Conoscere i Vangeli

Spiritualità

Conoscere i Vangeli

Gli Angeli nel cielo di Bethlehem

 

Gloria a Dio e pace in Terra«E un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce»: con queste semplici parole, Luca (2, 9) descrive la presenza angelica che nella notte di Bethlehem si rivela agli ignari pastori, per indicare loro l’evento celeste che si era compiuto in Giudea. «E subito con l’angelo si manifestò una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nei cieli altissimi e sulla terra pace agli uomini benevoli”».

L’apparizione angelica nel cielo notturno della Giudea è una teofania che si rivela per gradi: dapprima è luce che illumina, poi è luce che conforta i cuori («Non temete», dice infatti l’angelo ai pastori), infine è benevolenza (eudokía) umana, ma potremmo anche dire “santa volontà”, illuminata dalla stessa gloria che riluce nei cieli piú alti. Luce, calore dei cuori, santa volontà: è la scala che discendono le Gerarchie nella notte di Bethlehem descritta da Luca.

Nei suoi commenti esoterici ai Vangeli, Rudolf Steiner ha piú volte chiarito la natura della presenza angelica che compare nella scena della Natività di Luca. Questo esercito celeste – dice Steiner – è il Corpo ultraterreno del Buddha: l’archetipo spirituale della corrente che spinge l’uomo a votarsi allo Spirito con semplicità d’animo, dimenticando le ricchezze della Terra, anzi spesso rinunciando a esse, come fecero lo stesso Buddha storico e Francesco d’Assisi. È la corrente dei semplici di cuore, dei poveri ispirati da una visione pietistica della vita, di coloro che scelgono l’ascesi e la contemplazione delle verità eterne.

L’altra grande corrente della ricerca spirituale – l’altro grande archetipo – trova invece espressione in Zarathuštra: questo profeta iranico non distoglie però il suo sguardo dalla Terra a beneficio dei cieli, ma vuol portare sulla Terra l’ordine (aša) dei cieli, la giustizia dei cieli, affinché diventi norma dell’agire morale, vita attiva dello Spirito. Di questa seconda corrente si trova il segno nel racconto della Natività secondo Matteo.

Ma torniamo a Luca.

Che cos’è il Corpo ultraterreno del Buddha? Stando agli studi compiuti nel nostro secolo dai piú validi buddhologi europei – come ho scritto nel saggio annesso al libro di Rudolf Steiner Buddha (Editrice Antroposofica, Milano 1997) – questo Corpo è il Corpo spirituale (o eterico) che il Buddha, dopo il Nirvana completo, condivide con i Bodhisattva celesti, cioè quegli esseri spirituali assai elevati che, secondo il buddhismo, rinunciano all’Illuminazione finale per aiutare gli esseri umani a procedere sulla via della salvezza. Si chiama anche “Corpo di beatitudine”, “Corpo di comunione”, “Corpo glorioso”; in lingua sanscrita è il sambhoga-kâya, diverso sia dal Corpo della Legge (dharma-kâya) – che rappresenta l’eternità stessa della Dottrina buddhista – sia dal Corpo apparizionale (nirmana-kâya) grazie al quale il Buddha può mostrarsi ai mortali sul piano fisico. Questo Corpo glorioso che accomuna il Buddha e i Bodhisattva si manifestò nella notte di Bethlehem come luce, conforto del sentire, momento di santificazione del volere.

Da allora questo Corpo bodhisattvico non ha mai smesso di convertire l’interiorità umana alla contemplazione delle verità spirituali anche in un mondo come il nostro, contaminato – secondo le scritture buddhiste – dalla triplice macchia del dolore, della malattia e della morte; in un mondo cosí oscuro che perfino i Bodhisattva vi sono difficili da avvicinare. Eppure il Natale ci è dato per superare questa difficoltà: ciascuno di noi, infatti, nelle dodici notti sante che seguono il solstizio d’inverno, ha piú che mai a portata di mano la possibilità di cogliere il mistero del Bene da cui l’uomo ha origine e a cui l’uomo è destinato. Un’immagine meditativa: in alto, la luce di bontà elargita dai Bodhisattva da sempre, dalla piú remota antichità del mondo; in basso, la santa volontà vissuta dai pastori in un clima di speranza che ha dinanzi a sé un futuro infinito. Forze celesti e forze terrene che confluiscono e vivono nell’anima paradisiaca del Gesú di Luca.

