come attività estra-psichica.
Il senso dell’esperienza è l’autonomia della coscienza dell’Io rispetto alla propria base corporea: autonomia che le consente la prima forma di conoscenza non dialettica, bensí diretta, del Sovrasensibile, e perciò della reale fenomenologia della coscienza in rapporto alla funzionale “localizzazione” corporea dei tipici movimenti dell’anima. Si comincia in tal modo a constatare come l’attività si svolga mediante il supporto cerebrale: la coscienza razionale si manifesta nel capo, basalmente stimolata dal percepire sensorio. La vita dei sentimenti invece ha come sede il torace: suo supporto è la forza che si esplica nei ritmi del respiro e della circolazione sanguigna. Il potere della volontà ha come veicolo i dinamismi metabolici del sistema del ricambio e del movimento degli arti. Allo stesso modo che i tre sistemi, neuro-sensorio, ritmico, metabolico, s’interpenetrano nell’organismo fisico, avendo tuttavia ciascuno una funzione predominante nella propria sede, cosí le tre funzioni, pensare, sentire, volere, operano in continua combinazione o collusione, secondo una mutevolezza che supera quella funzionale dei corrispettivi processi corporei.
L’uomo è in realtà un essere tripartito. La vecchia psicologia razionale aveva intuito tale trinità della vita dell’anima, ma non la sua rispondenza alle tre sedi corporee, che è un portato della Scienza dello Spirito occidentale. Le tre sedi, differenziate anche nelle loro strutture fisiche, mentre rispondono ai tre accennati tipi di attività della coscienza, simultaneamente risultano in relazione dinamica con i quattro sistemi della organizzazione corporea: osseo, ghiandolare, nervoso, sanguigno. Diciamo “relazione dinamica”, in quanto la tripartizione in sede della testa, del torace e del ricambio e membra, rispondente alla treità pensare, sentire e volere, si attua mediante lo stesso principio di sintesi psicosomatica che governa i quattro sistemi corporei simultaneamente presenti e cooperanti in ciascuna delle tre sedi.
Un ordine settenario governa metafisicamente i “quattro” e i “tre”. Si tratta di una sintonia basale, non meccanica, in quanto ciascuno di tali sistemi, guardato in sé, può essere riconosciuto operante secondo un tipo di forza che gli corrisponde dinamicamente: all’elemento minerale-osseo rispondono le forze radicali della struttura fisica, donanti segno di sé nella percezione sensoria: il sistema ghiandolare può essere riconosciuto veicolo delle forze vitali, o eteriche, formatrici dell’organismo; il sistema nervoso supporto delle attività senzienti-psichiche (astrali); il sistema sanguigno portatore del principio Io, che si esplica come autocoscienza nel sistema della testa, mediante, un particolare rapporto con l’organo cerebrale.
L’uomo moderno, con la sua ossessione materialistica, sta intaccando con forze di caos l’ordine settenario: perciò la nevrosi e la malattia mentale stanno diventando il male generale umano. Infatti, i quattro princípi interiori, Io, astrale, eterico, fisico, sono presenti in simultaneo e interdipendente movimento in ogni esplicazione delle tre attività dell’anima, pensare, sentire, volere, mentre organicamente sono le forze originarie compenetranti le rispettive sedi di quelle: superiore, mediana, inferiore, rispondenti appunto ai tre sistemi, della testa, del torace, del ricambio e arti. L’equilibrio della vita dell’anima si può ravvisare come attuazione dell’ordine gerarchico che connette il principio dell’Io, l’astrale, l’eterico, il fisico, attraverso l’armonico rapporto pensare-sentire-volere. Il principio Io in sé opera come centro originario delle forze. Ove tale principio venga contraddetto, il caos comincia a regnare nella struttura umana.
