Fulvio Di Lieto, ovvero della Poesia

PoEtica

Fulvio Di Lieto, ovvero della Poesia

Nel mondo antico ed antichissimo, quando l’essere umano era ancora aperto al mondo degli Dèi, al loro linguaggio, e nella sua appassionata nostalgia per esso egli era ancora memore della sua Patria originaria, il bardo, l’aedo, il poeta era una figura venerata, nonché tenuta nella dovuta considerazione. Il poetare era una funzione sacrale, aveva una sua arcana magia, in quanto era capace di suscitare nelle anime di chi li ascoltava il risuonare di un sentire risvegliatore della memoria celeste. Non per niente, tali poeti-cantori, che si accompagnavano con la cetra, erano chiamati rapsòdi, e rapsodía il loro poetante cantare.

 

Nell’Ellade, le Deità a tale sacrale attività preposte – e sempre venivano invocate al principio del loro poetante canto – erano Calliope, la Musa della poesia epica, Euterpe, la musa della poesia lirica, Polimnia, la Musa degli inni, Melpomene, la Musa del canto. Esse erano le figlie di Zeus e di Mnemosine, la Memoria, ed una seducente etimologia connette il significato del loro nome Μοῦσαι, Moúsai, alla radice “Mnen-“ da cui deriva Mnemosine, alla radice μεν-μαν, con il significato di “coloro che meditano, che creano con la fantasia”.

Fulvio a Maiori 2019

 

Fulvio Di Lieto, uomo buono e saggio, colto e pur dall’animo semplice, umile nel piú nobile senso del termine, era poeta nel senso originario. Il suo poetare aveva qualcosa di “orfico”: evocava le arcane risonanze di un mondo per molti – per troppi – oggi scomparso. Coi suoi versi, scaturenti da un’anima pensosa e delicata, Fulvio Di Lieto aiutava a sottrarsi alla banalità di un disanimato mondo prosaico per ritrovare il sacrale anelito poetico, che dilata il respiro dell’anima asfittica, schiacciata dal peso di un apparire illusorio, svuotato di senso e di anima, eppure pericolosamente potente. Oggi l’essere umano ha bisogno della poesia come di un farmaco risanante ferite e cicatrici dell’anima.

 

Ma Fulvio Di Lieto era poeta non solo nel senso ellenico, ma anche in quello romano e “virgiliano”. Egli amava Roma e la sua luminosa storia. Ispirato da Clio, la Musa della storia, ne coltivava lo studio e ne traeva ispirazione per le sue descrizioni da lui realizzate in articoli, che erano sempre “poetici” pur essendo scritti in prosa.

 

Un po’ come il nostro Virgilio, Fulvio Di Lieto aveva un aspetto “orfico” e “georgico” nel suo poetare, nascente dalla calma, meditante contemplazione della Natura, e al contempo un aspetto “epico” nel suo serio, quasi austero studiare la storia di Roma, della quale egli presentiva un segreto mistero. Alcune pagine di suoi articoli mi sorpresero, svelandomi alcune verità che mi erano sino allora sfuggite.

 

L’Arte di Fulvio Di Lieto è nutrimento per la memoria dell’anima anelante ad una vera vita: per gradi sempre piú interiori rammemora, ricorda e rimembra in maniera tale che l’anima venga aiutata nella “anamnesi”, nel risvegliare – more platonico – il ricordo di quella divina Patria Celeste, dalla quale discendemmo, dopo aver bevuta la letale acqua del Lete, nella tombale prigione corporea, come la chiamavano Orfici, Pitagorici, e Platonici del mondo antico e meno antico.

 

Sono grato al Destino per aver conosciuto Fulvio Di Lieto, e felice di averlo avuto come amico, e attraverso lui esser potuto diventare ancora piú amico delle Muse elleniche, e delle loro sorelle, le romane Camene.

 

 

Hugo de’ Paganis