Il marxismo ha conquistato il mondo?

Testimonianze

Il marxismo ha conquistato il mondo?

Una inascoltata intuizione di Alexander Solzenicyn

(Taiwan 23 Ottobre 1982)

 

Aleksandr Solzenicyn

Aleksandr Solzenicyn

Una premessa è forse necessaria. Alexander Solzenicyn non era un uomo politico; non fu anticomunista né il prosecutore ideale delle Armate Bianche zariste, né un vlassoviano, per quan­to abbia riabilitato la memoria di Andrej Vlasov (1901-1946), né un fascista russo come gli occidentali hanno stabilito in modo ormai definitivo, con il loro metodo assolutista e dogmatico quan­to privo di conoscenza adeguata del fenomeno. Non comprendiamo come sia stato possibile svalutare l’opera esistenziale e letteraria di un simile pensatore.

Solzenicyn probabilmente errò nel definire apertamente, ai suoi tempi, la Spagna falangista e il Cile Nazionale del generale Augusto Pinochet (1915-2006) le uniche concrete alternative all’americanismo e al marxismo. Ciò non fu compreso dagli occidentali. Va però precisato che tali dichiarazioni si resero quasi necessarie quando fu ormai scoperto che l’omicidio di Carrero Blanco (1904-1973), anima politica e strategica della Spagna falangista, fu “l’Operaciòn Ogro” del britannico MI6, cosí come i vari tentati omicidi del generale cileno vedevano la regia strategica della DGI cubana coadiuvata dal londinese MI6 e dal “partito” piú progressista interno all’americana CIA.

Solzenicyn non poteva spiegarsi come mai l’Occidente, che aveva instaurato una pacifica coesistenza con l’Unione Sovietica, fornendole assistenza necessaria alla sopravvivenza, s’impela­gasse in traffici di ogni sorta con i terroristi di tutto il mondo per delegittimare e esautorare ogni Governo nazionale. Da tenere in considerazione il fatto che Solzenicyn, a tal riguardo, non sostenne mai la dittatura argentina di Jorge Videla (1925-2013), che fu nei fatti un regime sostenuto attivamente dal Vaticano e dall’Unione Sovietica.

Alexander Solzenicyn e Vladimir Putin

Alexander Solzenicyn e Vladimir Putin

Nei suoi incontri con l’attuale presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, egli sempre ricordò che il primo compito di uno statista della Federazione era salvaguardare l’avito fondamento morale e l’identità spirituale del grande popolo russo, ben prima di ogni tattica geopolitica.

Alexander non poteva essere un semplice anti-comunista, poiché in continuazione egli benedisse i Gulag e tutti coloro che lo avevano per­seguitato nel corso della sua vita: dunque egli meditò a fondo sulla necessità del socialismo reale. Egli percepí, con una logica sottile e invisibile, la terapia della Guarigione morale nel superamento del rancore, della collera, di ogni sentimento di vendetta verso coloro si comportarono da persecutori, cercando di arrivare alla oggettiva visione che la loro essenza non è rappresentata dall’essere stati anche persecutori. Arcipelago GulagLa Gratitudine verso i boia dei Gulag, verso coloro che avevano ucciso senza pietà i suoi fratelli e ripetutamente stuprato le sue sorelle, fu la prassi quotidiana della vita spirituale di Alexander Solzenicyn. Particolarmente toccante quella scena dell’Arcipelago Gulag, in cui un non russo come «l’avido Isaak Bersader …rozzo e putrido ceppo» profittava di una di loro, ricordata con la sola iniziale M., che era come una «regina di fiaba …uno snello pioppo, con la sua soda bellezza russa».

