Un Consideratore sulla Via di Michele

Considerazioni

 

Un Consideratore sulla Via di Michele

Ho scoperto di essere un consideratore. Non ne ero al corrente, non ne avevo la minima idea, ma è cosí, almeno sembra cosí. A dirla tutta, non sapevo neanche cosa fosse un “consideratore”, ora però credo di averlo capito, almeno per quel tanto che mi permette di parlarne.

 

Cos’è dunque un “consideratore”? Al momento mi era venuto da pensare ad una specie di banco frigo o qualcosa del genere; trattasi invece di tutt’altro; riguarda il pensare, il riflettere, il far funzionare mente e coscienza in un certo modo per ricavare congetture nuove, riordinare quelle vecchie e vedere se i rapporti concettuali fin qui installati funzionano bene. Già, perché non basta costruire dei processi riflessivi; si deve anche constatare, alla luce dei fatti, la tenuta di tali processi e di come impattino le trame delle nostre vicissitudini quotidiane, per essere quindi pronti alle modifiche, alle varianti e a tutti quegli aggiustamenti che si rendessero necessari all’integrità dei costrutti.

 

Fare i conti senza l'oste

 

L’antica prudenza suggerisce di “non fare i conti senza l’oste”; in questo caso, assume un’importanza fondamentale. Esemplifico, per spiegare meglio: il presidente Draghi, nella sua recente visita in Algeria, ha concluso un accordo per una fornitura all’Italia di quattro miliardi di tonnellate di gas destinate ad uso industriale e domestico. Bene: ho ascoltato i notiziari sia alla radio che alla Tv e in alcuni casi i quattro miliardi erano di gas, in altri erano di euro; cioè il quantitativo del prodotto veniva confuso col suo possibile valore pecuniario, tra l’altro del tutto ipotetico.

 

Non sono un fanatico dell’esattezza, ma non posso fare a meno di considerare l’imprecisione dei relata refero in questione, se non come una patologia di autosufficienza. Posso digerire i cavoli, talvolta mangio le patate, ma in settantanove anni di vita non mi è mai capitato di scambiare un ortaggio con l’altro, neppure ad occhi chiusi. Forse sono un’eccezione. O forse non sono un giornalista.

 

Dove sta di casa l’oste del vecchio proverbio? Nella umana e insopprimibile esigenza di comprendere le cose quando vengono spiegate bene, con chiarezza, con precisione e con un senso di amorevole lealtà per quanti ascoltano, leggono, desiderano sapere: questo voglio dire; mi pare una cosa del tutto normale, ma invece, rovistando l’ambito degli svarioni piú frequentati, devo ammettere che la mia esigenza è una merce rara, una chicca da collezionista.

 

Chi si sia un pochino appassionato al funzionamento del pensiero umano, non sosterrà mai che le verità debbano per forza presentarsi in modo semplice, anche se questo succede piú di quanto non si creda; ma confermerà senz’altro che le bugie, le truffe e tutte le misturanze confonditrici che scorrazzano impunite nel mondo, per venire smascherate richiedono sempre indagini lunghe, approfondite, complicate e non di rado finiscono con la beffa di rivelarsi inconcludenti. Diremo piuttosto che il carattere della verità è schietto, disadorno ed efficace; mentre tutto il resto è una gara di presunti autoavvitamenti di pensiero, a volte farneticanti, a volte pomposi, quasi sempre autoreferenziali.

 

E guarda caso, questo carattere della verità non è mai atteso quanto si dovrebbe. Accade esattamente il contrario: nel divulgare le comunicazioni, da un lato si buttano nel calderone notizie raffazzonate, messe assieme alla bell’e meglio, prive di riscontro, di correzione, se non addirittura improntate a riserve mentali, subdolamente indirizzate a scopi “diversamente onesti”; dall’altra, vengono accolte con una diffidenza, una trascuratezza e una sbrigatività, pari all’indolenza e all’apatia di anime oramai impaniate nelle reti dei media, semiparalizzate dall’incantesimo telecomunicativo, capaci soltanto di reagire a suon di frenetici scambi di messaggini social-clubizzati.

 

Viene da chiedersi: chi influenza gli influencer? Oltre al Corona Virus 19 e derivati, vi è un altro tipo di contagio in corso? Un Cellular Virus 3.000 che cattura tutti, astuti e sempliciotti, agguerriti e inermizzati, costringendoli ogni giorno a lavorare da schiavetti su nano-tastiere e micro-display, recando nei volti basiti e negli sguardi sperduti i segni caratteristici di un new-disease covante sotto traccia?

 

«Ah, ma allora, se cosí ti credi – mi rinfacciano – sei un cavilloso contro-opinionista!».