 

I due Bambini Gesú e i due Messia

 

I due fanciulli GesùNei suoi commenti esoterici ai Vangeli Steiner sostiene che il bambino Gesú descritto da Matteo e quello descritto da Luca sono due individualità ben distinte, due esseri umani diversi, ciascuno con un proprio destino. A riprova della veridicità spirituale dell’esistenza dei due bambini, il fondatore dell’Antroposofia aggiunge che la tradizione ebraica ha piú volte fatto riferimento all’attesa di due Messia (da Mašíah, «Unto»), uno sacerdotale e uno regale, come si può leggere nei Salmi e nell’Enoc etiopico (Il Vangelo di Luca, Milano 1978). Verosimilmente Steiner si riferisce ai Salmi (2,1-8; 72, 5-8; 110,1-4), che sottolineano la funzione regale del Messia (ma non dimentichiamo il testo classico di Isaia 11,1-5), mentre per la funzione sacerdotale Steiner rimanda all’Enoc, che è un libro apocrifo, estraneo al canone biblico ebraico.

L’Enoc etiopico, che esalta il Messia come Giusto, o Eletto, piú che come re, annuncia infatti che «questo Figlio dell’Uomo …rovescerà i re dai loro troni e dai loro regni. …Ed Egli piegherà la faccia dei potenti» (XLVI, 4-6); oppure «Egli sarà il bastone dei santi e dei giusti affinché si appoggino a esso e non cadano, e sarà la luce dei popoli e speranza per coloro che soffrono nel loro animo. …E perciò Egli fu scelto e nascosto, innanzi al Signore, da prima che fosse creato il mondo, e per l’eternità, innanzi a Lui» (XLVIII, 4-6). Le citazioni – che traiamo da Apocrifi dell’Antico Testamento, a cura di P. Sacchi (Torino 1990) – si potrebbero moltiplicare e dimostrerebbero tutte che «il Figlio dell’Uomo di Enoc è un essere sovrumano, celeste, che svolge compiti fin qui attribuiti soltanto a Dio, come il Giudizio finale. Siamo su una linea messianica completamente diversa da quella politica nazionale del figlio di Davide» (G. Jossa, Dal Messia al Cristo, Brescia 1989). Anche la critica biblica riconosce dunque le singolari caratteristiche del Messia annunciato dall’Enoc, caratteristiche che lo accostano molto al Gesú natanico de­scritto da Luca, alla sua anima pura e celestiale, portata a nutrire compassione verso i poveri e ad esprimere un grande calore interiore.

Alessandro Franchi - Zorobabele

Alessandro Franchi «Zorobabele»

Il fatto che però Steiner presentasse prove tratte da due testi cosí diversi per cronologia e per tematica e, oltre a ciò, il fatto che rimandasse a un testo non compreso nella Bibbia ebraica, poteva far pensare a una forzatura. Ma se ci addentriamo nella tradizione ebraica, scopriamo che il tema dei due Messia ha una storia tutta particolare. Una storia che risale al tempo del ritorno degli Ebrei in Palestina dopo l’esilio babilonese (586-538 a.C.). Nel 521-520 l’ultimo discendente di Davide, Zorobabele, inviato da Babilonia a Gerusalemme con funzioni di satrapo (governatore persiano), fu affiancato a Giosuè, nipote dell’ultimo sommo sacerdote deportato, per ricostruire il Tempio.

A questa diarchia, a questo binomio di potere regale e sacerdotale (o temporale e religioso), restaurato in terra di Palestina, si riferiscono alcuni versetti di Zaccaria: «“Che significano quei due olivi a destra e a sinistra del candelabro?”. …“Questi – soggiunge – sono i due consacrati [= unti] che assistono il dominatore di tutta la Terra”» (4,14; v. anche 6, 9-15). Quest’episodio è sembrato ai biblisti l’an­tecedente storico dell’attesa dei due Messia. Infatti J.A. Soggin scrive: «Su questa teoria della complementarità dei due poteri, quello civile e quello religioso, si è fondata tutta una speranza in seno al tardo giudaismo, specialmente in seno all’apocalittica: quella in un duplice Messia» (I manoscritti del Mar Morto, Roma 1981).

