Senza pilota

Socialità

Senza Pilota


«Da poco mi ero addormentata quando una mano mi prese e mi sollevò. Mi trovai come su un poggio e ai miei piedi c’era la città benedetta, ma di questa riuscivo a distinguere distintamente solo il Colosseo. Tutti i pilastri erano addobbati con bandiere rosse e fiumi di persone entravano dalle sessantadue porte, mentre dalle arcate superiori si gettavano monete d’oro che però, cadendo a terra, si trasformavano in tante fiammelle che subito si spegnevano. E la gente si scannava per impadronirsi di almeno una moneta d’oro, ma quando riusciva a metterci sopra le mani si rendeva conto di non avere nulla. Le mani stringevano solo dell’aria».

Le profezie della monaca di DresdaCon questa profezia, la Monaca di Dresda descrive, con tre secoli di anticipo, l’avvento della crisi finanziaria che sta attanagliando simbolicamente Roma, ma in realtà tutto il mondo, con il denaro affidato all’alea dei giochi speculativi delle Borse, del mercato azionario che alimenta lusinghe di facili ricchezze, soggette a vanificarsi con la stessa rapidità con la quale sono state create dagli illusionisti che gestiscono l’azzardo del trading.

Qualche spirito d’area laica griderà al millenarismo, alle visioni deliranti di una mistica del passato. Ma la veggenza profetica diventa scienza quando la praticano i filosofi e gli elaboratori di algoritmi: «Viviamo un’epoca cruciale, un’epoca di instabilità e cambiamento. Il futuro è aperto. Potremmo cadere nel caos e nella catastrofe oppure risollevarci con le nostre forze verso un mondo pacifico e sostenibile. La scelta tra evoluzione ed estinzione è reale. Abbiamo bisogno di capire come avviene e cosa comporta. La prima cosa da capire è che la scelta del nostro destino non è accidentale: il modo in cui il nostro mondo si sviluppa ha una sua logica. È la logica dell’evoluzione: in natura e nella società. La sua caratteristica è l’alternanza di periodi di relativa stabilità a periodi di instabilità crescente e addirittura critica. Quando l’instabilità raggiunge il punto critico può collassare oppure evolversi verso una nuova condizione di stabilità dinamica. Questi punti critici costituiscono i “macroshift”; tutti gli aspetti e i segmenti della società ne sono coinvolti: i ricchi e i poveri, il settore pubblico e privato, il sistema economico e politico ed anche la società civile. Stiamo raggiungendo la soglia di un macroshift non solo locale o nazionale ma globale, causato dall’impatto cumulativo dell’uso irragionevole di potenti tecnologie. Il potere non previdente e volto al profitto, insieme alle potenti tecnologie, innesca il cambiamento climatico, causa carestie, siccità, inondazioni, a cui sono collegati altri processi altrettanto pericolosi per l’ecologia. All’in­terno delle strutture della società civile cresce il divario tra i ricchi e i poveri, con conseguente frustrazione, fondamentalismo e terrorismo, che sfociano in criminalità, violenza e guerra. Il rischio di estinzione è reale ma evitabile. Nella fase critica del macroshift si aprono nuove opportunità, tra queste l’opportunità di evolversi: non si tratta di evoluzione genetica, perché non siamo solo specie biologiche ma di un’evoluzione sociale e culturale, verso una società nuova e una cultura nuova: una nuova civiltà».

Ervin LaszloQueste considerazioni di puro stampo millenaristico, con derive apocalittiche, non sono state formulate da un monaco di trappa, o da una reclusa a vita in un béguinage. L’autore, Ervin László, è fondatore e presidente del Club di Budapest, guru acclamato della filosofia dei sistemi e della teoria generale dell’evoluzione. Nelle sue 80 pubblicazioni, tradotte in 21 lingue, ha compendiato le sue ricerche condotte nelle piú prestigiose Università del mondo, da Yale a Princeton, dalla Sorbona alla State University di New York. È stato direttore dei programmi per l’Istituto delle Nazioni Unite per l’Istruzione e la Ricerca.