 

Paesaggio

 

No, semplicemente in questi casi sono un “disaccordista”; le lisciatine di pelo o di contropelo sono esibizioni di personalismi delocalizzati, messe in atto per riem­pire la scena; non contengono mai nulla di consistente; somi­gliano agli arzigogoli rococò di certe figure di amorini nei quadri d’arte d’un tempo, laddove l’artista si sentiva in obbligo d’indorare la sedicente sacralità dell’opera indulgendo ad un sentimentalismo di platea, senza che ci fosse la necessità di farlo. Privo di quegli accorgimenti, il quadro sarebbe apparso probabilmente un po’ vuoto (secondo me, avrebbe figurato pure meglio), ma comprendo l’impossibilità e soprattutto l’inutilità di forzare la mano dell’artista, specie se presunto.

 

Nel caso del gas algerino, credo che l’incauto lettore (o ascoltatore) possa aver ricevuto una data sensazione di fronte ad un acquisto di gas per quattro miliardi di euro e una del tutto diversa ove i quattro miliardi consistano in tonnellate di merce di cui non si rivela il costo. Nel primo caso la cifra è talmente abbagliante che esaurisce di colpo l’attenzione e spegne ogni voglia d’indagare ulteriormente; nel secondo, la quantità è definita, ma lascia però grosse zone d’ombra in cui si addensano interrogativi.

 

«Va bene! Allora sei un riflessivo di tipo critico!» continuano a voler definire la figura del consideratore, stavolta in prospettiva retorica. Ma no, non va bene neppure cosí, perché un consideratore non ha proprio nulla a che fare con la retorica. La retorica è oramai merce inflazionata; sta alla facoltà considerativa come il pietismo sta alla compassione. Non che sia una cosa da buttare, ma come tutti i sentimenti recitati, rimane incollato ai suoi limiti.

 

Anche se a volte non ci riesce, un consideratore avrebbe piacere di dire sempre pane al pane e vino al vino, ma naturalmente quando lo fa deve tener conto pure dei celiaci e degli astemi, il cui metabolismo richiede un trattamento adeguato. Necessita pertanto trovare un percorso di parole che faccia capire le cose senza suscitare la contrarietà del lettore.

 

Pure questa delicatezza deve però venir usata cum grano salis, altrimenti si rischia di sollevare ondate di imprecisione che, anziché calmare il pubblico, lo disgustano al punto che manda a quel paese notiziari e statistiche, e finisce per disinteressarsene. Lo dico en passant ma una tale leggerezza sta avvenendo per esempio nella comunicazione giornaliera dei decessi a seguito del virus.

 

In certi giorni, vengono riportati numeri piuttosto bassi, e allora sono accompagnati da un tono sostenuto, quasi ottimistico; poi all’indomani i numeri s’impennano, e come scusante ci viene detto che alcune regioni non hanno inviato i dati ai centri statistici nei termini utili, e quindi vengono recuperati di seguito in aggiunta a quelli del giorno corrente. Se il Ministero della Sanità pensa che tale comportamento abbia una sua funzione di utilità e sia all’altezza del compito istituzionale, dovrebbe apporre una piccola modifica al proprio nome e chiamarsi Mistero della Sanità.

 

Ormai sappiamo tutti che durante i week end e negli altri giorni non lavorativi, mezzo paese si ferma, con la conseguenza che le cifre componenti la statistica la rendono tardiva e bugiarda. Eppure basterebbe che la diffusione del dato nazionale sui danni provocati dalla pandemia fosse edita settimanalmente, e l’attuale disordine informativo sarebbe evitato.

 

In modo analogo (anche se qui l’esposizione dei dati ha un’importanza relativa) ci viene fornito dalle previsioni meteo. In questo clima torrido in cui l’anticiclone africano sembra aver raggiunto la sua performance, quante volte abbiamo sentito dire dai detti esperti che «il picco è previsto per domani, o fra due giorni, o (bontà loro) nei prossimi giorni». Sono tre mesi che andiamo avanti cosí. Mi pare chiaro che o non si sa un bel nulla sull’andamento del clima, e si vuol far passare per scienza probabilistica ciò che è pura incapacità di previsione, oppure si cerca di addolcire la pillola, infondendo vaghe speranze, nel tentativo poco edificante di evitare il panico tra le persone che con grande fatica sopportano la calura estiva.

 

«Beh allora, visto che ti sei denominato da solo, di’ tu cos’è un “consideratore”!».

 

Va bene, lo farò. Rifiuto però a priori il metodo della definizione standardizzata; ogni volta che qualcuno ci ha provato, i risultati nel migliore dei casi (sfogo eruditivo a parte) hanno lasciato il tempo di prima.

 

Mi ricorda da vicino la storia di quei popoli che per annientare una dittatura si sono sacrificati in una guerra civile terribile e dolorosa, per trovarsi alla fine con una nuova forma di dittatura, anche se riciclata da volti e slogan diversi. Non è cosa d’ogni giorno, ma tra le popolazioni piú ingenue accade pure questo.

