Da Dioniso al Cristo

Mitologia

Da Dioniso al Cristo

Dioniso, figlio di Semele gloriosa,

io ricorderò: come egli apparve

lungo la riva del limpido mare,

su di un promontorio sporgente,

simile a un giovanetto

nella prima adolescenza;

gli ondeggiavano intorno

le belle chiome scure;

sulle spalle vigorose

aveva un mantello purpureo.

E presto, nella solida nave,

apparvero veloci, sul cupo mare,

pirati tirreni: li portava

la sorte funesta. Essi, al vederlo,

si scambiavano segni fra loro:

rapidamente balzarono fuori

e subito afferrandolo

lo deposero nella loro nave,

pieni di gioia nel cuore.

Pensavano infatti ch’egli fosse

figlio di re cari a Zeus,

e volevano legarlo con legami

indissolubili ma i legami

non riuscivano a tenerlo,

e i vincoli cadevano lontano

dalle sue mani e dai piedi;

egli se ne stava seduto,

e sorrideva con gli occhi scuri:

il timoniere, comprendendo, subito

esortò i suoi compagni e disse:

«Amici, chi è questo dio possente

che avete preso e tentate di legare?

Nemmeno la nave ben costruita

riesce a portarlo. Certo, infatti,

egli è Zeus, o Apollo

dall’arco d’argento, o Posidòne:

poiché non è simile

agli uomini mortali ma agli dèi

che abitano le dimore dell’Olimpo.

Suvvia, lasciamolo andare

sulla terra nera, subito;

e non mettete le mani su di lui,

ché egli, adirato, non scateni

venti furiosi, e grande tempesta».

Cosí parlava, e il capo inveí

contro di lui con parole di scherno…

Ma ben presto apparvero loro

fatti prodigiosi. Dapprima,

sulla veloce nave nera, gorgogliava

vino dolce a bersi, profumato, da cui

si effondeva un aroma soprannaturale:

stupore prese tutti i marinai,

quando lo videro.

Subito dopo si distesero

lungo il bordo superiore della vela

tralci di vite, da una parte all’altra,

e ne pendevano abbondanti grappoli;

intorno all’albero si avviticchiava

una nera edera ricca di fiori,

su cui crescevano amabili frutti;

e tutti gli scalmi erano inghirlandati.

Essi allora, vedendo queste cose,

ordinavano al timoniere di guidare

a terra la nave. Ma il dio,

sotto i loro occhi, nella nave,

si trasformò in un leone dallo sguardo

pauroso e bieco: essi fuggirono a poppa

e intorno al timoniere dall’animo saggio

si fermarono attoniti: il dio,

d’improvviso balzando, ghermí il capo;

e gli altri, evitando la sorte funesta,

come videro, si gettarono fuori

tutti insieme, nel mare divino,

e diventarono delfini.

Ma il dio ebbe pietà del timoniere:

lo trattenne, e gli concesse prospera sorte;

e cosí gli disse: «Coraggio,

nobile vecchio, caro al mio cuore;

io sono Dioniso dagli alti clamori,

che generò la madre Semele,

figlia di Cadmo,

unendosi in amore con Zeus».

Salve, o figlio di Semele

dal bel volto: non è possibile,

per chi si dimentica di te,

comporre un dolce canto.

 

 

(da Inni omerici, a cura di F. Cassola, Milano 1975)




 

L’Inno narra una disavventura del giovane Dioniso, nato da Zeus e da Semele, figlia del re di Tebe Cadmo e di Armonia. Vedendolo bello ed elegante, i pirati etruschi pensarono di farlo prigioniero per ricavarne un riscatto, ma ben presto si accorsero di avere a che fare con un dio, i cui poteri li spaventarono, tanto da gettarsi in mare per salvarsene… e diventarono tutti delfini, i cetacei dall’intelligenza affine a quella dell’uomo e amanti del canto e della musica.

Il ramo d'oroDi lui James George Frazer, nel suo libro Il ramo d’oro, scrive che Dioniso o Bacco «ci è conosciuto soprattutto come una personificazione della vigna e dell’esilarazione prodotta dal succo d’uva. Il suo estatico culto, caratterizzato da danze selvagge, da musiche eccitanti, e da eccessi di ebrietà, sembra avesse origine tra le rudi tribú della Tracia (www.larchetipo.com/2020/02/mitologia/orfeo-il-divino-cantore/), notoriamente dedite all’ubriachezza. Le sue dottrine mistiche e i suoi riti stravaganti erano essenzialmente estranei alla chiara intelligenza e al sobrio temperamento della gente greca. Eppure, facendo appello a quel­l’amore del mistero e a quella tendenza a ritornare allo stato selvaggio, che sembra innata nella maggior parte degli uomini, questa religione si diffuse rapida come un incendio nell’Ellade tutta …finché divenne la figura piú popolare del Pantheon.