Di varie altre importanti istituzioni scientifiche è un membro influente. Questo conferisce alle sue idee la forza di un solido razionalismo senza cadere nel sensazionalismo. Ma è proprio questa serietà scientifica che rende le sue previsioni – l’inganno del denaro facile, l’uso irragionevole di potenti tecnologie – piú drammatiche di quelle scritte in forma di lettere da una oscura monaca di clausura in un convento sulle sponde dell’Elba, a Dresda, sul finire del 1700. Si chiamava Eldha, la giovane religiosa, nata nel 1680 e vissuta soltanto 26 anni. 

Lo scenario della civiltà globale presenta in forma eclatante i guasti e gli eccessi sia della ricchezza procacciata con metodi e strumenti medianici, sia della tecnologia posta al servizio della carneficina bellica e terroristica, vedi i droni, o le forze motrici che imprimono alla macchina della civiltà il movimento tipico delle trottole, che prillano in frenetiche spirali prima di bloccarsi e rimanere inerti.

HyperloopApprendiamo dai media, insieme alle inquietanti notizie che denunciano la débacle globale delle finanze locali, nazionali e mondiali, note sorprendenti sul futuro dei trasporti. Ci viene anticipata, infatti, l’introduzione a breve scadenza, sulla linea ferroviaria Milano-Roma, del­l’Hyperloop, una capsula a levitazione magnetica, viaggiante in un tubo, la cui velocità verrà incentivata fino a regimi supersonici da una speciale ventola. Posta sul frontale del vagone-capsula, la ventola girando creerà il vuoto pneumatico in cui verrà aspirato il veicolo con i suoi previsti 28 viaggiatori.

Si coprirà il tragitto di 632 chilometri su ferro in soli 30 minuti, contro le 14 ore impiegate nel 1905. La corsa frenetica è una delle condizioni cui sono costretti i dannati nell’Inferno dantesco, per eludere o alleviare la pena, contrapposta a quella della stasi coatta, dell’incatenamento al supplizio. E infatti, nella realtà del traffico come la viviamo oggi, all’andare sfrenato si contrappone non di rado, a provocare la stenosi, il coagulo del flusso corrente dei mezzi di trasporto, il blocco, l’ingorgo stradale, oppure la frana, il deragliamento, lo sciopero del personale viaggiante, nel caso delle ferrovie. E l’aereo? Un futuro adrenalinico è riservato ai fruitori del sogno irrealizzato di Leonardo da Vinci: chi salirà su uno dei velivoli in dotazione alle normali linee aeree del mondo, da qui a pochi anni, ma potrebbero essere, si ipotizza, solo dei mesi, godrà del privilegio di non dipendere dagli incerti astrali di un uomo o di una donna, ossia di un pilota, ma sarà nelle mani, anzi nei circuiti integerrimi, di un robot di ultima generazione. Come funzionano con spietata efficienza i droni, cosí gli aerei. Non piú crisi sentimentali, sbronze e dirottamenti. Alla cloche, un golem avulso da ogni sentimento. E chi dovesse temere che possa comportarsi come HAL, il robot schizzato di “Odissea nello spazio”, può stare tranquillo: il sofisticato marchingegno obbedirà solo agli ordini via etere che gli verranno via via dati da un centro di controllo a terra. È la gestione remota del traffico aereo. Per maggior sicurezza, viene data la versione inglese del sistema: “Uninterruptible autopilot system”, che sarebbe poi un sistema di autopilotaggio non interrompibile, ossia che l’operato del robot non potrà essere influenzato, inficiato o peggio deviato da una qualsivoglia interferenza esterna che non provenga dal centro di controllo abilitato. Io e CaterinaVengono tuttavia in mente gli esiti del Golem, il pupazzo mec­canico di Gustav Meyrink, co­me della cameriera a diodi nel film “Io e Caterina” di Alber­to Sordi, del pistolero elettronico di Yul Brinner, nel film ca­polavoro “Il mondo dei robot”, automi che ad un certo punto subiscono (o reclamano?) un processo di umanizzazione che la materia vilipesa e degradata dall’uomo è costretta a subire contro natura e morale. Allora, a ragione, si può temere che accada lo stesso al pilota robot. Ma questa, direbbe qualcuno in un tentativo di alleggerire la paranoia, è una reazione da oscurantisti. Il fatto è che non ci fidiamo dell’uomo, specie quando usa certi termini e aggettivi per celare il titanismo che insidia il suo DNA sin da quando, ai primordi, si ribellò agli dèi.

