Gli imbecilli

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Gli imbecilli

Umberto EcoIn che misura la Rete dia fastidio ai gestori della governance politico-finanziaria nazionale e mondiale lo si è capito quando, lo scorso 11 giugno, è sceso in campo contro il web addirittura un pez­zo da novanta dell’establishement culturale nostrano: il professor Umberto Eco. L’illustre semiologo e scrittore, accademico, docente universitario, a Torino per il conferimento a suo nome della laurea honoris causa in Comunicazione e media, dall’alto della sua erudizione e della sua età, 83 anni, ha fatto una dichiarazione a dir poco sensazionale contro Internet, definendolo «la catena di montaggio delle bufale» e «il luogo in cui nascono le piú assurde teorie complottistiche». Quanto ai social network, Facebook e Twitter, il professore non ha esitato ad affermare che «sono uno sfogatoio per dare diritto di parola a legioni di imbecilli», quelli, ha aggiunto, «che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, e di solito venivano messi a tacere», mentre ora, ha proseguito, «hanno lo stesso diritto di parola di un Nobel»…

 

Che tanto paludato personaggio si sia pubblicamente esposto per squalificare Internet e gli “imbecilli” che lo frequentano, è un chiaro segno di come e quanto l’uso della Rete infastidisca chi fino a qualche tempo fa deteneva il monopolio dell’informazione, fosse data da libri, giornali, riviste, radio o, soprattutto, Tv. Chi avesse voluto diffondere un’idea, valorizzare un prodotto culturale, artistico o commerciale, doveva passare sotto le forche caudine della censura accademica, della stampa autorizzata, delle agenzie pubblicitarie, delle tipografie esose, seguire una trafila spesso proibitiva per i costi e nulla per gli esiti sociali e retributivi. Poiché, a ben vedere, non basta il diritto di espressione, quello cioè meccanico, elargito dalla natura a ogni forma biologica, dal minerale, passando per il vegetale, l’animale organico, fino allo spirituale, prerogativa umana, se l’uomo fa dello Spirito un giusto uso.

 

Il diritto di espressione deve evolvere in diritto di diffusione, deve poter circolare, farsi conoscere, operare scambi. La sempre piú diffusa pratica di e-book, ossia di una pubblicazione in formato elettronico, è dovuta al fatto che non basta scrivere un libro e farlo stampare (la famosa libertà di stampa!). Per rientrare nelle categorie delle vere libertà, un libro deve raggiungere il mercato, entrare nel circuito della distribuzione e da qui accedere ai canali della critica: ovvero, deve avere diritto di esistenza. Garantito questo, sulla carta, da codici, costituzioni e regolamenti, ma nella realtà è sempre stato finora amministrato con occhiuta valutazione dai vari poteri, che ne hanno fatto un uso discriminante per alimentare bacini elettorali, consolidare privilegi accademici o castali, magari per un premeditato, strumentale, egoistico e gratificante esercizio del potere. Che però è divenuto meno pressante da quando la Rete ne sta diluendo il prevaricante dominio.

 

Quanto poi alle bufale che, a detta del professor Eco, Internet e i social network fabbricherebbero diuturnamente, esse non sono da meno e non piú dannose delle tante proditorie e arbitrarie fole pseudoscientifiche diffuse nel tempo da astrofisici, genetisti, evoluzionisti, bosonisti e paleontologi ‒ come l’Uomo del Similaun, Lucy, la Prima Donna del Transvaal, e altre rivelazioni irrilevabili ‒ le quali sono servite in alcuni casi a procurare persino il Nobel. E allora, perché non far parlare anche gli “imbecilli”? Saranno poi gli utenti della notizia, gente sveglia checché ne dica il professor Eco, a trarre le debite conclusioni e a dare i voti. Che premieranno o condanneranno, in base a libere valutazioni.

 

Il fatto che si sia rotto il secolare cerchio dei privilegi culturali e accademici, che si sia aperta una faglia nel consolidato territorio dell’informazione, da secoli arma vincente del potere, ha messo in allarme chi di quello stato di cose viveva e vive in forma monopolistica. Eco potrebbe obiettare che ci sono i meriti personali, la fatica, l’impegno. Troppo giusto. Che sia però concesso a tutti di provarci. Poiché, come diceva Eraclito: «L’erudizione non insegna ad avere intelligenza… Perché in una sola cosa consiste la sapienza, nell’intendere il Logos, che governa tutto il mondo, dappertutto».

 

Lo rivelò anche il Cristo al fariseo Nicodemo (Giovanni 3,5-8): «Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene, né dove va; cosí è di chiunque è nato dallo Spirito».

 

Teofilo Diluvi