Proprio in base a questo, egli ebbe la sacra missione di testimoniare il dolore e il martirio di milioni e milioni di cristiani ortodossi russi uccisi. Uscito dai Gulag nel 1953, colpito da un tumore ormai in stato avanzato e irreversibile, la sua Volontà, nelle diagnosticate ultime tre settimane di vita, non fu quella di curarsi, ma di trasmettere il testamento spirituale dei Gulag trascrivendo tutto ciò che la memoria osasse riportare di fronte alla coscienza morale. Assolto questo ultimo dovere partí per Tashkent, capoluogo uzbeko allora sovietico, per infine morirvi. Cosí scrive: «Quando arrivai a Tashkent, quell’inverno, ero quasi un cadavere. Per questo vi ero andato: per morire. …Ero simile ai malati che mi circondavano, e nello stesso tempo dissimile da loro: avevo molto meno diritti di loro ed ero forzatamente piú silenzioso di loro. Essi avevano parenti che li venivano a trovare, che piangevano per loro; avevano un’unica preoccupazione e un unico scopo: guarire. Per me invece, guarire era quasi senza scopo: a trentacinque anni, quella primavera, non avevo in tutto il mondo una persona che mi fosse cara. …Tutto questo non poteva essere raccontato ai malati liberi che mi stavano intorno. Se l’avessi raccontato, essi non avrebbero capito» (La mano destra).

Solzenicyn Il primo cerchioLa sua Missione impersonale, di nuovo “vivo”, diviene il servizio assoluto e totale al giovanissimo e potente Arcangelo del popolo russo. «La Russia mi fa pena» (Agosto 1914). «Ecco, tutta la mia vita è qui: la terra patria, ascolto solo il suo dolore, scrivo soltanto di lei, continuo a vivere esclusivamente per lei» (Tra autoritarismo e sfruttamento). Chi abbia familiarità con l’opera del nostro, ricorderà quei passi in cui si rammemora che nei Gulag, antroposofi slavi e cristiani ortodossi meditavano sulla fiamma cristica quale sostanza spirituale immanente nel divenire dell’ecumene panrussa. Non a caso ne Il Primo Cerchio sceglie i simboli del Graal e della Rosacroce per evidenziare la terribile Iniziazione cristiana nei campi di sterminio e di lavoro marxisti. Solzenicyn non considerò mai russo il comunismo sovietico, non cedette mai alla illusoria tentazione di vedere in certe fasi della storia sovietica una strategia nazionale o nazionalista in atto da parte del Cremlino rosso; no, per lui il comunismo fu il piú grande attacco, mai concepito nella storia dell’umanità, sferrato contro un popolo innocente e indifeso. Fu, nella sua nuda essenza rivelata, l’attacco all’identità spirituale cristiana di questo popolo. Questo attacco cosí furioso e violento fu certamente messo in moto dallo stato profondo occidentale. Visione simile avevano gli antroposofi russi costretti all’esilio o alla vita nei Gulag, che vedevano in ciò un piano preciso del “Demone solare” mirante alla distruzione del­l’uomo spirituale slavo.

Ma anche in questo caso solo una cattiva interpretazione potrebbe fare di Solzenicyn un anticomunista o un nemico del Leninismo; nessuno come lui, infatti, ha penetrato a fondo, con cosí grande esercizio di positività e anche di evidente ammirazione, l’intelletto del genio Lenin; nessuno ha scavato cosí a fondo nella strategia leninista come emerge in Lenin a Zurigo, ben tratteggiando quella perfetta concentrazione di volontà e lucido pensiero razionale. Solzenicyn torna anche qui alla radice; il bolscevismo, con la sua tragica grandezza, era un esperimento occidentalistico e anglosassone sulla pelle e sull’anima della “Santa Russia”. Egli vede e intuisce il significato meta­fisico dell’evento. Solo il popolo russo poteva sperimentare tanto male e infine sconfiggerlo per il bene e per la salutare evoluzione dell’intera umanità. Solzenicyn non trascura affatto i punti positivi della filosofia marxista, ma contesta radicalmente la visione economicistica quantitativa e materialistica del lavoro, che ha condotto alla rovina della civiltà e al nichilismo. Il lavoro, in Solzenicyn, è il cuore stesso del nuovo cristianesimo: è al tempo stesso opera sociale e ascesi purificatrice. La segregazione sociale e la schiavitú economica, nello stesso Gulag, non possono colpire l’essenza ontologica e metafisica del lavoro, se la coscienza è desta. Lo Stato del Cristo, nella direzione dell’Arcangelo di popolo russo, per il nostro Alexander poteva svilupparsi soprattutto nella concretizzazione dell’etica di Lavoro, nell’autogoverno economico delle piccole corporazioni e nel pedagogico amore di nazione, senza cedere alla tentazione filetista e ultranazionalista, che è per certi versi caratteristica nella storia russa. Solzenicyn non considerava la Russia eurasiatica ma nemmeno occidentale, se i popoli occidentali e le élite occidentali sembravano aver definitivamente deciso di annichilirsi nella piú pervasiva secolarizzazione e nel piú nichilista materialismo.

