- Sul finire degli anni
Sessanta, il Governo indiano, presieduto da Indira
Gandhi, votò una serie di provvedimenti legislativi
volti a liberalizzare l’economia e l’imprenditoria
industriale e commerciale. In particolare le nuove
norme riguardarono il trasporto ferroviario e quello
delle autolinee in concessione, i servizi piú
utilizzati dalla popolazione viaggiante. Una delle
tratte interessate dalla normativa era il percorso
stradale da Bombay a Poona, servito da autobus in
gestione a una società parastatale. Appena entrata
in vigore la legge liberalizzatrice, ci furono
diverse richieste da parte di aziende e cooperative
che intendevano offrire ai viaggiatori servizi
alternativi sullo stesso itinerario. Ne furono
approvate due, in concorrenza con la società che
già operava il collegamento. All’epoca il
biglietto costava 60 rupie, l’equivalente di circa
3 euro. All’inizio tutto sembrò procedere nel
migliore dei modi. I viaggiatori si servivano anche
delle nuove compagnie, ma per lo piú preferivano
tenersi a quella tradizionale. Finché una delle due
autorizzate di fresco decise di passare a una prassi
concorrenziale piú aggressiva, e abbassò il costo
del biglietto a 55 rupie. Fu il segnale per lo
scatenamento di una guerra tariffaria del tutto
inedita. La terza compagnia, una delle due
sopravvenute nell’esercizio della linea, si decise
a offrire il passaggio sui suoi autobus a 50 rupie.
La società originaria, la decana del collegamento,
per un certo tempo, vuoi per dignità di ruolo vuoi
per etica professionale, tenne duro, mantenendo il
costo del biglietto a 60 rupie. Quando però si
accorse che, nonostante la serietà e la puntualità
di cui si fregiavano i suoi mezzi e servizi, la
clientela sciamava sempre piú numerosa e convinta
verso le altre due concorrenti, si decise a
ritoccare il prezzo della corsa, scendendo a ben 40
rupie. Si pensò a un sotterraneo sussidio statale,
ma tant’era, e occorreva stare al gioco
competitivo, e cosí, tira e molla, cala e ribassa,
si toccò la soglia oltre la quale minacciosa
occhieggiava la gestione in perdita. Ma ormai le tre
aziende di trasporto erano preda di una specie di
libidine autoriduttiva, anzi autodistruttiva. Pur di
battere le concorrenti, calarono la tariffa a un
costo nominale proforma di 5 rupie. A quel punto,
rimaneva soltanto il trasporto a costo zero,
ovverosia operare in regime di tipo assistenziale e
caritatevole: biglietto gratis per tutti. Seguí un
periodo di autentica pacchia per i viaggiatori. C’era
chi si imbarcava apposta su quelle corriere per il
solo godimento di essere partecipe di una follia in
atto, per vedere insomma quale delle tre società
avrebbe mollato prima, o se non gettassero la spugna
tutte e tre, chiudendo i battenti.
- Ma poiché la follia umana
è un pozzo senza fondo, la compagnia prima titolare
della concessione ebbe un guizzo d’ingegno, dovuto
senza dubbio alla disperazione: non solo trasportava
i passeggeri da Bombay a Poona assolutamente gratis,
ma durante il tragitto i bus facevano un paio di
soste, durante le quali ai clienti veniva offerto il
tè con biscotti, chapati e samosa, le locali
frittelle piccanti e le bruschette all’anice.
Essendo la situazione pervenuta al grottesco,
intervennero le autorità, fissando il costo del
biglietto per tutte e tre le compagnie a 35 rupie,
senza obbligo di bevande e leccornie varie.
- Il perverso meccanismo
competitivo che aveva portato le tre aziende di
trasporto – ma sarebbero potute essere alimentari
o tessili – a rischiare di eliminarsi
vicendevolmente, era scoperto, messo in atto alla
luce del sole, e non si poneva altri fini se non
quello di farsi valere a un livello per cosí dire
idealistico, e non utilitaristico nei confronti dei
competitori avversi. Nessuna tattica speculativa o
di cartello. Si trattava in definitiva di una gara
all’insegna del mors tua vita mea, comprensibile
pur se condannabile.