 

Un Consideratore (adesso ci metto la maiuscola) anche da poco svezzato, sa di rivolgersi ad un pubblico piú o meno vasto (ma qui i numeri contano poco) formato non soltanto da celiaci o alcolisti pentiti, ma anche da una quantità sorprendente di persone che nell’osservare un oggetto desiderato esposto nelle vetrine di un negozio, entrano e lo acquistano soltanto se il prezzo, anziché essere in cifra tonda, mettiamo euro 100, viene reso piú accattivante da un cartellino che lo pone in vendita a euro 99,90.

 

Questo è già un problema. Ti accorgi di avere a che fare con una umanità che si avvale di una impo­stazione interiore (parlo sempre in termini conoscitivi) sbilenca e approssimativa, ritenuta tuttavia esperta, razionale e in molti casi addirittura furba.

 

Oppure ci si lascia attrarre dal perfido gioco del “paghi uno e prendi due”, là dove i marpioni del­l’offerta hanno preventivamente raddoppiato il prezzo del singolo articolo, facendolo poi passare per uno sconto straordinario, non di rado riservato a brevissimi lassi di tempo (entro la prossima settimana; cosa che potrebbe protrarsi per anni senza che nessuno sollevi un’obiezione) oppure dedicato a un target ristretto di compratori (offerta esclusiva per primi dieci che telefoneranno al numero in sovrimpressione).

 

Slot machine

 

Sicuramente qualcuno crederà di aver avuto una convenienza. Sentirsi acclamare al telefono: «Com­plimenti! Lei ha vinto il Primo Premio!» è un’emozione che può rivelarsi fatale ma alla quale il popolo dei rerum novarum cupidus non sa né vuol rinunciare.

 

Senza questa psicolabilità fluttuante, cosí compensativa, cosí pervicace­mente materialistica, l’epoca delle slot machine e dei video game sarebbe durata molto meno. Secondo me, è una bella controprova, specie per chi non abbia mai colto il nesso di dipendenza tra il lento, inesorabile declino delle forze interiori e l’offerta di allettamenti mondani tecnologicamente praticabili a partire dai piú sprovveduti.

 

Tutto ciò, il mondo della politica, dell’alta finanza e la macchina stessa del global trading l’hanno capito da un pezzo e ci marciano alla grande. Gli esponenti del culto e gli operatori religiosi c’erano arrivati anche prima, ma nei tempi che furono non avevano la concorrenza di adesso. Forse per la delicatezza degli argomenti di fondo, hanno preferito la via soft: non esa­gerare mai con le pecorelle e cercare se possibile (ovvero: inutilmente) di non deluderle troppo; scrupolo invece del tutto ignoto all’industria della finzione orchestrata e dei loro capibanda, ove vige il principio di tirare comunque la corda finché non si spacca; tanto le corde costano niente.

 

Queste cose ci sono, esistono ancora. Non me le sto inventando. Credo che perfino le allodole guardandosi nei loro proverbiali specchietti, scuotano il capino mestamente, preoccupate per questa umanità che si allarga, si allarga e non cresce mai.

 

Dicono che il bisogno aguzzi l’ingegno; è vero, ma non finisce qui: il passo successivo è la brama che diventa genio illusionistico, istrionismo pubblicitario, insistenzialismo propagandistico, una torta multilevel tanto per i pataccari della menzogna rusticana quanto per i professionisti della truffa organizzata.

 

Ci raccontano di aver creato una centrale per frenare l’invadenza del wildmarketing telefonico; basterà fornire il proprio numero di cellulare o di rete fissa, e – dicono – non subiremo ulteriori angherie in tal senso. È un peccato che questo provvedimento valga solamente per le agenzie telefoniche del territorio nazionale. Nessuno ha mai sentito parlare dei collegamenti all’estero tra call center, per i quali diventa un gioco da ragazzi scavalcare le regole dei confini improvvisati alla loro portata operativa?

 

Ho la netta sensazione che creare nuove leggi e regolamenti, nel tentativo di imporre un ordine in format etico-sociale, là dove ogni ideale di etica e di socialità si è irrimediabilmente svaporato, sia un’assurdità che rasenta la provocazione. In qualità di cittadino perché dovrei fidarmi in apparati titanici e mostruosi, che vedono in me unicamente un consumatore di beni e servizi?

 

Solo i tacchini americani possono starsene insensibili all’avvicinarsi del 4 luglio; la loro anima di gruppo si concede al rituale appuntamento con lo sterminio ciclico senza batter becco; ma per gli esseri umani del vecchio continente, che di volta in volta applicano valutazioni diverse su casi analoghi, la proposta suonerebbe trucida e indecente. Almeno cosí riferirebbero i quotidiani, dopo il compimento dell’evento efferato.

 

«E perché no, un “considerazionista”, ossia uno che svolge considerazioni? Il termine è chiaro!». Eh sí, ma qui entriamo nel grande reparto dei suffissi: ci sono quelli che finiscono in -ista e ci sono quelli che finiscono in –tore. Ci sarà un motivo?