Scrive Frazer: «Mentre la vite con i suoi grappoli era la sua manifestazione piú caratteristica, Dioniso era anche un dio degli alberi in generale. Cosí ci vien detto che quasi tutti i Greci sacrificavano al “Dioniso dell’albero”. …Era il patrono degli alberi coltivati …ed era onorato specialmente dagli agricoltori, soprattutto dai frutticoltori. …Si diceva che era stato lui a scoprire tutti gli alberi da frutto, specialmente i meli e i fichi. …Uno dei suoi titoli era “il fecondo” o “il germogliante”. …Tra gli alberi gli era particolarmente sacro, oltre alla vite, il pino. …Vi sono altre indicazioni, scarse ma significative, che dimostrano come Dioniso fosse concepito come una divinità dell’agricoltura e del grano. Si diceva che egli stesso avesse lavorato da agricoltore e che fosse stato il primo ad aggiogare i buoi all’aratro, che prima di lui veniva tirato soltanto a mano. …Ci viene anche detto che nella terra dei Bisalti, una tribú tracia, vi era un grande e bel santuario di Dioniso, da cui nella notte della sua festa raggiava una viva luce come pegno di abbondanti messi accordate dal dio; ma se la mistica luce non si vedeva e il santuario restava avvolto nelle tenebre come al solito, era certo che in quell’anno le messi sarebbero state assai scarse. Per di piú, tra gli emblemi di Dioniso, c’era un vaglio, cioè quel gran cesto di giunchi in forma di pala che fino ai tempi moderni è stato usato dagli agricoltori per separare il grano dalla pula, gettando il frumento in aria. Questo semplice strumento agricolo figurava nei mistici riti di Dioniso, e si dice che il dio, appena nato, fosse stato messo in un vaglio come in una culla, e anche nell’arte viene rappresentato cosí; da queste tradizioni e figurazioni derivò l’epiteto di Liknites, cioè il dio “del vaglio”».

E ancora: «Come gli altri dèi della vegetazione, si diceva che Dioniso avesse avuto una morte violenta, ma che poi fosse stato di nuovo portato in vita; le sue sofferenze, la sua morte e la sua resurrezione venivano rappresentate nei suoi sacri riti. …Si diceva che i melograni fossero nati dal sangue di Dioniso …quindi le donne alla festa delle Tesmoforie [che si celebravano tra il 26 e il 28 ottobre in onore di Demetra] si astenevano dal mangiare frutti di melograno. …Tornando dal mito al rituale, troviamo che i Cretesi celebravano una festa biennale in cui la passione di Dioniso era rappresentata con ogni dettaglio. …Dove la resurrezione faceva parte del mito, veniva anch’essa rappresentata nei riti, e sembra che fosse anche inculcata nei fedeli una dottrina generale della resurrezione, o almeno dell’immortalità. I Lidi [abitanti della Lidia, situata nell’Asia Minore occidentale, oggi corrispondente a territori turchi] celebravano l’avvento di Dioniso a primavera, e si supponeva che il dio portasse con sé la nuova stagione. Le divinità della vegetazione, che si credeva passassero sottoterra parte dell’anno, arrivano naturalmente a essere considerate come divinità del mondo sotterraneo o dei morti».

 

 

Il sentire dell’antico Greco

 

Questa è l’opinione generale degli studiosi su Dioniso e i suoi riti, ma vediamo che cosa Rudolf Steiner rivela su questa divinità e il suo culto. Qual era il suo ruolo entro l’umanità greca antica?