- Era forse l’ultimo
sprazzo di un capitalismo ottocentesco e romantico,
con una buona dose di fair play, una manciata di
ostinazione, un beau geste di sapore masochistico,
un biblico “muoia Sansone con tutti i Filistei”.
All’unico scopo di ingraziarsi il cliente
viaggiatore, oggetto di tanta pantomima competitiva.
- Mutano i tempi, cambiano
stili e metodi delle liturgie concorrenziali. Quella
che alla fine degli anni Sessanta risultava essere
una estemporanea baruffa tra modesti operatori
economici, si sta ripetendo oggi in Europa e nel
mondo. Ben altre però sono le proporzioni della
contesa, e di piú grosso calibro i figuranti, non
piú estratti dal colorito universo delle autolinee
locali indiane, bensí operanti nello scenario piú
vasto e ponderoso delle compagnie di navigazione
aerea, i cosiddetti vettori, che a partire dagli
anni Cinquanta hanno contribuito ad animare il
rutilante palcoscenico del jet set. Per la verità,
non se la passano ormai piú tanto bene questi
giganti del trasporto per le vie del cielo. Li
insidiano le compagnie low cost, capaci di
trasportare un passeggero da Roma a Londra o verso
le maggiori capitali europee a tariffe che variano
da 1 euro a un massimo di 30-40. Vero è che a bordo
non servono biscotti e frittelle, e neanche i bei
vassoi ricchi e saporosi dei viaggi aerei d’antan.
Ma che importa? A chiunque fa piacere visitare
Parigi, Madrid, Francoforte, Berlino, Amsterdam,
Copenhagen o Glasgow al prezzo di un giro turistico
sui pullman dei sightseeing in una qualunque città
italiana.
- Uno tra i piú agguerriti
vettori low cost è senza dubbio la Ryanair, dell’enigmatico
tycoon irlandese Anthony Ryan, anche per questo
definito “l’irlandese volante”. Come fa questo
geniaccio delle tariffe a trasportare su un normale
aereo un passeggero da Roma a Londra, ad esempio, al
costo di 1 euro o al massimo di 25 nei periodi di
alta stagione? Con tali cifre non ci si compra
nemmeno un litro di cherosene, senza parlare delle
diarie e degli stipendi di piloti, hostess e steward
di cui un volo, anche il piú spartano, non può
fare a meno.

- Come riesca Anthony Ryan
ad essere uno dei piú solidi imprenditori europei,
con una flotta di velivoli in continua espansione,
resta un mistero. C’è chi insinua che Tony abbia
una specie di pallino per i cavalli, sui quali punta
e vince a man bassa. Ma non si può certo fondare
una durevole e affidabile sorte imprenditoriale su
un criterium di galoppo ad Ascot!
- E il contagio low cost si
propaga. Ora tocca alle ferrovie dello Stato
italiane: 9 euro da Roma a Milano. Arriveranno anche
loro ad offrire spumante e panettone, emulando le
gesta delle autolinee indiane?
- Per dovere di cronaca, va
detto che il fenomeno low cost non è nuovo. Una
simile operazione fu condotta negli anni Settanta ed
ebbe come protagonista un inglese, tale Freddie
Laker. Per un certo periodo, la modesta Laker
Airways diede qualche motivo di apprensione alle
grandi compagnie europee e americane, che
continuarono però ad operare a prezzi normali, solo
introducendo particolari tariffe di escursione su
base settimanale e mensile. In piú, apportarono
minimi ritocchi alle spese di gestione: l’Alitalia,
ad esempio, ridusse da sei a tre le olive che
venivano servite con gli antipasti, l’Air France
fece confezionare in serie le divise per il
personale viaggiante, disdicendo il contratto con
Pierre Cardin. Altri espedienti di minima portata
vennero escogitati da diversi importanti vettori,
per bilanciare il leggero calo delle frequenze sui
loro voli, causato dall’intraprendenza di Laker.
Ma si trattava per lo piú di atti dimostrativi e
non di sostanziali provvedimenti amministrativi. Per
cui il numero delle linee operate e i servizi
offerti alla clientela non ne risentirono.
