- Il sentire non può non
esserci, qualsiasi situazione o evento o atto ci
coinvolga. Il pensiero può non esserci? E il
volere? È nell’accordare il pensare con la
volontà che si crea quell’equilibrio e quella
forza dell’anima che «…è
il potere in cui risorge come Vita il sentimento, il
piú vasto e liberatore», citazione da
Massimo Scaligero già riportata nel numero dell’Archetipo
dello scorso gennaio, a pagina 17.
- È un pensare che si
accorda al volere che rafforza e permette di formare
la qualità interiore, e quindi di approcciarci
sobriamente al sentire, all’anima, il vero lavoro
su di sé.
- Quanto tempo si è già
passato in quella unilateralità che ritiene
pertinente ad un’ascesi il solo frequentare “i
primi due esercizi” della disciplina che si è
maturata in questi decenni? Volere nel pensare e
pensare nel volere, portati ad un’attitudine
meccanica che un fedelissimo seguace della Scienza
dello Spirito definiva appartenente piú ad un
atteggiamento da “ragionieri dell’esercizio”
che non da operatori magici.
- È quell’unilateralità
del solo approccio al pensare-volere, che la vita ci
correggerà: la difficoltà nella vita, oltre che
sintomo del livello raggiunto, ne sarà il cimento
salutare.
- Un amico a noi molto caro
si sente sempre piú spesso “un niente”, e ti
chiedi come sia possibile che lui lo dica, se tu lo
consideri invece “un gigante” per quello che fa,
per quello che riesce a sostenere della sua vita
piena di difficoltà, con tutta la serietà di cui
è capace un uomo sobrio, posato, efficace,
entusiasta, generoso qual è. Il suo non vedere lo
splendore che è, ti commuove, e commuove ancor piú
il tuo voler mostrarlo a lui e non riuscirci.
- Cos’è che ci fa vedere
ciò che valiamo veramente, le nostre qualità, le
nostre reali risorse e cosa invece tende a
mortificarle, a creare un clima interiore di
sfiducia verso di sé? Cosí sembra essere per
tutti, per la gran parte. Ma scoperta che si abbia
una qualità sulla quale fondare la propria
vocazione intuita, è importante che si apra il
varco all’inizio del reale lavoro su di sé e nel
mondo. L’attenzione è verso una sobrietà e un
equilibrio che non ci permettano di sbilanciarci all’opposto,
cioè nell’esaltazione, nel millantato credito di
sé.
- Come controcanto, si può
all’opposto osservare quanto sia facile pretendere
dagli altri quello che non si è capaci di compiere:
il portarsi cioè a volere che gli altri – un
figlio, un marito, un genitore – siano diversi da
quello che sono. Non vedendo le qualità che hanno,
li si vorrebbe diversi, li si vorrebbe come non
possono essere, e non si scorgono le magnifiche
qualità che già possiedono!
- Le qualità di ognuno, le
vocazioni, i talenti, le missioni, possono con poco
essere letteralmente mortificate o valorizzate. Il
vero cominciare a scorgere la Luce si snoda nel
rivelarsi a noi di tale sostanza di Umanità, di
tale elemento luminoso, positivo appunto, peculiare
a “ogni” uno.
- La vocazione, la propria
missione intuita e poi attuata, porta missionari
cristiani dentro cimenti indicibili e inconcepibili
ai piú. Ed è anche quella soddisfazione, quella
realizzazione, quella compiutezza di sé che porta
nel viso una giovane madre in attesa, consapevole e
fiera della sua gravidanza. La stessa Luce, anche se
meno cosciente, che canta nei gesti, nelle parole e
negli sguardi dei bambini.
- «Il
primo movimento dell’uomo che cerca se stesso deve
essere quello di spezzare la propria immagine
abituale. Soltanto allora egli potrà cominciare a
dire Io, quando alla parola magica corrisponda l’immaginazione
interiore di un sentirsi senza limiti di spazio, di
età e di potenza. Gli uomini devono raggiungere il
senso della realtà di se stessi. Per ora essi non
fanno che limitarsi e stroncarsi, sentendosi diversi
e piú piccoli di quello che sono: ogni loro
pensiero, ogni loro atto, è una sbarra in piú alla
loro prigione, un velo di piú alla loro visione,
una negazione della loro potenza. Si chiudono nei
limiti del loro corpo, si attaccano alla terra che
li porta: è come se un’aquila si immaginasse
serpente e strisciasse al suolo ignorando le sue ali…»(1).
- Vi è una sostanza di
incompiutezza, di incoerenza, di inaccessibilità
che si rivela nel movimento interiore che prende la
forma della nostalgia, dell’immalinconimento, dell’anelito,
della ricerca, dell’approfondimento di quei
contenuti interiori che si intuiscono e svaniscono,
che si toccano poi sfuggono e non fanno cosí che
alimentare la tensione incapace di portarsi all’attenzione,
alla a-tensione.