 

La tragedia greca

La tragedia greca

Ne Il Mistero solare il Dottore afferma: «Anche se in modo piú debole rispetto agli uomini di tempi piú antichi, il Greco sperimentava ancora con chiarezza l’elemento spirituale-animico nella sorgente, nel fiume, nella montagna e nell’albero. Poteva tuttavia in pari tempo prescindere dall’elemento spirituale-animico e sperimentare quanto era morto nella natura e avere un sentimento di sé. Questo dà al mondo greco il suo particolare carattere. Il Greco non aveva ancora la concezione del mondo che abbiamo noi; poteva sí sviluppare come noi concetti e idee del mondo, ma in pari tempo prendeva anche sul serio le concezioni che erano ancora date in immagini, viveva comunque in modo diverso da noi: come svago noi andiamo ad esempio a teatro. Allo stesso scopo in Grecia si andava a teatro, se cosí posso esprimermi, solo ai tempi di Euripide (485-406 a.C.), poco ai tempi di Sofocle (496-406 a.C.), in ogni caso non in quelli di Eschilo (525-456 a.C.), e meno che mai in tempi ancora precedenti. Si presenziava a rappresentazioni drammatiche per altri scopi. Si aveva allora un preciso sentimento che entità spirituali-animiche vivessero in tutto, negli alberi e nei cespugli, nelle sorgenti e nei fiumi. Nei momenti in cui si sperimentavano quelle entità non si aveva un forte sentimento di sé. Sviluppando invece tale sentimento, cosa che gli antichi dovevano cercare con gli esercizi yoga e che i Greci non dovevano piú cercare in quel modo, tutto quanto li circondava diventava morto, e per cosí dire vedevano solo il cadavere della natura. In tal modo però ci si consuma. Il Greco diceva che la vita consuma l’uomo e sentiva come una specie di malattia animica e fisica il guardare solo la morta natura. Nei tempi piú antichi della civiltà greca si sentiva con vivezza che la vita diurna rendeva la gente ammalata e che occorreva qualcosa per ritornare sani: era la tragedia. Per risanarsi, perché si sentiva che ci si consumava, che in un certo senso ci si ammalava, occorreva una guarigione, volendo in qualche modo rimanere integri: per questo si andava alle tragedie. Ancora ai tempi di Eschilo la tragedia era presentata in modo che chi la preparava e la recitava era sentito come un medico che in un certo senso risanava la gente logorata. I sentimenti suscitati dalla paura e dalla compassione per gli eroi che comparivano in scena agivano come una medicina. Superare i sentimenti di paura e di compassione che lo spettatore provava, favoriva in lui una crisi, come ad esempio si ha una crisi nella polmonite. Ci si risanava superando la crisi. Si recitava in quel modo per risanare gli uomini che si sentivano logorati. Era questo il sentimento che nei tempi piú antichi della Grecia si portava incontro alla tragedia, alle recite teatrali. Avveniva cosí perché si diceva: quando sento il mio Io, il mondo diventa divinizzato; la recita presentava di nuovo il dio che in sostanza mostrava il mondo divino e il destino che anche gli dèi devono sopportare; veniva cioè presentato l’elemento spirituale dietro le cose del mondo. Questo avveniva nella tragedia. Per il Greco l’arte era cosí una specie di processo risanatore. Quando i primi cristiani rivivevano ciò che era dato nell’incarnazione del Cristo Gesú e che poteva essere ripensato e risentito nei Vangeli, cioè il passaggio del Cristo Gesú attraverso il dolore, la morte sulla croce, la Resurrezione e l’Ascensione, essi sperimentavano per cosí dire un’intima tragedia. Per questo il Cristo venne sempre piú denominato il medico, il salvatore, il grande medico del mondo. Nei tempi piú antichi il Greco sentiva nella tragedia questo elemento risanatore. L’umanità doveva arrivare a poco a poco a sentire e sperimentare storicamente l’elemento risanatore osservando nell’anima il mistero del Golgota, la grande tragedia del Golgota. Nell’antica Grecia, in particolare nei tempi prima di Eschilo, nei quali era già diventato abbastanza noto quel che prima era solennizzato solo nei segreti dei Misteri, si assisteva alle tragedie. Che cosa vedevano gli spettatori nelle tragedie piú antiche? Appariva il dio Dioniso, era il dio Dioniso che si manifestava dalle forze della terra, dalla terra spirituale. Dioniso, manifestandosi dalle forze spirituali e presentandosi alla superficie della terra, ne condivideva le sofferenze. In un certo senso sentiva animicamente come dio (non come poi nel Mistero del Golgota, cioè anche nel corpo) che cosa significasse vivere fra esseri che sperimentavano la morte. Non sperimentava la morte in se stesso, ma imparava a guardarla. Il Greco sentiva: ecco il dio Dioniso che soffre profondamente fra gli uomini perché deve vedere che cosa essi patiscano. Sulla scena vi era all’inizio un solo essere, il dio Dioniso, si aggiunsero altri personaggi e cosí da una recita si ebbe il successivo dramma. Si sperimentava cosí in immagine il dio Dioniso. Piú tardi, come un fatto storico dell’evoluzione dell’umanità, si sperimentò nella realtà il Cristo sofferente e morente. Dovette svolgersi di fronte all’umanità quel fatto storico in modo che tutti gli uomini potessero sentire ciò che in Grecia veniva sperimentato sulla scena. Mentre dunque all’umanità si presenta quel grande dramma storico, il dramma stesso, che era sentito nella Grecia antica come sacro, come un meraviglioso risanamento per l’umanità, sempre piú fu spodestato e divenne un mezzo di intrattenimento, come era già al tempo di Euripide» (R. Steiner, op.cit., II conferenza, O.O. N° 211).