All’indagine della Scienza dello Spirito, la vita dell’anima risulta legata non soltanto al sistema nervoso, ma anche ad altri sistemi, con rapporti differenziati, che la coscienza ordinaria non registra, ma di cui ha di continuo le manifestazioni: alle cui cause può risalire non con il ripercorrere intuitivamente il processo, ché un simile ripercorrere non può superare il limite della natura vitale-animale, ma con il trovare in sé il principio indipendente dalla manifestazione. Al sistema nervoso può essere ascritta unicamente l’attività pensante e neuro-sensoria: perciò il pensiero è l’unica attività della coscienza capace di risalire il proprio processo pre-cerebrale. Il sentire e il volere rimandano non ad organi, ma a supporti in movimento, come il ritmo sanguigno-respiratorio e l’attività del ricambio, che non offrono all’Io, come il sistema nervoso, una base per la coscienza di veglia. Il sentire e il volere, infatti, pur essendo attività di cui talune manifestazioni sono percepibili sensibilmente, si svolgono su piani che per la coscienza di veglia rispondono rispettivamente allo stato di sogno e di sonno profondo. Quella che normalmente si attua come coscienza di veglia, sorge nella sede in cui si produce il pensiero: è essenzialmente coscienza pensante, anche quando si muove per contenuti emotivi o istintivi. Dei moti del sentire e del volere, tale coscienza non ha percezione diretta, come può averla del pensiero. Il sentire e il volere, svolgendosi mediante altri supporti, possono venir avvertiti mediante il sistema nervoso, che non è il loro veicolo, bensí il veicolo mediante cui giungono a coscienza. Dal fatto che i moti istintivo-volitivi ed emotivo-senzienti si ripercuotono nel sistema nervoso sino alla zona cerebrale, i moderni psicofisiologi automaticamente deducono che la vita dei sentimenti, degli istinti e degli impulsi volitivi si svolge mediante tale sistema. In realtà le manifestazioni del sentire e del volere, pur giungendo a farsi percepire mediante l’attività dei nervi, non si compiono mediante questa. L’indagine scientifico-spirituale attesta che un’evoluta o autonoma vita della coscienza, può dar modo all’uomo di percepire sentimenti, o stati d’animo, o impulsi, prima del loro entrare nella rete nervosa, ossia grazie a un preventivo incontro interiore con essi, onde accolga il loro obiettivo contenuto, facendo valere tempestivamente una discriminazione, un consenso, o un rifiuto. A ciò, tuttavia, è necessaria una specifica ascesi del pensare e del percepire, di cui è preparatrice appunto la concentrazione.
In realtà, i processi del sentire e del volere si svolgono mediante supporti corporei con i quali la coscienza ordinaria non ha connessione diretta. Ma neppure dove ha tale connessione con il proprio legittimo supporto nervoso, la coscienza è in grado di percepirla, se a ciò non educa se stessa mediante adeguata disciplina. La connessione esiste su un piano che sfugge all’ordinaria coscienza razionale, incapace di sperimentare se stessa indipendentemente dal supporto. La coscienza può, grazie a un atto interiore diretto, giungere all’origine dell’attività pensante e avere contezza di cooperare al sorgere del pensiero: questo procedimento, verificandosi grazie a una sua indipendenza, sia pure temporanea, dal sistema nervoso, le dà modo di attuare un distacco e un controllo obiettivo riguardo ai contenuti emotivi ed istintivi, i quali normalmente si dànno come sensazioni in sé compiute, avendo già coinvolto l’Io, avendo cioè già uno svolgimento fisio-psichico prima di venir percepiti, onde si presentano con un carattere di necessità e di obbligatorietà, che costituisce il reale problema della esperienza interiore.
Da quanto si è osservato, è intuibile la priorità della disciplina del pensiero ai fini di una liberazione delle facoltà animiche e di una elevazione della coscienza alla percezione di ciò che di primordiale unisce l’umano e il cosmico. La Tradizione non può essere afferrata dal pensiero dialettico: nella sua corrente metafisica può cominciare a muovere soltanto il pensiero liberato. Ma il pensiero non si libera mediante metodi propri a un tipo antico di ascesi, cui era estraneo l’impedimento del pensiero razionale-dialettico e che perciò non necessitava di conversione del pensiero dialettico. Tale conversione è indispensabile al cercatore moderno che inizialmente non dispone di altra possibilità di contatto con la Scienza del Sacro, se non quella dell’intelletto razionale, e perciò dialettico, anche quando dietro a tale intelletto urge un’anima metafisicamente qualificata, cioè già consonante con l’impulso superiore dell’Io.
Soprattutto nel caso di effettiva qualificazione interiore, è necessaria la disciplina che eviti il guasto delle forze superiori per via del pensiero riflesso. In realtà, sul piano della ordinaria coscienza traente il senso di sé dai supporti corporei, le forze sovrasensibili, rispetto alle quali tale coscienza è immersa in stato di sonno e di sogno, subiscono un rovesciamento, o un riflesso, che soltanto la interiorità di veglia può affrontare e gradualmente ripercorrere, nella misura in cui, malgrado il limite proprio alla condizione dialettica, muova secondo la direzione superiore dell’Io. Vere discipline del pensiero sono quelle che dànno modo al pensiero di operare, al livello razionale-dialettico, secondo la direzione metafisica dell’Io.
Massimo Scaligero
Da Vie della Tradizione, anno V – Vol. V, N. 17, gennaio-marzo 1975.