 

Una volta fu chiesto ad un pezzo grosso della politica (etichettato dai media come “dottor sottile” o qualcosa del genere) se si ritenesse un riformista; al che un po’ seccato, rispose: «No. Semmai io sono un riformatore!». E cosí abbiamo capito tutti che nel competere col -tore, l’-ista ci rimette sempre.

 

Mi pare d’aver dato risposta a parecchie domande esterne e quindi tolgo la seduta. Assumo perciò a tutti gli effetti la qualifica di “Consideratore” e in tal senso svolgerò d’ora in poi l’attività pertinente.

 

A qualcuno potrebbe essere tuttavia sfuggito, che il titolo di questo articolo, è: “Un Consideratore sulla Via di Michele”. Bisognerà allora tornare al gioco degli interrogativi (che è un gioco poco appassionante, ma lo diventa subito se la domanda è posta dalla stessa persona chiamata a rispondere).

 

Il problema è che non tutti sanno in cosa consista la Via di Michele. Sono convinto che anche alcuni cultori dell’Antroposofia non lo sappiano, ma tuttavia tendono a comportarsi come se lo sapessero; è cosa veniale; interrogati in proposito, sgusciano via con la vecchia storiella che «di certe cose non si può parlare cosí su due piedi, ma ci deve essere un incontro preparato ad hoc e allestito in un ambiente spiritualmente adatto».

 

Arild Rosenkranz «Michael»

Arild Rosenkranz «Michael»

 

In qualità di Consideratore io non sono tenuto a sapere sulla “Via di Michele” piú di quanto sappia sullo Scettro di Selinunte; però il tema mi affascina, mi allieta, lo sento potentemente attrattivo, e quindi non vedo perché non possa cimentarmi su questo argomento, datosi che stiamo andando verso un rendez vous cosmico di rilievo, rappresentato dal­l’equinozio d’autunno. E tra la notte di san Lorenzo e il 29 del mese di settembre, Rudolf Steiner ci ha piú volte informati che la forza di Michele esplica tutto il suo potere.

 

Non parlerò qui dell’Entità Michele. Per due ragioni: la prima è che non mi sento autorizzato dalla mia coscienza, e la seconda consiste nel fatto che chiunque desideri informazioni dettagliate, le troverà copiose nelle letture di testi e conferenze, principalmente di Rudolf Steiner, e poi anche di altri discepoli dell’Antroposofia, che hanno saputo trattare degnamente il tema. In qualità di Consideratore desidero soltanto esporre il modo in cui, percorrendo la Via di Michele, si possa usare la propria facoltà pensante secondo un orientamento di tipo dinamico-equilibrativo che può condurre a dei risultati particolari, i quali hanno tutti la prerogativa di essere radicati nel mondo e contemporaneamente di travalicare la natura ordinaria di questo, nella pura Luce dello Spirito.

 

Ciò che ho appena detto potrà sembrare altisonante, ma basta pensarci un momento: è evidente che l’uomo è destinato ad un tale scopo: non arrestarsi all’apparire, ma superarlo con il profondo riconoscimento di un retroscena spirituale, senza il quale questo mondo non solo non apparirebbe ma neppure si reggerebbe.

 

La figura di Michele e la Sua potente azione cosmica mediante il ferrum sidereum contro le esalazioni sulfuree che si levano dalla Terra, in particolare verso la fine dell’estate, possono rendere comprensibile questa iniziale esperienza, che trascende quella normale, senza sperdersi in un infinito argomentare para­scientifico da una parte e senza volare nel medesimo infinito, questa volta immaginativo, dall’altra, in quanto mancherebbe un posto concreto su cui poggiare.

 

Il drago e San Michele

 

La teoricità astratta e l’onirismo metafisico esulano entrambi dal mondo di Michele. L’impresa è la vittoria sul Drago; questo è l’essenziale; non è solo la lotta contro una natura capovolta, ma è anzitutto un’impresa di redenzione animica; in pratica è un aiuto del Mondo Spirituale per l’essere umano che dopo l’immersione nei fasti vitalizzanti della primavera e dell’estate, si accorge di venir abbandonato dalle forze della stessa natura e viene cosí a trovarsi in un evidente pericolo evolutivo, nella misura in cui la sua anima – da sola – non trova piú in sé l’entusiasmo delle forze gene­rose che l’avevano accompagnata nei mesi precedenti.

 

Michele è quindi l’Arcangelo che provvede a tutto ciò, e la sua lotta, pur svolgendosi nel Mondo dello Spirito, crea, nelle ricorrenze spazio-temporali del mondo umano, le giuste tensioni, rinnova gli equilibri spezzati, resti­tuisce quanto la natura sembra averci sottratto, grazie al dono della Sua Opera, che infonde nei cuori la capacità di attendere ancora una volta l’inizio del ciclo astronomico a venire, con determinazione e fierezza.