 

Croce

Lucifero

Lucifero

Dioniso allora non fu che l’immagine del Dio che ancora non poteva discendere sulla Terra, ma che sempre piú si avvicinava a essa per compiere il Sacrificio che doveva redimerla e salvarla, poiché la redenzione è in sé una guarigione profonda.

Nella conferenza tenuta a Monaco il 23 agosto 1909 e pubblicata in L’Oriente alla luce dell’Occidente – I figli di Lucifero e i fratelli di Cristo (O.O. N° 113), il Dottore aveva rivelato quanto segue: «Sappiamo che cosa significhi la croce per l’anima umana, e nel corso degli anni ci siamo sempre sforzati di scorgere in ciò che ci è dato conoscere un dono dei mondi spirituali. Ci siamo sforzati di fare dei contenuti scientifico-spiri­tuali uno strumento per comprendere sempre meglio questo punto centrale del progresso umano: il Cristo e la croce. Se riconosciamo la realtà del principio-Cristo, sapendo che esso si trova entro l’umanità, che è presente, che possiamo accedere a esso e attingere a quella fonte l’acqua di vita, allora avremo la fede che sa attendere con pazienza ciò che deve maturare nel tempo. Se sapremo affermare il principio-Cristo entro la sfera del perituro, dal grembo di ciò che è perituro maturerà per noi ciò che è eterno, immortale. Dal grembo del tempo scaturisce per noi uomini ciò che è sovratemporale. Se poggiamo su questo punto fermo e da esso prendiamo le mosse, avremo non una fede cieca, ma una fede compenetrata di verità e di conoscenza. …Da un lato dunque la fede, il vero frutto della croce. …La croce sola dona fede e coraggio per una giusta comprensione; ma chi in ogni momento può illuminarci sulla giustezza, sull’indubitabilità del nostro contenuto spirituale è la “stella”: la stella che un tempo era stata di Lucifero, del “portatore di luce” [phōsphoros in greco antico], che l’ha perduta per cederla al principio-Cristo. È questo l’altro punto di forza sul quale dobbiamo poggiare saldamente. Dobbiamo saperci appropriare di una conoscenza che penetri nei sostrati dell’esistenza, oltrepassandone gli aspetti esteriori e materiali; una conoscenza che getti luce anche là dove per l’occhio e l’intelletto umani, per la percezione esteriore regna la tenebra. …In questa tenebra portò luce Colui che chiamiamo il Cristo. …Una stupenda leggenda racconta che quando Lucifero precipitò dal cielo sulla Terra una gemma cadde dalla sua corona. Da quella gemma, ci dice la leggenda, fu fatta la coppa usata dal Cristo e dai suoi discepoli nell’Ultima Cena.

Nello stesso calice fu raccolto il sangue del Cristo crocifisso, e gli angeli lo portarono in Occidente. Qui, nel mondo occidentale, esso fu accolto da coloro che vogliono progredire verso una vera comprensione del principio-Cristo. La gemma della corona di Lucifero è divenuta il Santo Graal. …È missione dell’avvenire il congiungere due mondi e avremo compreso il significato dei segni di due mondi congiunti dall’amore, che stanno davanti alla nostra anima e al nostro spirito. Comprenderemo cioè la croce di Cristo e la stella di Lucifero che rifulge nella luce di Cristo».

