Nell’aprile del 1927, in una “primavera fredda e ventosa” David Herbert Lawrence – il noto scrittore de Il serpente piumato e L’amante di Lady Chatterley, visitò alcuni dei piú importanti siti archeologici etruschi, in compagnia dell’amico americano Earl Brewster, pittore e cronista mondano. Lawrence era reduce da un lungo viaggio intorno al mondo, in cui aveva visitato l’India, Ceylon, l’Australia, gli Stati Uniti e infine il Messico. Le muschiose rovine dell’Asia, le colossali piramidi e i teocalli sacrificali di Maya e Aztechi lo avevano turbato con i rituali di morte, mentre i luoghi etruschi celebravano la vita: «Una strana calma e una curiosa pace aleggiano intorno ai luoghi etruschi dove sono stato, completamente diverse dall’incantamento di quelli celtici, dall’aspetto leggermente repulsivo di Roma e dall’orribile sensazione che ispirano i luoghi delle grandi piramidi nel Messico, Teotihuacan e Cholula, e Mitla nel sud; o dalla idolatria amabile di quelli di Buddha e Ceylon. C’è una dolce calma in questi grandi tumuli erbosi, con le loro antiche corone di pietra, e già nel viale centrale indugia ancora una certa aria intima e felice. È vero, era un calmo e soleggiato pomeriggio d’aprile e le allodole si levavano dall’erba soffice. …C’era una dolce calma tutto intorno, in quel luogo nascosto, e la sensazione che un’anima dovesse trovarcisi bene». Mistero, poesia e sentimento a servire la vita.
Il cuore pulsante della civiltà etrusca affondava le sue radici nella sacralizzazione dei luoghi in cui l’elemento tellurico primeggiava su ogni altro aspetto della natura. Era il regno di Tages, il genio che uscito dal sottosuolo insegnò a costruire le città, in particolare Tarquinia e Vulci. Era il regno di Mnerva, la Minerva dei Romani, era Veltha, o Voltumna, la divinità tellurica piú venerata, al punto da meritare un santuario esclusivo presso il lago di Bolsena. Luogo non scelto a caso, ma perché le coordinate geotelluriche lo designavano quale referente spirituale e sacro, ricco di valenze ctonie che erano le piú propizie al culto e all’espletazione di riti magici su cui la religione etrusca si basava. Il fiume Marta aveva nel tempo colmato il cratere del vulcano spento creando un lago con al centro due isole.
Da emissario il fiume scorreva fino al Tirreno, ricco di pagliuzze di un oro tenero, adatto alla fusione soft e alla lavorazione di un’oreficeria quanto mai preziosa nella resa di motivi a intrecci magici. Il Marta tuttora scorre fino alla Riva degli Etruschi, ma le pagliuzze d’oro si sono rarefatte. Un altro oro però può soddisfare i cercatori di ricchezze spirituali. Nel duomo di Bolsena si verificò il miracolo dell’ostia sanguinante, che Raffaello ha cosí abilmente, e ancor piú sentitamente, dipinto.
E allora, cosa aspettiamo, noi minacciati da ottani e patogeni, logorati da una stressante vita ultramoderna, ad andare in Etruria, terra di un popolo saggio e tollerante, un popolo che sapeva vivere in allegria persino nell’oltretomba! Noi, membri di un popolo che si maschera e si nasconde, illudendosi cosí di evitare la morte da virus, finendo invece col perdere la propria anima, mancando d’aria, luce e parole.
Andiamo a Cerveteri, a Tarquinia, a Vulci, entriamo nei tumuli dipinti, dove non si piange ma si ride, si raccontano storie, si banchetta, dove la vita irrompe da ogni varco di pietra, e la voce del vento modula inni alla vita. Sono piú vive le figure affrescate dei morti che affollano, giulivi, le pareti e le volte degli ipogei, di noi tappati nei nostri appartamenti di città, codificati, tamponati, minacciati e impauriti da un virus brevettato.
Elideo Tolliani