 

Tutto nasce, vive e muore all’unico proposito di rinascere; ma mentre nella natura tale percorso si svolge ad un livello che il nostro essere psico­fisico può osservare senza comprendere a fondo, nella nostra anima la comprensione superiore dell’evento, anche a livello immaginativo (se cor­rettamente supportato) diviene lo scopo fondamentale che i contrapposti di Vita e Morte, di Ascesi e Perdizione, di Michele Arcangelo e del Drago, simboleggiano da fuori del tempo, riproducendosi ogni volta nella concre­tezza della dimensione umano-terrestre.

 

Un Consideratore che percorra la via di Michele, deve tener conto d’essere chiamato a unificare molte cose difformi, le quali, lasciate a se stesse, rimarrebbero contraddittorie e confonditrici; cosa non semplice da realizzare per chi è cresciuto nel convincimento di essere destinato a concepire la saldezza e l’immediatezza del sano positivismo materialistico acquisito mediante un diploma o una laurea o con un sudato impegno di lavoro.

 

Necessita vedere le cose nella luce ma anche nella controluce; necessita non abbandonarsi di fronte alla impossibilità di armonizzare immediatamente il bianco col nero, l’amore con l’odio e il giorno con la notte: non siamo stregoni davanti al magico pentolone che ribolle e amalgama le cose piú incredibili e disparate.

 

Abbiamo tutti una sincera disponibilità della coscienza a farlo, a volerlo fare, per vedere quel che ci può succedere se (sottolineo se) possiamo far stare in equilibrio nella nostra anima forze che normalmente si scontrano e non consentono interventi compositivi.

 

Il che può senz’altro valere per quanto riguarda i fenomeni della natura esterna; anche se abbiamo fatto passi da gigante in termini di prevenzione e di riparazione, ovviamente siamo ancora ben lontani dall’avere in pugno il segreto delle forze in gioco.

 

Abbiamo invece piena facoltà di meditare e contemplare nel nostro intimo la dinamica delle tensioni, brame e passioni che normalmente accompagnano (quando non indirizzano) i nostri passi quotidiani nel mondo. E che, quanto a potenza, non sono da meno di uragani, bufere, tsunami e trombe d’aria.

 

Ciò fatto, una nuova strada si apre avanti a noi; è un percorso capace di collegare direttamente gli eventi della natura esterna paragonandoli per analogia, similitudine e portata a quelli della nostra natura interiore, riconoscendo in essi i simboli, i significati e i caratteri dei primi. Che (guarda la coincidenza) sembrano ora capitare per spingerci a cogliere il rapporto sintetico.

 

A tale proposito ho voluto selezionare tre aspetti sintomatici in fatti recentemente accaduti; fatti che assorbiti solo parzialmente attraverso i sistemi comunicativi vigenti, e privi di un orientamento di fondo da parte dei riceventi, possono destabilizzare, dividere, spaventare i singoli fino a irretire la cosiddetta pub­blica opinione, costringendola, con l’impulso dell’urgenza, a schierarsi su un fronte o sull’opposto, alimen­tando la catena degli “incendi”, sui quali pesano già gli effetti speciali di questa vivace stagione, addebitati a spettri estivi, ostili e perversi, non meglio identificati.

È impossibile non notare i diversi atteggiamenti del mondo politico di fronte alla situazione in essere: i partiti filogovernativi (o che cosí amano definirsi) cercano di mascherare un po’ la gravità del momento; quelli all’opposizione invece rincarano la dose e sostengono che i rivali stiano nascondendo al popolo un’amara verità prossima futura.



La verità

 

1. Dal che sorge il problema; se sei a capo di una comunità e prevedi abbastanza chiaramente imminenti sfaceli, che fai? Neghi tutto e tran­quillizzi la tua gente a volto disteso e con paroline rassicuranti, per evitare le ondate di panico generale che ne deriverebbero nel caso venisse loro svelata la scomoda verità? È una forma di bontà intelli­gente? Un altruismo politichese? Oppure diresti chiaramente come stanno le cose, come presto volgeranno al peggio e come ciascuno debba prepararsi ad una situazione molto dura, fin qui difficilmente immaginabile, al grido di: «Lo Stato sarà con voi, ma intanto cominciate a preparare le zattere»? Come la chiamiamo questa? Amorevole avvedutezza? Avviso di garanzia? Burbera spontaneità?

 

E se poi le cose andassero in tutt’altro modo? Se le previsioni negative si rivelassero frutto di trame ever­sive magari portate avanti dai Servizi Segreti deviati? Magari orchestrate abilmente con manovre e raggiri machiavellici da potenze estere, che influenzano potenze inferiori, le quali poi di ripiego vanno a colpire di sponda le potenziucce di terzo grado, chiacchierone, logorroiche e inconcludenti?