Un’ulteriore prova del duplice Messia ci è offerta dai manoscritti di Qumran, che appunto preannunciavano la venuta del Messia di Aronne (religioso) e del Messia di Israele (laico). Nella Regola della comunità (IX,11), un testo che regolava la vita spirituale del centro essenico, si fa un preciso riferimento «alla venuta del profeta e dei Messia di Aronne e di Israele». Il profeta atteso dalla tradizione ebraica come preannunciatore del Messia è, com’è noto, Elia – e ciò risulta anche all’indagine spirituale condotta da Rudolf Steiner, che vide appunto in Giovanni Battista “l’Elia reincarnato”, ribadendo cosí la verità esposta dal Cristo nei Vangeli (Matteo 11,14).

È successo molte volte che certe tradizioni religiose che affiorano sulla coltre della storia sono l’ultima espressione di una credenza misterica che si è conservata per secoli in ambienti ristretti. È accaduto cosí per la credenza nei due Messia: nell’antico giudaismo esisteva una corrente profetica legata a questa credenza, che per la prima volta si rivelò storicamente al tempo del ritorno degli Ebrei dall’esilio babilonese con il binomio Zorobabele-Giosuè; successi­vamente questa credenza trovò espressione “teologica” nei manoscritti di Qumran, fortemente intrisi di letteratura apocalittica. Infine, attraverso la vicenda dei due bambini Gesú descritti da Matteo e Luca, si concretizzò nel Cristo.

 

Lucifero nelle fonti bibliche

 

«Gli spiriti luciferici diedero all’uomo la possibilità di esplicare nella sua coscienza una libera attività, ma lo esposero anche alla possibilità dell’errore e del male», scrive Rudolf Steiner in La scienza occulta, distinguendo cosí l’aspetto virtualmente positivo dell’azione luciferica sul­l’uomo – quello cioè che lo spinge alla ricerca della conoscenza e quindi alla libertà dell’agire – dall’aspetto negativo che reclude l’anima umana nell’illusione, nella sterile nostalgia, nei sogni utopistici, nell’eccesso di streben faustiano.

La caduta di LuciferoLa figura mitica di Lucifero nasce dalla letteratura biblica, e precisamente dagli scritti profetici. Nel cap. 14 di Isaia, che presenta una satira contro un sovrano di Babilonia (Sargon II, Nabonide o Nabucodonosor) vinto da Dio, si legge un celebre passo (14, 12-15): «Come mai cadesti dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora (hêlel ben šahar)? Come mai fosti abbattuto a terra, dominatore di popoli? Tu che pensavi in cuor tuo: “Salirò in cielo, sopra le stelle di Dio innalzerò il mio trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, all’estremo limite del nord. Salirò sulle nubi piú alte, rassomiglierò all’Altis­simo!”. Ecco, ora sei stato precipitato nello sheol, nelle profondità dell’abisso».

«Salirò»: è il verbo tipico di Lucifero, un verbo semanticamente simile al goethiano streben. Non vi è migliore formula – per esprimere l’impulso luci­ferico – di questa forma verbale intuita dall’imma­ginazione profetica: ‘e’eleh, «salirò», è il mantra di Lucifero. Ma anche il verbo «rassomigliare» è per cosí dire luciferico, se pensiamo che la tentazione del serpente nell’Eden verte tutta su questo con­cetto («Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio», Gen 3, 5).

La traduzione latina della Vulgata rese con Lúcifer, «portatore di luce», la parola greca Eôs­phóros, «(stella) apportatrice dell’aurora», che la traduzione dei Settanta aveva adottato per rendere l’ebraico hêlel ben šahar (dove helel deriva dalla radice hâlal, “risplendere”). Ed Eosforo era per i Greci la stella del mattino, la stella di Afrodite o Venere, che dai Latini era identificata invece con Vespero, la stella della sera destinata ad annunciare la luce del giorno.

Il brano di Isaia risente delle circostanze storiche in cui il profeta scrisse: siamo nell’VIII secolo, dopo il crollo della monarchia salomonica, un periodo durante il quale la cultura religiosa ebraica era in forte contrasto con la religiosità cananea legata ai culti agricoli e astrali. Alcuni aspetti di questa religiosità «politeistica» ricompaiono infatti nei versetti citati di Isaia:

  1. l’ebraico «nord» (saphôn) richiama il termine ugaritico Sapân, la montagna sulla quale si riuniva l’assemblea degli dèi cananei;
  2. ‘Elyôn («l’Altissimo») era, secondo Filone di Biblo, il nome di un dio cananeo-fenicio, successivamente equiparato al dio Yahwèh. È interessante notare che «Altissimo» e «salirò» sono termini che derivano dalla stessa radice ‘alah, “salire, innalzarsi”;
  3. Šahar, padre di Lucifero, era il nome di un dio ugaritico figlio di El, che forse presso i Cananei era il dio dell’aurora, essendo parallelo a Šalim, il dio del crepuscolo.