- Piú serio appare invece l’attacco
portato da Ryanair e dalle compagnie similari,
Globespan, Jet2, EasyJet ecc., ai grandi vettori
europei e americani. E non vale neppure giustificare
la loro invadenza con la motivazione, a suo tempo
addotta per Laker, che queste compagnie non
sarebbero altro che scappatoie inventate dagli
operatori ufficiali per utilizzare, mediante un
prestanome su base leasing, gli aerei obsoleti che
altrimenti resterebbero parcheggiati negli hangar.
Al contrario oggi il colpo accusato dalle linee
aeree, specie da quelle nazionali, è grave. E
altrettanto drammatiche sono le soluzioni ipotizzate
per sanarne gli effetti. Non basteranno certo tre
olive e le divise fatte in serie per colmare i
deficit astronomici denunciati dagli organi
amministrativi. Questi piangono ora sul latte
versato, dimenticando che furono proprio loro, con
una certa disinvoltura, a favorire la
pletorizzazione di servizi e personale, nonché a
consentire ai manager di autoassegnarsi emolumenti
faraonici. Per il famigerato principio della coperta
troppo corta, si ebbe il contemporaneo calo degli
utili. Ben vengano dunque, direbbe l’osservatore
superficiale, questi castigamatti dei vettori low
cost a smascherare le cattive e spensierate
gestioni, a indicare modelli di sana ed efficiente
operatività imprenditoriale. Ma avendo accertato
che le compagnie low cost non potrebbero
ragionevolmente volare alle tariffe stracciatissime
che praticano, e visto che nessuno interviene per
arginarne gli effetti sulle compagnie cosiddette “di
interesse pubblico” (vedi “Volare”) qual è il
vero ruolo che le low cost ricoprono? Che si voglia,
con comportamenti spregiudicati, provocare la
giubilazione delle attuali dirigenze delle aziende
nazionali, per sostituirle con delle nuove asservite
a gruppi economici o condizionate da altre politiche
finanziarie, soggette a un ordine sovranazionale
obbediente all’unica inarrestabile strategia di
subordinazione globale? Questa impressione viene
avvalorata anche da altri segnali, come l’introduzione
ormai prossima del mastodontico Airbus 380, capace
di trasportare 800 persone. Ogni velivolo costa 200
milioni di dollari, e a dispetto di tale cifra
astronomica ne sono già stati opzionati 1.400
esemplari da 14 delle grandi compagnie attualmente
in servizio. Come si concilia tanta disponibilità
con le lamentazioni dei deficit, e con quali criteri
è lecito giudicare una situazione del genere con
tutte le contraddizioni che essa presenta?
- A cercare di sondare i
meccanismi dell’alta finanza mondiale, si rischia
di finire nella fossa dei serpenti. Neppure gli
esperti ci riescono. Si può fare in alternativa
come gli utenti delle tre autolinee da Bombay a
Poona: approfittare cioè della follia regnante nell’attuale
situazione di anarchia tariffaria (brutta copia del
liberismo da tutti predicato) e viaggiare quasi
gratis sulle rotte piú prestigiose del mondo. Segno
che l’idra multicefala del capitalismo onnivoro ha
perduto il senno e ha tirato fuori dalla caverna i
suoi gelosi tesori, per farne munifico dono a chi
fino a ieri poteva soltanto permettersi qualche gita
fuori porta o un pellegrinaggio con i gruppi di
preghiera, oppure prendere parte a quei tediosi
showtrip durante i quali, per i pochi vantaggi
offerti, i partecipanti dovevano assistere alle
dimostrazioni di pentolame vario, e magari essere
pure costretti a comprarne uno o piú esemplari.
