Scienze

Risulta difficile non amareggiarsi di fronte alla povertà di pensiero che, pur tenendo conto del destino individuale e collettivo a cui l’uomo è sottoposto, viene espressa da frasi di questo tipo: è un enzima a decidere quanto lunga sarà la nostra vita.
Preso atto di ciò, credo sia giusto che i nostri legislatori si diano subito da fare per riconoscere e regolamentare i diritti di un enzima, a cui la scienza ricono­sce la capacità di intendere e di volere. A questo punto è lecito affermare che l’enzima ha piú diritti di un embrione!
Immagino la gioia di tanti di noi quando verrà individuato il gene che decide l’innamoramento, ogni sofferenza generata da una storia d’amore finita male potrà essere curata inibendo l’azione di un filamento di DNA. Ancor meglio, si potranno fare delle cure preventive; la prevenzione è diventata di moda sia nelle guerre che nella malattia.
Ogni volta che sento parlare di vivere 150 anni mi viene in mente quella splen­dida pubblicità di Woody Allen, nella quale il protagonista si rammaricava con il proprio psicanalista che l’allungamento della vita gli avrebbe allungato oltre misura anche i problemi quotidiani. L’acume di Allen si è evidenziato con sorprendente lucidità e lungimiranza all’interno del contesto piú effimero che conosciamo, cioè la pubblicità, ponendo una domanda precisa: la nostra società cosí disumanizzante è pronta a questa ipotesi di meraviglioso allungamento della vita?
Siamo di fronte al rischio di un fallimento globale, gli anziani devono arrabattarsi a sopravvivere con pensioni indignanti, a 35 anni si è fuori dal mercato del lavoro, la soglia di povertà nel mondo continua ad abbassarsi: a che cosa dunque mi serve arrivare a 150 anni? Forse è meglio vivere di meno ma vivere bene.
Bisognerà chiedere ad un cinese se ha idea di quante ore in piú dovrà lavorare o ad un povero affamato del Terzo Mondo se gli faccia piacere allungare la sua fame di altri 70 anni.
Alla fine si dovrà pensare seriamente ad una moderna selezione della specie.
L’assunto kantiano secondo il quale l’uomo è incapace di indagare oltre la materia, ha influenzato in maniera endemica l’umanità, dando linfa vitale al materialismo esasperante dei nostri tempi.
La scienza è diventata dogmatica, sostituendosi sistematicamente alla religione ma instaurandosi nelle vite di ognuno di noi, governando di fatto il mondo sia sul piano economico sia sociale sia su quello del pensiero.
La scienza impone il suo percorso, ormai governata dalle multinazionali, dissociata dalle reali ed impellenti necessità quotidiane dell’uomo, e non dà risposte ai temi fondamentali che ci assillano.
D’altronde, l’imperante unilateralità che annichilisce l’individualità in una sorta di nuovo collettivismo del pensiero, lascia adito a credere che probabilmente, come nei film di Romero, ci sia una forza che vuole creare una società di zombi.
Oramai il tentativo di controllare fin da subito eventuali “deviazioni” dal percorso comune è palese. La naturale tendenza del bambino ad esprimersi individualmente attraverso atteggiamenti ribelli, è considerata una patologia da “curare” con gli psicofarmaci.
Quanto sopra rafforza le parole del filosofo italiano Emanuele Severino, quando nel suo saggio sulla filosofia antica sottolinea, con assoluta chiarezza, come la scienza moderna, figlia legittima della filosofia che si poneva lo scopo di conoscere la verità incontrovertibile del mondo, si sia discostata progressivamente da ciò, ponendosi come conoscenza ipotetica provvisoriamente confermata dall’esperienza, fino a divenire strumento asservito al mercato ed a fini meramente utilitaristici.
Il dimenticato Nikola Tesla, genio volutamente incompreso, aveva affermato che la scienza non è altro che una perversione se non ha come fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità.
La ricerca scientifica deve recuperare il suo senso primigenio, la sua purezza d’indagine atta a comprendere le costanti universali che sorreggono il mondo, senza l’intento manipolatore falsificante; lasciare che le cose parlino da sé, come affermava Eraclito. Deve aiutare l’uomo a superare le difficoltà materiali che ottenebrano il pensiero, per offrirgli l’opportunità di elevarsi interiormente e spiritualmente, allo scopo di riprendere le fondamentali domande che gli competono: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo; la nostra discendenza dalle scimmie non mi sembra la risposta giusta. Il fatto che ancora molti scienziati cerchino la sede della memoria nel cervello non dà né molta speranza né grande fiducia nel cambiamento a breve scadenza. Ma il recupero di una fondamentale etica s’impone assolutamente.
I tempi sono difficili e bisogna aumentare le preghiere affinché le forze cristiche possano contrastare le potenti entità arimaniche, restando sereni di fronte alle amenità che la nostra moderna scienza, con il suo sguardo parziale, ci propina. Necèssita che tornino i tempi dei Leonardo, dei Paracelso o dei Fleming, quando la scienza era al servizio dell’uomo e gli scienziati perseguivano finalità elevate attraverso la libera intuizione. La parola “intuire” contiene infatti in sé la radice Greca enteos, che significa “Dio in me”!

Sandro Scalercio