Queste poche note ci fanno comprendere come il contenuto del brano di Isaia sia in parte la reinterpretazione di un antico mito cananeo, visto come “luciferico” agli occhi del monoteismo etico dei profeti.

Ugualmente importante è un brano tratto da Ezechiele (28, 12-19) e rivolto contro Et-Baal II, re di Tiro, nel quale la tradizione cristiana ha visto una figurazione di Lucifero. Ezechiele, il sacerdote vissuto nell’esilio di Babilonia intorno agli inizi del VII secolo a.C., il profeta che ebbe la visione del Trono di Dio, cosí scrive: «Tu eri un modello di perfezione, pieno di Saggezza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tu eri coperto d’ogni pietra preziosa: rubini, topazi, diamanti, crisòliti, onici e diaspri, zaffíri, carbonchi e smeraldi; e d’oro era il lavoro dei tuoi castoni e delle tue legature, preparato nel giorno in cui fosti creato. Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa; io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco. Perfetto tu eri nella tua condotta, da quando eri stato creato, finché fu trovata in te l’iniquità. Crescendo i tuoi commerci, ti sei riempito di violenza e di peccati; e ti ho scacciato dal monte di Dio e ti ho fatto perire, cherubino protettore, in mezzo alle pietre di fuoco. Il tuo cuore si era inorgoglito per la tua bellezza, la tua Saggezza si era corrotta a causa del tuo splendore: ti ho gettato a terra e ti ho posto davanti ai re che ti vedano. Con la gravità dei tuoi delitti, con la disonestà del tuo commercio hai profanato i tuoi santuari; perciò in mezzo a te ho fatto sprigionare un fuoco per divorarti. Ti ho ridotto in cenere sulla terra sotto gli occhi di quanti ti guardano. Quanti fra i popoli ti hanno conosciuto sono rimasti attoniti per te, sei divenuto oggetto di terrore, finito per sempre».

Questo angelo che si inorgoglisce per il possesso della Saggezza e della bellezza è, in Ezechiele, uno dei cherubini posti a guardia del Paradiso terrestre e dell’albero della vita (Gen 3, 24): anch’egli si innalza, ma viene precipitato.

È la stessa immagine che ritorna in un versetto di Luca, dove il Cristo, dopo aver affidato la missione ai settantadue discepoli, dice: «Io vedevo Satana cadere dal cielo come la folgore» (Luca 10, 18). La parola “satana” deriva dall’ebraico šataGesù fanciullon, che significa “avversario”: il termine indicava infatti, nel linguaggio giuridico, l’accusatore che durante il processo si poneva a de­stra dell’accusato (Zaccaria 3,1; Salmi 109, 6; Giobbe 1, 6). La parola ha assunto lungo i secoli tanta importanza da divenire denominazione propria del principio del male, il tentatore delle virtú dell’uomo pio.

Furono poi autori cristiani come Tertulliano e Gregorio Magno a identificare nel Lúcifer di Isaia il principe degli angeli ribelli descritto da Ezechiele; in seguito a ciò, Dante (Inferno, XXXIV, 37 e sgg.) farà di Lucifero un démone tricipite dotato di sei ali, quindi identificabile con un serafino decaduto, stando all’angelologia di Dionigi l’Areopagita.

La volontà di ascendere sempre piú in alto, l’orgoglio per la Saggezza e per la bellezza, l’irrimediabile caduta nell’abisso dello sheol, il cupo aldilà semitico: ecco, dunque, i caratteri che le antiche scritture attribuiscono a Lucifero.

 

Esercizio: «Ex Deo nascimur»

 

L’anima umana è alle origini innocente e pura. Il Bambino divino rappresenta l’origine divina dell’uomo. L’anima discende dal Bene e al Bene è destinata. La vita terrena crea disuguaglianze, ma l’origine divina accomuna tutti gli esseri. Il Cristo dice: «Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli».

 

Gabriele Burrini  (3. continua)