 

Apollo

Apollo

In una successiva conferenza, tenuta sempre a Monaco il 28 agosto 1909, il Dottore parla di due tipi di Misteri, che affascinavano gli antichi Greci: i Misteri apollinei e i Misteri dionisiaci (ancora O.O. N° 113): «Apollo, il dio del Sole, era il rappresentante delle entità divino-spirituali che si trovano dietro il velo del mondo dei sensi. Vi erano poi certi Misteri che mostravano la via verso le profonde basi spirituali della vita psichica, attraverso il velo della vita psichica ordinaria: quei fondamenti spirituali …che l’uomo deve affrontare solo con un’adeguata maturità e preparazione. Per tali ragioni questo tipo di Misteri veniva custodito piú severamente di quelli apollinei. …Si dava il nome collettivo di Misteri dionisiaci a questo secondo tipo di credenze e di Misteri, e Dioniso era l’entità al centro di essi. Non è quindi da stupirsi che si scorgesse in Dioniso, nello spirito centrale di quella cerchia di dèi interiori, un’entità vicina all’anima umana, una specie di uomo, per cosí dire, ma un uomo che non si affaccia al mondo fisico: lo si trovava discendendo dal mondo fisico nelle profondità della vita dell’anima. Si intravvedono qui dunque le vere cause profonde della divisione della vita spirituale ellenica in un mondo apollineo e in uno dionisiaco. …Nella cerchia di Richard Wagner si intuiva che qualcosa del genere dovesse essere esistito, pur non avendo chiara coscienza dei fondamenti spirituali della cosa. Da quella cerchia poi Nietzsche trasse l’ispira­zione per la sua geniale opera prima: La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872), fondata proprio sulla dicotomia della vita spirituale ellenica in una sfera apollinea e una dionisiaca. …Quando il Greco pronunciava la parola Apollo, alludeva certo all’essere che piú tardi doveva manifestarsi come Cristo, però egli lo sentiva come Apollo in forma per cosí dire velata. …Apollo è dunque un accenno al Cristo, ma non è il Cristo stesso. …Apollo è una figura incapace di discendere fino all’incarnazione fisica: a questo fine sarebbe occorsa una potenza maggiore di quella di Apollo, appunto la forza del Cristo. Il Cristo era dotato di tutte le facoltà proprie delle entità sparse per il Mondo spirituale e visibili alla coscienza veggente; e in piú possedeva anche la facoltà di infrangere la barriera che separa il mondo degli dèi da quello degli uomini, la facoltà di scendere in un corpo umano, di diventare uomo in un corpo umano appositamente preparato per lui sulla Terra. …Una sola entità del mondo divino-spirituale discese fino al punto da prendere dimora in un corpo umano, entro il mondo sensibile, dove si vive come uomo tra gli uomini. …Nel passato, se si andava alla ricerca di un dio nell’interiorità, occorreva discendere alle divinità sotterranee, che stanno nascoste dietro il velo delle esperienze dell’anima; nel Cristo abbiamo davanti a noi un dio che può essere trovato al di fuori e anche nell’interiorità. Questo è l’essenziale di quanto avvenne nel quarto periodo post-atlantideo. …Nell’India piú antica, si era pensato e veduto in  astratto che il mondo divino-spirituale è unitario, che il tat e il brahman, che emanano da due aspetti dell’anima, formano un’unità; con l’evento del Cristo ciò divenne realtà vivente. …Se si è partecipi del Cristo, vi si troverà un essere che è al tempo stesso Apollo e Dioniso.