Nel caso specifico, rivela questa tendenza il prefisso hyper , usato per potenziare la parola loop, che nel linguaggio dei praticanti il pattinaggio su ghiaccio indica il volteggio in aria con avvitamento e ricaduta in equilibrio controllato, filando elegantemente in uscita per la successiva piú difficile combinazione. Hyper, come giga e mega, indica gigantismo, titanismo, denota un eccesso, una effervescenza astrale portata oltre i limiti imposti dalla natura all’uomo, la misura data dal Creatore al creato, cui vale accordarsi se non si vuole suscitare la febbre ctonia: l’antico fuoco della Lemuria.

Scrive Edouard Schuré in Evoluzione Divina: «Un disastro era imminente. Un cataclisma doveva distruggere una gran parte del continente lemurico, i cui resti sono l’Australia, l’India, l’Indocina, il Madagascar, un tratto dell’Africa e dell’America del Sud: doveva mutare l’aspetto del globo e spingere i sopravvissuti ad una nuova ondata di vita. Perché c’è una correlazione intima e costante fra le passioni che travagliano il mondo dei viventi e le forze che covano nelle viscere della Terra. Il Principio-fuoco, il fuoco creatore racchiuso e condensato in una delle sfere concentriche della Terra, è l’agente che pone in fusione le masse sottostanti la crosta terrestre, producendo le eruzioni vulcaniche. Non è un elemento cosciente ma un elemento passionale di estrema vitalità e di formidabile energia, che risponde magneticamente agli impulsi animali ed umani con violenti contraccolpi. Ecco l’elemento luciferico che la Terra nasconde sotto altri gusci. Data questa corrispondenza astrale delle vita animica del globo con i suoi abitanti, non ci si stupirà del fatto che l’attività vulcanica del continente australe raggiunse il suo culmine alla fine di questo periodo».

Il fuoco dunque risulta un riequilibratore, come l’acqua e l’aria, in forma di tsunami, di uragani, dell’ordine geocosmico sovvertito dall’uomo e per induzione simbiotica dagli animali, suoi succubi.

Accade quindi che nel corso della storia umana, la “nuova ondata di vita”, il salto evolutivo da un ciclo esistenziale ad un altro successivo che ne modifichi e corregga le storture e devianze, il suddetto macroshift di Laszlo, non può essere imposto karmicamente dalle Gerarchie, né operare come riscatto, se non è l’uomo stesso a deciderlo, in quanto la libertà di scelta è il dono che la Divinità gli ha elargito. Può dannarsi o angelicarsi, involvere o progredire, essere Io vivente o nulla.

Incendio di RomaMolti secoli fa, Roma rischiò il suo destino di Mater Mundi: un fuoco perverso divorò la sua anima. I turisti che a migliaia calpestano in ogni periodo dell’anno, di giorno e ormai persino in notturna, i basoli di pietra lavica della Via Sacra, scendendo dal Campidoglio e diretti al Colosseo, croce e delizia delle topiche archeologiche romane, sfidando il subdolo radon esalato dal suolo e il piú palese e invadente assalto di ven­ditori di ricordini e di ‘centurioni de noantri’, ignorano che quelle rovine visibili, alcune delle quali non visitabili, non sono quelle austere della Roma di Romolo e Numa, ma quelle restaurate da Nerone, mol­te a proprie spese, dopo il colossale incendio che, scoppiato nella notte del 19 luglio 64 d.C., bruciò per sette giorni, ridu­cendo in cenere la parte nobile e arcaica del­l’Urbe quadrata, e risparmiando quella popolana e promiscua, tipo Trastevere, Suburra e Campo Marzio. Alcuni come Plinio, Tacito e Svetonio, alieni da ogni pulsione misterica, considerarono autore dell’incendio lo stesso Nerone, smanioso di rifare il look a una città stantia e asfittica. Altri indirizzarono il sospetto sui Cristiani, altri ancora a una congiura mirante a destituire l’Imperatore.