- La ricerca si porta
combattendo, affaticando la propria anima come verso
un luogo interiore dove cercare la sostanza capace
di dare fondamento e senso a tutto, di enucleare la
sostanza di vita e di verità piú forte e limpida,
piú calda e luminosa di cui riusciamo ad essere
portatori. Il nostro Sole, che non può essere che
“interno e irraggiante”, che non può che
riconoscere di essere, e di essere Oro che salda
ogni debito, a sé e al mondo, è lí dove si può
affermare “Io sono l’Io sono”.
- Una sola volta sono state
pronunciate per sempre le parole «Io sono la Via,
la Verità, la Vita», e Colui che può riconoscerle
e pronunciarle ancora una volta è sempre lo stesso
Essere, la stessa divina Entità, il Logos: l’Uomo
vero che può dire di sé «Io Sono l’Io Sono»,
che può dire di sé non ego, non eo, non io,
ma Khristós: il Rappresentante dell’Umanità.
La
Verità che io difendo non è solo per me, ma per
quella Umanità che disvelo mio tramite.
- Una delle ultime
meditazioni donate da Rudolf Steiner, che sembra
quasi un testamento che tutto sintetizza, è:
«Cristo mi dà la mia umanità».
- Ove questa Umanità non
venga colta, non venga tenuta in considerazione,
dove fredde analisi pensate, benché tecnicamente
corrette, sembrano sortire impeccabili esoterismi,
là manca invero l’intuizione del Logos. Quel
Logos che nel vero Maestro si rivela al discepolo
come una specie di sentimento che gli sussurra:
«Vedi… ce la puoi fare anche tu!», mentre nel
maestro supponente invece si ode: «Vedi… ce l’ho
fatta, io!».
- Ecco il primo atto, l’intuizione
del modo di azione: come noi siamo stati capaci di
costruire la nostra vita quotidiana trovando il
nostro lavoro, formandolo, dandoci da fare perché
porti frutto, come siamo stati capaci di formare una
famiglia, di accudirla, di armonizzarne tutte le
qualità, come siamo capaci di portarci in un
cimento per noi sostanziale, essenziale,
trasformante: cosí dovrebbe essere “formatore”
il nostro impulso conoscitivo; trasformante,
incidente, portatore di frutti. Realizzare lo stato
umano pel tramite di un’autoconoscenza operante
capace di trasformare lo stato dis-umano. «…Percorrerla
[la buona strada] implica molti superamenti e molta
pazienza. Ciò che è difficile è vero. La chiave
è l’autoconoscenza, ma questa non è dialettica
né psicologica: è azione interiore, e deve essere
la giusta azione interiore. L’Io in basso è l’ego,
in alto è il Logos, o Io Superiore individuantesi.
Questo Io Superiore dovrebbe oggi alquanto
incarnarsi, minimamente incarnarsi, in un certo
numero di uomini: questo inizio di incarnazione dell’Io
è il senso di tutta l’opera. C’è da augurarsi
[o volere] che questo evento si verifichi, per la
saggezza o salvezza della Civiltà. La via è l’autoconoscenza:
che dà modo a ciascuno di capire che cosa deve fare
di se stesso. Regole, sí: ma quelle che l’uomo
libero intuisce giuste per se stesso. Perciò il
fondamento è la liberazione del pensiero…». «…Nel
pensiero che pensa fluisce l’Infinito, ma l’uomo
lo ignora. L’arte è incontrare l’Infinito –
che giunge nel veicolo dell’etere che ascende dal
cuore là ove il sangue si eterizza [in ogni essere
della terra, anche il piú abietto] – nel
pensiero: non in un determinato pensiero, ma nella
sua dynamis predialettica. La via dei nuovi
tempi è questa: conseguire l’estasi, il Nirvana,
il Satori, la Pentecoste ecc. da svegli esseri
coscienti, conseguenti la trascendenza per via di
intensificata volontà cosciente. È chiaro che
questa volontà deve aver ragione di ogni ostacolo
psichico, che inevitabilmente si presenta: l’antica
natura, anche la piú mistica, è abitata o
manovrata dagli Ostacolatori. Essi possono tutto
sull’uomo già fatto, ossia sul passato, sull’organizzazione
corporea-psichica, sul sentire, sul volere: non
possono nulla su ciò che non è fatto, ma sempre
rinasce per essere vivo: esige perennità: ogni
volta questa venendo perduta nel sapere, nella
cristallizzazione del pensare, nella dialettica»(2).
