- È un fatto curioso che oggi
venga chiamato pessimista chi dimostra un certo disprezzo
per le cose di questo mondo e osa riproporre quelle
speranze straordinarie sul destino umano che salvarono i
primi cristiani quando, da un punto di vista terreno, il
loro Maestro li aveva lasciati e la loro causa sembrava
perduta.
- Quale assurda deformazione del
linguaggio! Mi chiedo come si possa considerare pessimismo
il porre in dubbio le soddisfazioni passeggere che si
ottengono nella nostra esistenza mortale, contrapponendovi
quelle durevoli offerteci dai Vangeli e dalle Epistole. Mi
domando se mai nella storia di tutte le civiltà sia stata
introdotta una concezione piú follemente ottimistica di
quella cristiana, secondo la quale voi ed io, creature
fragili e mortali, possiamo persino aspirare, con la
grazia di Dio e l’aiuto di Cristo, a rinascere nella
«gloriosa libertà dei figli di Dio», per ripetere le
parole di san Paolo. O se ce ne fu mai una piú
abissalmente pessimistica di quella moderna secondo la
quale noi, che possiamo giungere con il nostro intelletto
e le nostre aspirazioni sino alle stelle e oltre, dovremmo
vivere come se la nostra breve permanenza in questo mondo
esaudisse tutte le nostre speranze e i nostri desideri.
- Come è possibile che la donna
di Samaria, dopo il suo incontro con Cristo – cosí
finemente narrato da san Giovanni – non ricordasse, ogni
volta che attingeva acqua al pozzo di Giacobbe, quell’altra
acqua viva, di cui le aveva parlato; quell’acqua che,
una volta bevuta, lascia per sempre dissetati, una fonte
dentro ognuno di noi, che zampilla senza fine? Allo stesso
modo, colui che ha intravisto, anche solo di sfuggita,
quello che re Lear chiama “il mistero delle cose”,
quella “vita dell’anima” alla quale allude Isaia,
come può ancora prendere in seria considerazione gli
scopi puramente mondani, cioè la fama, la soddisfazione
sensuale e il denaro, anche se le riviste a rotocalco e
tutte le varie espressioni di questo terribile
Frankenstein che sono i moderni mass-media tentano
incessantemente di persuaderci che soltanto questi scopi
rendono la vita meritevole di essere vissuta?