In realtà, ben piú banale e miserrima era stata la causa di uno dei roghi piú vasti e drammaticamente incisivi sui destini di una città e di una civiltà mai registrati dalla storia: un aiutante cuoco di una delle taverne annesse alle strutture del Circo Massimo aveva sbadatamente rovesciato un’anfora colma d’olio speziato sulle braci scoperte della cucina. Il fuoco era divampato violento e rapido, grazie ad un vento anomalo per la stagione e l’ora, che si era levato dal Gianicolo e aveva imboccato la Valle Murcia, la quale, facendo da imbuto, ne aveva accresciuto la portata. Le fiamme, che dal termopolio gestito da gente siriaca si era inerpicato su per i declivi del Palatino e dell’Aventino, sembrarono voler colpire le dimore altolocate. Il palazzo imperiale ne venne aggredito e distrutto, tanto che Nerone, rientrato in fretta da Anzio, osservò l’incendio da sfrattato coatto, sistemato alla meglio con la corte negli Horti Serviliani risparmiati dalle fiamme. Qui vennero allestiti anche i primi ripari per gli scampati alle fiamme che si erano rifugiati sulle brevi alture sopravento. Viveri e bevande furono distribuiti per volere del sovrano. Il quale tutto fece, confermano le cronache, fuorché declamare i versi dell’Iliade.

Nessuno tuttavia, fosse storico o cronista, vide nell’incendio una nemesi. Ateismo, materialismo, concubinaggio, aborti, incesti, fino al matricidio e all’uxoricidio, avevano minato l’etica della prima Roma, distrutta per mano di un cuoco maldestro.

Ma in quella civiltà che si oscurava in una parabola discendente, si stava diffondendo una nuova luce: quel messaggio del Verbo che era stato portato dall’Apostolo delle Genti prima ad Atene. Ma lí non aveva potuto essere compreso, perché la filosofia senza il Logos invischiava l’uomo nella palude del sofismo inconcludente e autodistruttivo: un meccanismo involutivo privo del Pilota. Nell’incendio che aveva divorato la Roma del numen panteistico e non piú misterico, Saulo, divenuto Paolo dopo il suo incontro con il Cristo sulla via di Damasco, si immolò, e con lui Pietro e migliaia di anime che, da Nerone in poi, con il martirio, dissero al mondo che nulla era piú come prima. Un macroshift universale aveva abolito decaloghi e pandette, destituita la legge del taglione proponendo quella del­l’Amore, solo in apparenza piú facile da osservare ma nella realtà ben piú spinosa.Predicazione alle folle Lo aveva instaurato il Vangelo dell’Uomo di Nazareth, predicato cammin facendo per le strade della Palestina, non scritto ma impresso nei precordi degli Apostoli e delle folle che si adunavano per ascoltarne le parole, e ancor piú per coglierne le vibrazioni eteriche in grado di sanare, di consolare. Il singolo ascoltatore ne traeva il giusto viatico per avanzare sicuro sul cammino del quotidiano; una società, una comunità, un consesso umano, dal Vangelo potevano ricavare una formula di autogoverno.