Solzenicyn si meravigliava e rattristava quando l’Occidente conteggiava i suoi giorni della memoria. Era giusto celebrarli, certamente. Ma perché gli occidentali ignoravano i circa 25 milioni di martiri cristiani caduti nel ’900 sotto i colpi di una ideologia globale anticristiana? Dove era l’onestà storica in Occidente? Dove i buoni e dove i cattivi? Solzenicyn vedeva perciò nel fondo dell’essere la forza di conoscenza che poteva scaturire dal sacrificio personale e dalla rinuncia, non il moralismo umanitario. «Soltanto mediante il sacrificio personale è possibile riformare il mondo che ci circonda (Lettera al Padre Sergio Jeludkov). L’intera ideologia occidentale era solo una mezza verità per lui. Riteneva perciò la mezza verità potenzialmente piú pericolosa dell’errore. Non esistendo altro che Logos o Tenebra.

Chiang Kai Shek

Chiang Kai Shek

Questa premessa è stata necessaria per introdurre la parte successiva. In un suo discorso a Taiwan, nell’ottobre 1982, discorso mai tradotto in lingua italiana e mai considerato nemmeno dai critici, Solzenicyn previde infatti che il Comunismo avrebbe conquistato ideologicamente e politicamente il mondo, declinando il marxismo su un piano tecnocratico e scientifico, abbandonando dagli anni Duemila la dogmatica retorica classista di stile sovietico. Aveva infatti detto, in vari casi e in altri contesti, ben prima dell’89, che crollata l’Urss non sarebbe affatto morto l’élitismo ideologico marxista. Le élite occidentali, finanziarie o intellettuali, erano state a suo avviso già in buona parte dei casi ideologicamente e spiritualmente conquistate dal­l’imperialismo rosso, che non si identificava quindi con la forma statale politica sovietica, come si può leggere nella famosa Lettera ai capi dell’Urss. Una nuova forma di marxismo, piú formalmente americanizzata e con una politica economica riformistica sul modello di quella leninista della primavera 1921, con zone speciali di mercato aperte sul piano mondiale, avrebbe a suo avviso sfaldato la società civile mondiale. In una intervista a «Le Monde» del 29 agosto 1973, egli identificò la rivoluzione mondiale marxista con la categoria spirituale di “cinesizzazione”; ciò, anche alla luce della convinta ammirazione verso l’esperimento nazionale e confuciano della Taiwan di Chiang Kai Shek (1887-1975), non significava affatto ostilità verso lo spirito cinese, ma probabilmente l’incapacità di una cultura e di popoli non profondamente cristiani, differenti in ciò da quello russo, di poter sconfiggere animicamente la dialettica materialista. Egli immaginava, probabilmente, che anche in questo caso l’unica concreta barriera sarebbe stata, sarà?… il sano ed equilibrato Patriottismo grande-russo. Al riguardo, scrisse uno straordinario articolo dal titolo: “Pentimento e abnegazione come categoria della vita nazionale” (Voci da sotto le macerie). 