 

Un Consideratore non si propone il compito di giudicare né di far emergere la parte che prevarrà sull’altra; egli si pone piuttosto il compito di tenere in equilibrio nella sua anima entrambe le posizioni, filtrandole con tutti gli annessi e connessi, sapendo che da esse sorgerà qualcosa di buono, se gli uomini incaricati del­l’operazione (numerosissimi, tra l’altro), si comporteranno, dal primo all’ultimo, in modo coerentemente morale, rispettando gli ordini ricevuti dai propri comandi, ove questi siano già stati stabiliti di concerto e fissati per un inequivocabile fine comune.

 

La nave turca Razoni

La nave turca Razoni

 

Perché la questione non è di lana caprina: delle due, l’una: o la nave turca Razoni che porta le 26 tonnellate di grano ucraino, riesce a passare attraverso i corridoi navali previsti e superare l’ispezione delle autorità portuali di Istanbul (ancora tutta da capire), e appro­derà quindi alla sua destinazione sulle coste africane, oppure si tratta solo di una ennesima variazione del gioco del Risiko e coloro che aspettano il pane dovranno aspettare ancora molto.

 

Mi si dirà che è facile accogliere la soluzione dopo la fine del problema, accompagnata con un enfatico «L’avevo detto, io!».

 

Però mi si permetta di dissentire: se vogliamo uscire dal pantano della banalità, il saper restare in silenzio interiore (che è la vera e giusta forma di ascolto, secondo me) senza azzardare pronostici, no, non è assolutamente facile. Prima di tutto perché ci vogliono tempo e pazienza, e in secondo luogo perché tutto il nostro apparato esistenzialistico e mondano ci spinge a decidere, a scegliere, a tuffarci nel mare dei pro e dei contro, riducendo quindi ogni accadimento, anche il piú drammatico, ad una partita mortale che sollevi il putiferio delle tifoserie imbufalite, oramai incapaci di una obiettiva contempla­zione dei fatti. Che, in questi casi, sarebbe l’unico antidoto.

 

Nella condizione sopra specificata è perfettamente inutile parlare di Michele, della Sua missione, e del Suo compito. Sarà già molto distinguerlo tra le varie raffigurazioni esistenti di santi, eroi e vittoriosi su draghi, mostri e affini.


Pseudopapa piumato

 

2. Prendiamo ora in esame il viaggio, da poco concluso, del Santo Padre in Canada. Che la Chiesa si sia fissata l’obiettivo principale di voler manifestare pubblicamente ad una intera nazione una richiesta di perdono, per orrori e tragedie avvenute in passato, che hanno dolorosamente colpito intere famiglie di nativi, non può essere che un gesto generoso e amorevole; onore a chi trova il co­raggio di fare ammenda, rivelando senza mezzi termini, i torti commessi e la responsabilità degli implicati. Un Consideratore sulla via di Michele ne prende atto e partecipa alle doglianze. Ma se l’intero gesto viene edito e pubblicato attraverso il riflettore impietoso dei media, ed il Papa stesso si lascia ritrarre in costume huroni, con tanto di piumaggio al posto della tiara, per il fremito di milioni di fedeli (e anche no) i quali gareggiano a scambiarsi le photos piú colorite dell’intera sceneggiata, allora… beh, allora c’è da stare quanto meno sorpresi ed anche un po’ guardinghi.

 

Fino a ieri, il Vaticano non era mai riuscito a primeggiare in disin­voltura, né il Pontefice in platealità, se non all’interno di qualche discorso all’Angelus, che tuttavia veniva subito accolto e applaudito dalla piazza gremita da una umanità abbondantemente predisposta ad accettare tutto quel che sarebbe potuto piovere su di loro dal pulpito pietrino. Affermo questo perché tutto l’umano deve sempre risultare comprensibile all’umano, e l’atto di pentimento da parte di un’intera ecclesia deve venire giustamente recepito come accordo di intesa e di perdono superiori, tra quanti hanno compiuto il male e quanti lo hanno invece subíto.

 

Tutto ciò – mi creo lo spazio per dirlo – dovrebbe però avvenire in una cornice di seria, dignitosa com­postezza di cui la Chiesa, quando ha voluto, ha saputo disporre. Non che sia una regola da religiosi, anzi, ma le motivazioni, in linea generale, piú sono di natura elevata, piú rifuggono da videocamere e altoparlanti.

 

Creare una trasvolata oceanico-apostolica al fine di sbandierare al mondo le nefaste debolezze d’un tempo, nel tentativo di cancellarle quasi, con il beneplacito dei superstiti e dei loro discendenti; ma soprattutto il voler proporre l’avvenimento a mo’ di kolossal hollywoodiano (uno squinternato mixeraggio tra “Un dollaro d’onore” e “Lacrime napulitane”) desta in un Consideratore sulla Via di Michele, una certa appren­sione. Non lo convince; lo sconcerta.

 

Tuttavia un Consideratore, ancorché mediocre, non perde l’occasione per trovare, pure in una evenienza di questa fatta, la possibilità di mantenere l’equilibrio tra quanto di buono e giusto esiste nell’intento ideale di un progetto e quanto di pericolosamente dubbio e deviante derivi poi dal suo adattamento pratico.