- Sí, potremmo approfittare
di questa demenza che ha colpito il mondo dei
trasporti e non solo. Ne saremmo autorizzati. Il
fatto è che questa liberalità, al limite della
licenza, nasconde un profondo malessere di cui
soffre ultimamente il sistema economico
internazionale. Il delirio che aveva colpito le tre
compagnie di autobus indiane, riguardava un fenomeno
circoscritto e che venne per questo facilmente
arginato e corretto. Il che non si può dire dello
stato della vigente economia di mercato. Ogni
fallimento, o il semplice ridimensionamento,
comporta guasti su larga scala: licenziamenti,
turnover, trasferimenti coatti in reparti esterni o
assegnazioni fuori sede. La nostra soddisfazione,
quindi, di poter viaggiare low cost, comporterebbe
un high cost per migliaia di individui e famiglie,
originando appunto quel malessere che sta oggi
turbando la vita sociale e imprenditoriale. E ciò
un po’ ovunque nel mondo, dato che ormai la
globalizzazione, piú che elargire profitti e
benefíci, sta propagando enormi disagi e rotture di
antichi consolidati equilibri.
- Sembra inoltre che il low
cost, lasciato il campo del trasporto aereo, stia
oggi diventando una vera e propria dottrina sociale.
E piú che indicare il basso costo di una merce o di
un servizio, esso finisca per fissare la qualità di
ciò che il nostro denaro può comprare. Sta
diventando cioè la filosofia etica della nostra
società globale: basso profilo qualitativo dell’assistenza
sanitaria, dell’educazione, del lavoro, del
diritto alla pensione, alla cultura e alla
conoscenza scientifica e tecnologica. Non era
esattamente questo che si prefiggeva il socialismo
umanitario, che intendeva sí livellare gli
individui, ma tutti in alto, piuttosto che
equipararli in basso come prevedeva il collettivismo
marxista.
- In obbedienza a tale nuova
prassi, noi europei in particolare stiamo rischiando
la liquidazione di un modello sociale entrato a far
parte delle istituzioni pubbliche dei vari Paesi del
Vecchio Continente, dopo lotte e sacrifici
individuali e collettivi da duecento anni a questa
parte. Proprio perché derivato nei princípi
ispirativi dalle radici cristiane della nostra
civiltà, quel modello è inviso a chi cristiano non
è, e antepone il lucro alla solidarietà. La
privatizzazione delle organizzazioni assistenziali
pubbliche, preposte a garantire quel tipo di
solidarietà a tutte le categorie sociali, è il
grimaldello che sta forzando i gangli del modello
europeo per scardinarlo. E come sta ormai avvenendo
in ogni campo, finiremo con l’adottare il modello
americano, egoico e utilitaristico. Negli USA i
diritti del cittadino, a parte la difesa, la
sicurezza e la polizia, vengono tutelati dalla
polizza di assicurazione e non dalla sollecitudine
dello Stato. Poche chance quindi per gli indigenti,
i deboli e tutti coloro che qui da noi vengono
eufemisticamente definiti “sfortunati”. Si va
formando una nazione clandestina, un popolo ombra il
cui numero è in continuo aumento.
- Ad illuminare questo
scenario a dir poco incerto, se non inquietante,
può valere la riflessione che le degenerazioni del
capitalismo bulimico e della globalizzazione
selvaggia, con le dissennate privatizzazioni a
tappeto, siano i colpi di coda del mostro incarnato
dal sistema economico internazionale, giunto ormai
alla saturazione di idee, strategie e metodi. Si
cercano perciò strade e finalità nuove, inediti
valori da mettere in gioco: soprattutto nei tempi
brevi, sia nel pubblico sia nel privato, lasciare
mano
libera a individui mossi da evangelica
moralità, con una visione cristianamente
altruistica delle problematiche umane. La loro
azione, temperata su tali registri etici e ideali,
potrebbe già di per sé risolvere situazioni
economiche e sociali che appaiono ora
insormontabili, in attesa che le società mondiali
adottino la Tripartizione, cosí come Rudolf Steiner
l’aveva prefigurata. A quell’epoca, nella
temperie delle rivolte sociali di inizio Novecento,
il messaggio era diretto ai Governi, alle
istituzioni, essendo gli individui ancora impegnati
a lottare per l’acquisizione dei diritti primari.
Oggi quel messaggio è per l’uomo nella sua
individualità animico-spirituale. Allorquando l’essenza
di una tale illuminata proposizione lo avrà
interiormente permeato, trasformandolo da ego in Io
risvegliato, allora sí potrà volare alto, molto in
alto, e a costo zero.