«Cristo vincitore» mosaico di Cefalú

«Cristo vincitore» mosaico di Cefalú

…Se risalissimo a tempi estremamente lontani, nel passato dell’evoluzione, troveremmo che l’anima guarda fuori di sé e scorge il mondo divino-spirituale; che guarda dentro di sé, scorgendo anche qui il mondo divino-spirituale: per dirla in termini greci, l’anima scorge fuori il mondo apollineo e dentro quello dionisiaco. …Quando la grandissima maggioranza degli uomini era veggente si scorgevano fuori di sé gli dèi superni, dentro quelli inferi, ed esistevano appunto queste due vie verso il Mondo spirituale. …Venne però il tempo in cui il mondo che abbiamo chiamato degli dèi inferi si ritirò sempre piú dall’esperienza umana, e perfino per chi era fino a un certo punto Iniziato divenne difficile raggiungerlo. …Questi dèi inferi si erano dunque ritirati in tenebre sconosciute. …A quei tempi (proprio nel tempo della discesa del Cristo sulla Terra) si aveva ormai solo un vago sentore dell’esistenza di certi Misteri che schiudevano, a chi fosse Iniziato, l’accesso al mon­do dionisiaco, penetrando attraverso le forze della vita animica interiore. …Da divinità cosmica il Cristo disceso in Terra diventa sempre piú un Dio mistico, che potrà essere sperimentato nell’intimo dell’anima umana. Al tempo della Sua presenza sulla Terra poterono realizzarsi le esperienze che i suoi discepoli (avevano con Lui). Non si sarebbe potuto sperimentarlo interiormente, sul piano mi­stico, non si sarebbe potuto afferrarne la natura dionisiaca: si doveva prima sperimentarlo come il Cristo esteriore, storico. …Immergendosi nell’interiorità dell’anima allora, prima della discesa del Cristo, non si trovava il Cristo, ma Dioniso. …Quando ci si era immersi profondamente nell’anima mediante la disciplina dei Misteri antichi, discendendo alle divinità infere, si trovava Dioniso; e questo non è che un nome diverso per il vasto mondo delle divinità luciferiche. Ma la coscienza veggente scomparve nella tenebra (se non era sviluppata fino ai gradi piú elevati), mentre il Cristo si andava avvicinando alla Terra in tutta la Sua potenza: il mondo luciferico andò scomparendo.

Solo agli Iniziati di grado piú alto era ancora possibile discendere fino alle divinità luciferiche. Agli altri uomini invece si doveva dire: “Se discendete impuri e immaturi, le entità luciferiche vi appariranno solo in immagini contraffatte, come dèmoni selvaggi che vi seducono ad ogni azione malvagia”».

 

Ed è proprio questo che presumibilmente accadde a tanti che vollero, per brama di conoscenza, discendere nell’interiorità della propria anima: è questo, evidentemente, che ha dato luogo alle descrizioni dei riti dionisiaci, cosí come hanno attraversato i secoli e i millenni.

Il Dottore prosegue nella sua analisi del dionisismo: «Senonché le cose stanno cosí: dopo che il principio-Cristo fu penetrato per un certo tempo nelle anime umane, il mondo luciferico ri­emerse, dapprima nell’uomo dotato di veggenza. Quando il Cristo ebbe agito per un certo tempo sull’anima, essa diventò matura, essendosi compenetrata della sostanza del Cristo, per penetrare

nuovamente nel regno delle entità luciferiche. Per primi gli Iniziati della Rosacroce furono in grado di compiere quel passo. Essi si sforzavano di comprendere e di vedere il Cristo che aveva preso dimora come Cristo mistico anche nelle loro anime; il Cristo viveva in loro, essi acquistavano forza grazie alla presenza in loro della sostanza del Cristo, che li premuniva contro ogni tentazione. In tal modo la sostanza del Cristo divenne in loro una nuova luce, una luce astrale interiore che li illuminava tutti. Il fare l’esperienza storica del Cristo nella sua verità getta luce nelle nostre esperienze animiche, sí da restituirci la possibilità di penetrare nel regno luciferico. Rosacroce…Osserviamo un Iniziato della Rosacroce. Egli comincia col prepararsi indirizzando i propri sentimenti e pensieri alla grande figura centrale del Cristo, per esempio meditando sul Vangelo di Giovanni: egli apre la propria anima, e in tal modo si nobilita e si purifica, all’immagine grandiosa e infinitamente significativa che del Cristo ci dà il Vangelo di Giovanni, la nostra anima si compenetra del Cristo, il Cristo mistico può destarsi in noi. …Si apprende a sentire il Cristo come poterono sentirlo il Maestro Eckhart o Giovanni Tauler, oppure a sentirlo in modo intimo come Suso [mistico tedesco, Heinrich Seuse (1295 ca.-1366), fortemente influenzato da Eckhart e Tauler] ed altri, e ci si sente uniti con quanto è fluito dalle altezze cosmiche giú sulla Terra, grazie all’avvento del Cristo. Cosí si acquista la maturità per poter essere introdotti come veggenti Iniziati della Rosacroce, in quei mondi che nell’antichità venivano chiamati dionisiaci, e adesso chiamiamo luciferici. Quale effetto ha una tale introduzione nei mondi luciferici per un odierno Iniziato della Rosacroce? Se il sentimento si riscalda, riempiendosi di entusiasmo per il divino, se esso è compenetrato dell’impulso cristiano …le nostre rimanenti facoltà spirituali, mediante le quali comprendiamo e conosciamo il mondo, vengono a loro volta illuminate e rafforzate dal principio luciferico. …Lo sperimentare il Cristo come sostanza animica è possibile concentrandosi sulla figura di Cristo quale si presenta nei Vangeli. …Oggi però è già venuto il tempo in cui i Rosacroce debbono far circolare nel mondo il loro insegnamento: i Misteri della Rosacroce sono chiamati a illuminare i Vangeli grazie alle forze spirituali rafforzate dal mondo luciferico. …L’essenza, la grandezza dei Vangeli si riveleranno quando saranno illuminati dalla luce proveniente dal regno di Lucifero, attraverso i Misteri della Rosacroce. …Il Cristo, divenuto Cristo mistico da Dio esteriore qual era, grazie alla nobilitazione dell’anima umana la riconduce nella sfera che per un certo tempo era stata preclusa: la sfera luciferica, chiamata dionisiaca nell’antichità e che sarà riconquistata nei tempi ai quali l’umanità va incontro. …Tutto questo rappresenta la missione della Rosacroce per il futuro (cfr. anche la Scienza Occulta, O.O. N° 13).