- Qual è il primo semplice
moto, impulso, che ci rivela un ambito percettivo
che non appartiene piú all’ambito sensibile? È
la meraviglia. Come può venire descritta quella
risorsa che ci permette di avvertire l’Uomo che
noi siamo e l’Umanità nell’altro da noi? È la
compassione. Coscienza è invece quel sussurro che
ci indica, nell’intonsa capacità di fondarsi sul
vero, l’ambito dove è possibile pronunciare la
parola “moralità”. «Osservate,
ora, come gli uomini convivano col Cristo. Dal
mistero del Golgota fino al termine dell’evoluzione
terrestre, gli uomini si perfezioneranno sempre
piú, evolvendosi verso ciò che può sussistere in
loro, in quanto sono degli Io. Ma gli uomini si sono
uniti con l’entità del Cristo, che è venuta fra
loro, in quanto escono continuamente da se stessi e
fondano, per mezzo della meraviglia e dello stupore,
il corpo astrale del Cristo. Il Cristo non si
costruisce il suo proprio corpo astrale; gli uomini
contribuiranno alla formazione del corpo astrale del
Cristo, con lo stupore o la meraviglia che sapranno
trovare in sé. Il corpo eterico del Cristo verrà
formato dalla compassione e dall’amore che
regneranno fra gli uomini, ed il suo corpo fisico
dalla coscienza che gli uomini acquisteranno. I
peccati degli uomini in questi tre campi sottraggono
al Cristo sulla terra la possibilità di evolversi
compiutamente; in altre parole, rendono manchevole l’evoluzione
terrestre. Gli uomini che passeggiano sulla terra
con indifferenza, che non vogliono conoscere ciò
che può loro svelarsi sulla terra, tolgono con la
loro indifferenza al corpo astrale del Cristo la
possibilità di compiere la sua evoluzione; gli
uomini che si lasciano vivere senza esplicare
compassione, amore, impediscono al corpo eterico del
Cristo di compiere la sua evoluzione, e coloro che
sono senza coscienza
impediscono
l’evoluzione del corpo fisico. Ma ciò significa
che la terra non può affatto pervenire alla meta
della sua evoluzione»(3).
- «Non
ci manca il Cristo, ci manca invece la conoscenza
del Cristo, la Iside del Cristo, la “Sofia” del
Cristo». …«[L’uomo odierno] deve comprendere
di dover anzitutto cercare Iside, affinché il
Cristo gli possa apparire. Nell’epoca moderna la
sventura per l’umanità civile non è già di aver
perso in qualche modo il Cristo (che sta anzi di
fronte a noi in una gloria maggiore di quanto non
fosse Osiride per l’Egizio), di dover andare alla
sua ricerca con la forza di Iside. No, quella che
abbiamo perduta è la conoscenza, la visione del
Cristo Gesú. Dobbiamo ritrovarla con la forza del
Cristo Gesú che è in noi…»(4).
- «…Non
v’è comunione con il Christo senza la Vergine
Sophia, perché la Vergine Sophia è tale comunione.
Il Christo è presente nell’uomo, opera nell’uomo,
ma l’uomo invero manca di comunione con Lui. L’uomo
non avverte il Christo presente in lui: l’animadversio
della Sua presenza è il piú alto conseguimento
dell’anima: è la Vergine Sophia. Quando in taluni
momenti nell’anima si accende la corrente dell’Io,
grazie all’elevazione del pensiero e perciò del
sentimento, per attimi la Luce del Logos è veduta
al luogo di quella ingannevole di Lucifero…»(5).
- Il nome quindi è stato
pronunciato, il riconoscimento che si è potuto
effettuare o meno dipenderà dal grado di
meraviglia, compassione e coscienza che si è stati
in grado di creare.
- Chi porta la mia anima? A
chi delego questo compito? A un “maestro”
esterno, piú o meno coscientemente, a un amico, o
amica, molto in là nel cammino che, anche se dice
che non lo vorrebbe mai, di fatto va sostituendosi,
con i suoi atti, con i suoi consigli, a chi dovrebbe
portare la mia anima. Amico o amica a cui “Io”
delego l’onere, vigliaccamente.
- Chi porta la mia anima? La
domanda è certo ambigua e sicuramente indica almeno
due contenuti in cui può essere intesa. Il primo è
quello appena accennato, quindi chi “si fa carico”
della mia anima, persona o ente che sia. Mentre il
secondo è la risposta stessa: chi “è il carico”
della mia anima, chi si porta appresso come suo “grave”,
o peso. Sicuramente è tale grave che sarà capace
di magnificarci nella consolazione già promessaci
solennemente molto tempo fa.
- L’Io deve essere mediato
dall’anima: non c’è un astratto spirito che si
manifesta! Come potrebbe manifestarsi? Volando nell’aria?
Sospeso? Anima è il teatro della sua
manifestazione.
- Si comincia a scorgere ora
quello che si affaccia come il terzo nostro momento
di cimento, sintetizzabile in interrogativi non
ancora definiti, ma che cosí appaiono
pronunciabili: come è possibile “diventare fedeli”
all’impulso che l’apertura di tale ambito ha
rivelato? Come “restare nella Luce”? Quale
ulteriore “essenzialità da sfrondare” è
realizzabile per muovere ulteriormente verso una
donazione ancora piú radicale, fuori dalle tenebre?
- «…E quando le
cornamuse erompono dal silenzio
chi mai può trattenere le lacrime?».