L’Oceania è in ordine di tempo l’ultimo territorio del globo ad essere stato ‘esplorato’, tanto che ha meritato il titolo di “Continente Nuovissimo”, contrapposto a quello “Nuovo” scoperto da Colombo. L’accezione che noi europei diamo ai termini “esplorare” e “scoprire”, nel caso delle avventure di marineria e di conoscenza dei territori via terra, sono arbitrari, nel senso che le regioni visitate da navigatori e viaggiatori esistevano già prima che esploratori e scopritori ne venissero in contatto. Avevano popoli che le abitavano, autorità che le governavano, osservavano leggi e dottrine religiose. Ma per i conquistatori terrestri o marittimi erano semplici espressioni geografiche da possedere e sfruttare. Magellano però non aveva questi secondi fini. L’unico suo interesse era di provare che la terra era tonda e che una nave ben governata potesse circumnavigarla. Restava il problema di sorpassare l’America, di andare oltre e chiudere cosí il cerchio. Lo fece scoprendo il passaggio a Sud, lo Stretto che oggi porta il suo nome, in condominio con l’inglese Horn, che doppiò il continente piú a meridione, nell’odierna Terra del Fuoco. Magellano però è il vero scopritore dell’Oceania e del Pacifico, distesa d’acqua possente, gigantesca e sorniona, imprevedibile, da qui l’aggettivo ironico. Il piú vasto, profondo e per quel tempo sconosciuto oceano, era costellato di isole, alcune della dimensione esse stesse di un continente, come l’Australia, ora aggregate in arcipelaghi, ora perse nella solitudine marina, ostaggio delle correnti che vi sbarcavano frutti deiscenti da cui nascevano alberi, battute dai venti che però le inseminavano.Polinesia Magellano non vi si fermò, non ne colonizzò alcuna, ma ne rivelò all’Eu­ropa l’esistenza. Iniziò allora la leggenda dei Mari del Sud, delle Isole Felici, dei grandi navigatori: La Perouse, Bougainville, Tasman, Roggeveen, Dampier, infine il grande Cook, che vi perse la vita. Il Seicento e il Settecento furono i secoli della passione europea per l’Oceania. Con i navigatori viaggiavano mercanti e missionari. Ciascuna di queste categorie con i propri interessi palesi o nascosti, tutte però unite nel dedicare un’importanza enorme a un libro che doveva contenere formule segrete con cui operare magie, il che giustificava, agli occhi dei nativi delle isole, la fortuna, la sapienza e la capacità di costruire le navi possenti, i cannoni e gli archibugi. Tanto importante era quel libro che nei casi di dispute in tribunale gli imputati giuravano, ponendo sopra di esso la mano per chiamare in causa la divinità a garanzia della propria innocenza. Insomma, un libro veramente importante. I missionari ne lasciarono alcuni, specie nella isole piú remote, dove in tempietti di fortuna, sotto i palmizi, gli indigeni si riunivano per pregare un Dio tanto buono da farsi crocifiggere per salvare l’umanità. Le Isole della Tonga giunsero a farne un capitolato di leggi costituzionali. Ma dove l’aderenza al contentuto del magico libro fu totale si verificò in un isoletta della Fenice, divenuta territorio britannico. La missione, dopo il periodo di indottrinamento durato qualche mese, dovette lasciare il presidio, incaricando un diacono di svolgere le funzioni liturgiche. Gli isolani nel corso di alcuni decenni estrapolarono dal libro soltanto i passaggi che parlavano di amore, fraternità, perdono delle offese, di porgere l’altra guancia, di non mentire, di non fare agli altri quello che non si voleva facessero a loro stessi. Insomma, era il Vangelo bello e buono, preso dalla Bibbia e applicato nei mandamenti etici del luogo. «Perché – chiarirono gli indigeni ai missionari che ritornarono anni piú tardi – erano i comandamenti che piú si accordavano con i nostri modi di vita e i nostri princípi. Ecco perché di quel libro abbiamo scelto soltanto l’insegnamento che aiuta a vivere in pace con la natura e con il prossimo». E quell’isola era divenuta veramente un’isola felice.

Il punto critico di questa nostra civiltà hyper, giga, mega è il piú drammatico fra i molti che la sua lunga e tormentata storia abbia vissuto. Partendo dall’Eden, passando per Babele, Sodoma, la Ragione sanculotta, Darwin e Marx, l’umanità ha cercato in tutti i modi di esonerare il Nocchiero della sua nave, di poterne fare a meno e governare da sola il bastimento in tentativi di autopilotaggio, i cui esiti sono drammaticamente visibili e concorrono tutti a sabotare l’autorealizzazione dell’uomo. È oltremodo urgente un macroshift per impedire che questo antico disegno arimanico si concretizzi. Un ritocco, per quanto saggio e ponderato, alla Costituzione non può risolvere il problema. Le leggi, per dirla con l’isolano del Pacifico, valgono se si accordano al sentire naturale dell’uomo. Di buona volontà, s’intende. E, soprattutto, se a governare la nave della civiltà umana ognuno desterà in sé il Pilota che solo potrà condurlo fuori dalle secche della materia, nell’oceano infinito dello Spirito.

 

Leonida I. Elliot