Egli riteneva, infatti, come piú volte specificò nel corso degli anni ’90, che furono i patrioti russi del samizdat e i prigionieri di coscienza, né Reagan (1911-2004) né il Pontefice Giovanni Paolo II (1920-2005) né i mujaheddin afghani, a far crollare, dopo decenni di indomita Resistenza, l’atei­stica Unione Sovietica. Negli anni ’80, in piú casi, USA e URSS si unirono per demonizzare, a reti mondiali unificate, “il nazionalista grande russo” Alexander Solzenicyn. «Due forze mondiali contemporaneamente per schiacciare me!!! Proprio di questo si tratta: fra due macine. Macinare fino alla fine» (Ljudmila Saraksina, Solzenicyn, un destino segnato).

Discorso di Solzenicyn a Taipei

Discorso di Solzenicyn a Taipei

Nel suo discorso a Taipei, Solzenicyn additava tra l’altro in Taiwan un grande esempio di civilizzazione moderna e progressiva, non perché fosse anticomunista, ma perché aveva fondato sul solo coraggio morale e spirituale, ben oltre quello politico, la propria strategia. Lo statista di Taiwan, Chiang Kai Shek, fu abbandonato e tradito dall’Occidente anglosassone a vantaggio dei marxisti, sottolineava con puntualità storica Alexander, come decenni prima medesima sorte toccò al generale Bianco Vrangel (1878-1928). Come vediamo oggi stesso, Taiwan, non riconosciuta come Stato sovrano né dagli Usa né dall’Unione Europea in omaggio alla Cina comunista, considerata globalmente “Stato canaglia” e totalmente isolata, ha però ancora una volta sorpreso positivamente il mondo, sconfiggendo su tutta la linea il Covid-19 senza minimamente aderire al protocollo di Beijing e dell’OMS.

Un protocollo basato sulla prassi del totalitarismo sanitario, su una sorta di “nuovo medioevo” che si è però stranamente affermato soprattutto nei cosiddetti “Paesi liberi”. Con ogni certezza, Solzenicyn, che fu peraltro un sincero ammiratore della Russia Nazionale ortodossa e postsovietica, avrebbe contestato la scelta del Patriarcato di Mosca di quietamente sottomettersi, in questo caso, al lockdown imposto dallo stesso Cremlino.

Il capitalismo occidentale, ecologista, egualitario, globalista, dirittoumanitarista, cattosocialista, risultato della ideologia neo-marxista, sta cosí portando al trionfo dell’élite marxista e della dittatura sanitaria nel mondo intero? Il nichilismo pratico d’Occidente diviene cosí un veicolo del materialismo scientista marxista? In effetti, una élite materialista marxista non è mai stata cosí potente nella storia, come oggi; questa, a differenza delle mezze verità, sembra avanzare con un errore compiuto e ben realizzato. È presto per giudicare definitivamente, ma i sintomi sembrano esservi. E sembra non essere al centro tanto il clash of civilization (Samuel Hungtington) ma il marxismo angloasiatico con la sua strategia di conquista del mondo. Cosa avrebbe detto Solzenicyn se fosse vissuto in questi tempi?

Per quanto sia difficile dare una simile risposta, sappiamo però che l’Evento golgotiano morte-resurrezione è la sostanza della sua visione del mondo. Il sangue del Golgota, devotamente raccolto in dimensione cardiaca individuale ed anche in una comunitaria, nella leggendaria Città di Kitez, avrebbe potuto per il nostro Alexander fermare l’abissale deriva della sovversione materialista mondiale: niente altro che questo. In primo luogo, avrebbe perciò risposto comeVorotyntsev di Agosto 14: «Tutti noi, ufficiali dell’esercito russo, rispondiamo di fronte alla storia russa».

Inoltre, non solo Il Primo Cerchio, forse il piú filosofico e profondo dei suoi racconti, è tutto incentrato sul cristianesimo come fatto mistico e sull’evento della Resurrezione, lo stesso si può dire di molte altre sue opere. Nel ricordo dell’Arcipelago, nell’esperienza dei campi, laddove i piú consapevoli dei detenuti avevano la certezza di attraversare un’alta prova spirituale (Arcipelago, IV, 1), l’unione spirituale e la fraternità sul campo si decidevano in base alla dedizione morale e alla volontà conoscitiva verso il risorto Logos.

 

Gemma Rosaria Arlana