 

Cristo e Lucifero

Cristo e Lucifero

…Cristo e Lucifero procedevano in tempi antichi l’uno a fianco dell’al­tro, l’uno come dio cosmico, l’altro come divinità interiore all’uomo: si poteva trovare il primo, per cosí dire, nelle regioni superne, l’altro in quelle infere. …Le vie percorse da queste due entità divino-spirituali sono queste: esse si avvicinano alla Terra da due parti diverse; Lucifero diviene invisibile e in certo qual modo incrocia la via del Cristo, rimanendo offuscata la sua luce dalla luce del Cristo …le loro vie si incrociarono; il Cristo compie il suo ingresso nell’anima umana, diviene lo Spirito planetario della Terra, e sempre di piú assume la funzione di Cristo mistico nelle anime umane, si fa conoscere attraverso l’ap­profondimento delle esperienze interiori. …Da entità interiore all’uomo e puramente terrestre, qual era stato cercato nei Misteri dei mondi inferi, Lucifero va diventando sempre piú un dio cosmico; sempre piú risplenderà fuori nel mondo che si rivela a chi penetri oltre il velo dei sensi. …Se in avvenire l’uomo …non vorrà limitarsi a ciò che è grossolanamente materiale, egli dovrà penetrare nel Mondo spirituale attraverso le cose del mondo sensibile, dovrà lasciarsi portare verso la luce dal “portatore di luce”. L’umanità potrebbe affondare nel materialismo, rimanere fissata nella credenza che tutto non è altro che mondo materiale, se non si sollevasse all’ispira­zione proveniente dal principio luciferico. … Lucifero ci renderà sempre piú forti per comprendere e conoscere il mondo, Cristo ci rafforzerà sempre di piú nella nostra interiorità».

 

Riteniamo di non dover aggiungere altro, ma non dimentichiamo che la “stella” caduta dalla preziosa corona di Lucifero è divenuta il Santo Graal.

Al Cristo dobbiamo l’Amore e la Fede, a Lucifero l’impulso alla conoscenza; l’entusiasmo (entousiasmòs in greco) per la conoscenza, che è un sentimento ispirato dal “portatore di luce”.

Per cercare il Graal bisogna esserne innamorati, e questo “innamoramento” si risveglia in ogni vita, ogni volta che rinasciamo sulla Terra. E ogni volta prendiamo coscienza che il Graal è la mèta piú alta da perseguire, il senso stesso del nostro essere.

Da qui sorge un lieto impulso all’azione, anche se sappiamo che la ricerca non sarà facile, che ci attendono molti ostacoli sul cammino e una vita di dedizione e di sacrificio.

Ma all’uomo non spetta la felicità, anche quando la prova per brevi istanti o per qualche periodo: non è un suo diritto. Adatta all’uomo è invece la “gioia dell’essere”, che conosce bene chi segue la Via del Graal. Questa gioia nutre le piú intime fibre del suo essere: è il premio della sua dedizione.

Maître Philippe di Lione ci ha insegnato che siamo venuti sulla Terra non per godere, ma per servire Dio e svolgere il compito, sia pure piccolo, che Egli ha assegnato a ciascuno di noi.

 

Alda Gallerano