3. Pure nel terzo ed ultimo fatto che desidero qui richiamare (sempre nel tema di scoprire se esiste una sintesi capace di conciliare ad un livello piú elevato due polarità che si siano espresse a livello mondano come contrapposte e irriducibili) abbiamo un qualche cosa che ci si presenta discrepante e bisognoso quindi di un intervento rettificatore, possibilmente da parte nostra. Qui però voglio essere molto chiaro; quello che io chiamo intervento non è assolutamente da confondersi col volersi schierare sulla destra o sulla sinistra e da lí proseguire menando botte da orbi agli uni e agli altri. Questo è già accaduto; succede spesso. Anzi, succede sempre.



Drago

 

Per un Consideratore aderire ad una causa sulla base di un parteg­giamento prescelto per simpatia, o antipatia, o per una qualunque forma di trasporto passionale, privo di un sottostante onesto e paziente lavoro interiore, non è mai una cosa buona e giusta; per un Consideratore sulla Via di Michele è poi un autentico obbrobrio. È lasciarsi fagocitare dalle forze del mondo (in cui puoi leggervi il Drago) e venirne strumen­talizzato attraverso la paralisi della coscienza (azione tipica del Drago).

 

Quando si concede alla forma di prevalere sulla sostanza, le nostre possibilità di scelta, leggenda del “libero arbitrio” compresa, finiscono in fumo (e anche questa è opera del Drago).

 

Dunque: il noto fisico Carlo Rovelli, personalità garbata e di grande sensibilità, scrittore e divulgatore di argomenti d’avanguardia nel campo della fisica teorica, ha pensato bene di farsi filmare e postare su Youtube, per esternare – una volta per tutte – i motivi del suo ateismo.

 

Richiamandosi ad una sua paginetta di appunti, scritta tempo addietro, egli affronta l’esposizione con piglio deciso accompagnato da una contenuta vena polemica, rivolta a quanti lo hanno evidentemente pressato per ottenere da lui un quadro scientifico sull’esistenza o sulla inesistenza di un Dio Creatore. Mette dunque a nudo davanti alle telecamere una sua posizione, molto intima, molto riservata, che non poteva venir illustrata se non con l’incisività della breve relazione.

 

Piglio, incisività e vis polemica che in altre situazioni, piú scientifiche che psicologiche, il prof. Rovelli mai aveva mostrato, Per un istante (il video dura pochi minuti) ho creduto che egli abbia tentato di contro­battere l’importunismo altrui per celare un imbarazzo personale; le parole perentorie dell’autodafé, per quanto misurate e in alcuni punti ricche di umana poesia, non sono bastate a cancellare il senso di un fastidio di fondo, piuttosto tormentoso. Pure in questo caso, per quante frecce si possano accreditare al suo arco (e non sono poche), il modus impiegato non è stato, secondo me, uno dei piú felici, e soprattutto l’ho avvertito lontano, estremamente lontano, da quel prof. Rovelli che avevo conosciuto e che molto spesso mi ha saputo incantare illustrandomi le meravigliose complessità del cosmo.

 

Ma un Consideratore tiene in dovuto conto le disparità salienti, vede l’uomo di scienze, filosofo e poeta, e nel contempo vede pure l’uomo di terra imprigionato, in questo caso, nella sua stizzosa reattività.

 

Quale vantaggio sorge per chi voglia sostenere le contraddizioni del mondo umano, esaminandole nella pura contemplazione e misurandole sul metro della propria esperienza di vita?

 

Il mantenere in equilibrio le opposizioni, di cui sto parlando, sembrerebbe alquanto difficile, roba da acrobati esperti, ma invece non lo è, nel modo piú assoluto. Si tratta di convincere l’anima, e con essa la nostra coscienza, di eseguire l’esercizio che un tempo fu in voga tra gli antinomisti: argomentare a fondo, e col massimo impegno, un determinato tema (per es. “Dobbiamo distruggere Cartagine”) e poi fare altrettanto col suo opposto (“Dobbiamo salvare Cartagine”). Quando l’accusa e la difesa hanno esaurito la loro vis oratoria, rimane un silenzio interiore che è la parte piú importante dell’esercizio.

 

Infatti, di norma, in questo silenzio presto o tardi si affaccia, con la perentoria irruenza dell’urgente, il sentimento di doversi decidere, di doversi schierare a favore o contro. Il Consideratore non lo fa, se ne guarda bene; si astiene da questa pericolosa tentazione e attende con calma olimpica l’avvento della fase successiva. Che si verificherà solo nella misura in cui quella precedente sia stata superata nella condizione descritta. Con la calma interiore, con l’atarassia, con l’imperturbabilità.

 

Sullo sfondo dell’anima potrà allora apparire, avvolta in limpida luminosità, la figura di Michele che vince sul Drago. Il che se da una parte potrebbe non voler dire nulla ed essere scambiata per una bella visione immaginifica come tante, dall’altra potrebbe venir invece colta come il trionfo sull’umana debolezza del “sempre giudicare” e del “sempre intervenire”, quando la capacità di giudizio e ancor piú quella d’inter­vento, sono ancora molto, ma molto distanti dall’orizzonte delle nostre capacità.

 

L’emblema di Colui che vince sul Drago può allora diventare di colpo il valore significativo che si attendeva: la sua evenienza è paragonabile a quanto può manifestarsi nella fase finale dell’esercizio della concentrazione, verso il quale Massimo Scaligero ci ha con grande lucidità e fermezza indirizzato moltissime volte: è il momento in cui può apparire sullo sfondo della nostra operatività intrapresa e tenacemente conse­guita, un simbolo, un riflesso, magari un nulla… e – per noi meditanti – in quel nulla, trovare il nostro Tutto.

 

Michele è il dispensatore dell’intelligenza dell’uomo; cosí ci informa Rudolf Steiner in ripetute comu­nicazioni. Ho trovato tuttavia una notevole difficoltà a concepire il senso di questa evoluzione del pensiero nella fase dell’ascesi spirituale. «Io sono entrato in questo mondo dei sensi portando con me l’eredità del pensare…»: che c’entra qui la figura di Michele? Se l’intelligenza è un retaggio che mi spetta, se è un rapporto diretto tra me e il Creatore, non comprendo l’introduzione di una ulteriore Entità Cosmica che amministri e regoli la facoltà che comunque sento e di fatto adopero come mia. Ma qui devo chiedere venia: l’arroganza intellettuale, quando non è avvertita, si comporta come un diritto acquisito e inalienabile. Si crede addirittura di poterne abusare senza problemi, non comprendendo che, nell’abuso, ogni diritto sparisce.

 

Rudolf Steiner ci ha parlato del retaggio del PENSARE; il pensare non è l’INTELLIGENZA! Il pensare è il pensare. L’intelligenza, semmai, viene dopo. Il pensare sta all’intelligenza come la mobilità corporea sta alla danza classica. La prima esprime una conditio sine qua non, l’altra rappresenta uno dei suoi molteplici ulteriori progressi.

 

Senza il pensare non è possibile svolgere gli esercizi della concentrazione e della meditazione, ma senza l’intelligenza non è possibile intravedere qualcosa oltre il limite di quei risultati, non è possibile distinguere ciò che andrà conservato da ciò che eventualmente dovrà essere rimosso o evitato. E non è nemmeno richiesto, perché se ci ponessimo nell’esercizio con delle aspettative, l’esercizio stesso s’invaliderebbe.

 

Icona Arcangelo Michele

 

Su quel limite si staglia l’Arcangelo Michele, lo rende una Soglia, respinge i pensieri vaganti, accoglie e fa passare quelli che hanno maturato i contenuti per proseguire sulla Via, diretti verso un ulteriore grado di ascesi, di cui per ora non mi pongo il compito di parlare.

 

Il senso finale di questa disamina? Un Consideratore, messo di fronte alla puntigliosa caparbietà con la quale materia e materialisti si schierano ora di qua ora di là, si uniscono per poi tradirsi o separarsi, e magari poi ricon­giungersi, nella una tragica pantomima di una funesta quadriglia, si ferma e guarda, il piú amorevolmente possibile, lo sfacelo che si sta svolgendo sotto i suoi occhi, al quale sa di aver partecipato in un qualche modo, forse anche con l’assenteismo dello spettatore che fino all’ultimo si reputa innocente.

 

Ma medita su questi temi, ci lavora su giorno e notte, senza giudicare, senza assolvere; senza neppure sperare, perché un’anima che spera è in genere con­vinta di far già qualcosa di buono e nell’accontentarsi del buono astratto, si arresta; non va piú avanti.

 

Mentre invece, se cerca di autoeducarsi nello sforzo di sostenere quale visione interiore l’equilibrio delle dinamiche contrastanti, e lo fa con la percezione immediata che qui sí, qui c’è qualcosa di buono, qualcosa che è tutt’altro che astratto, c’è una qualità, c’è una novità che la solleva sopra tutte le circostanze in essere: allora la rievocazione dell’Entità Spirituale di Michele Arcangelo diviene flusso di vita, soffio di forza eterica che scende dalle stelle, alle quali, non so se sia il caso di ricordarlo, il verbo “considerare” è intima­mente collegato.

 

Da quel punto in poi, anche nella tenebra dell’impossibile, si fa strada la luce del probabile. Grazie al valore di Michele che continua a trionfare sul Drago, grazie al riconoscimento che tale vittoria riecheggia in ogni angolo, in ogni pertugio, in ogni recesso dell’anima nostra, quando la rivolgiamo allo Spirito.

 

 

Angelo Lombroni