Gli aspetti della Mâyâ nella scienza moderna

Orientalismo

Gli aspetti della Mâyâ nella scienza moderna

Atomo

 

Il compiacimento con cui non solo il mondo scientifico ma il grande pubblico hanno accolto negli ultimi anni la serie di scoperte nel campo degli studi atomici, il compiacimento con cui tutti gli eventi sono stati collegati alle idee attuali del progresso, della civiltà, della grandezza dell’uomo moderno, necessita di essere un po’ sgonfiato. Le vere vittorie dell’uomo non sono quelle della scienza ma del pensiero.

 

Nessuna scoperta scientifica, per quanto straordinaria possa essere, è di per sé capace di cambiare il rapporto conoscitivo tra l’uomo e il mondo, a meno che l’uomo stesso non agisca con le sue forze interiori su quel rapporto.

 

Il numero indefinito di scoperte sul piano fisico può aumentare la mia conoscenza della fenomenologia del mondo fisico, può anche aumentare il numero dei meccanismi aggiunti ai comfort della mia vita esteriore, ma non cambiano niente nel rapporto spirituale tra me e l’oggetto. Non mi rendono migliore di quello che ero; possono al massimo accrescere il mio patrimonio concettuale nella misura in cui sono capace di esercitare un’attività interiore nell’esperienza.

 

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La moltiplicazione e la complicazione delle percezioni sensoriali non implica un’alterazione qualitativa nel rapporto tra il mondo del pensiero e il mondo delle percezioni. Tale rapporto pone l’attività del pensiero prima di eventi che si sviluppano sullo stesso piano, vale a dire entro la stessa sfera di valori, qualunque siano le differenze nel loro contenuto, siano essi accendisigari o bombe atomiche.

 

Questa è una verità che, forse proprio a causa della sua semplicità, è dimenticata dalla maggior parte delle persone. Ai nostri tempi prevale l’abitudine mentale che ci porta a considerare che il progresso della scienza finirà con il migliorare la natura dell’uomo. Le persone confidano in un futuro in cui l’organizzazione tecnica del mondo materiale offrirà finalmente all’uomo una vita confortevole, pacifica, libera dalle preoccupazioni.

 

In questo modo il progresso scientifico viene confuso con la “conoscenza”. Ma la conoscenza, che consiste nella capacità di far vivere l’essenza interiore – l’anima – delle cose in noi, non può guadagnare niente da una indagine che analizza il mondo fisico ma è quasi sempre priva delle premesse della conoscenza stessa. Cosí crede che troverà “dietro la materia” una “energia” oltre la quale può finalmente trovare lo Spirito, concependo lo Spirito come se fosse questa stessa energia che in forma sottilizzata attende lí, pronta a diventare oggetto di un esperimento di laboratorio. Né questi scienziati si chiedono se la fenomenologia atomistica possa essere qualcosa di “sotto” piuttosto che “oltre” la materia, qualcosa di ancora piú distante dallo spirito della materia stessa.

 

Come abbiamo accennato, la conoscenza limitata di natura razionalistica e materialistica non è liberata da nessuno delle sue limitazioni, per il semplice fatto che le nuove caratteristiche del mondo fisico si dispiegano davanti ad esso. Infatti, se questa conoscenza trae nutrimento dalla quantità dei fenomeni che appartengono a questa categoria, e se si lascia formare da quella quantità, è giusto dire che perderà quel poco della sua già tenue vitalità interiore che ancora ha, e finirà con il nutrirsi di quel mondo di apparenze di cui la vita esteriore è intessuta. E questo può spiegare quell’indebolimento e la perdita di quegli impulsi morali che possono trarre ispirazione e nutrimento solo dalla reale conoscenza.

 

Ora, sarebbe molto salutare per gli uomini se cominciassero ad abituarsi all’idea che questo “appassionato entusiasmo” con cui la scienza scruta le piú piccole particelle di materia fino a scoprire in esse nuovi aspetti scientifici, denoti l’incapacità di penetrare sotto le apparenze della materia stessa; implica legarsi ancora piú strettamente e profondamente alle limitazioni della materia. L’errore non consiste, ovviamente, nell’indagine, né nei suoi innegabili risultati, ma nell’animus con cui viene fatta l’indagine e nel valore ad essa attribuito.

 

Questo pensiero razionalistico crede di aver ora raggiunto un grado di autonomia che gli permette di trovare una spiegazione per tutto, e questa è la radice del male, perché è proprio questa spiegazione che impedisce il contatto intimo con le cose studiate. Questo modo di pensare discorsivo, che si adatta cosí prontamente a tutte le forme di dialettica, è incapace di liberarsi, ad esempio, dalla suggestione della materia. Crede, infatti, che la materia esista di per sé, e non riesce a percepire che ciò che esiste è solo un corpo di percezioni che si trasformano costantemente in accordo con l’aspetto esteriore della realtà.

 

Ora, quando si crede che la materia sia alla base di queste percezioni, noi confondiamo la percezione con ciò che la suscita. E quando della serie delle possibili percezioni accettiamo come reale e “decisivo” per la conoscenza quelle che possono essere espresse da formule matematiche, ovvero quelle relative all’estensione e al movimento, e quando basiamo su di esse una indagine e costruiamo su di esse una scienza, diamo un’apparenza di realtà a qualcosa che non è in sé una realtà; in altre parole, dimentichiamo la reale entità che, tra le sue modificazioni esteriori, conta anche estensione e movimento, e senza la quale quelle qualità sarebbero prive di significato.

 

Quando l’atomo viene indagato, la realtà in sé si perde in una serie di percezioni che non portano gli sperimentatori ad alcuna reale conoscenza del mistero della manifestazione, anche se consentono di riprodurre chimicamente il processo dal quale esse (le percezioni) originano. Nessun passo va oltre i limiti della materia, vale a dire oltre le sue apparenze; in effetti, tale esame non fa che promuovere quella moderna superstizione che vede nella materia un mondo a sé stante, completo in se stesso. Cosí ci allontaniamo ancora di piú dalla realtà, mentre ci illudiamo che ne penetriamo i misteri. Cosí la Māyā guadagna una nuova presa sull’uomo grazie al “progresso” della scienza.

 

Notiamo questo, ovviamente, senza pregiudizio verso i risultati positivi e pratici che l’umanità può ottenere dall’utilizzo dell’energia atomica. Il pensiero non deve essere meno accurato e acuto perché ha un’intima relazione con il mondo delle percezioni sensibili. Infatti, è la mancanza di chiarezza e di spirito scientifico nel pensiero che lo rende ancora cieco riguardo al valore dell’aspetto esteriore dell’“essere” e dell’indagine fisica.

 

È proprio questa assenza di consapevolezza delle proprie reali possibilità che porta il pensiero moderno ad accettare come definitiva una imagine fisica del mondo che è offerta principalmente dalle percezioni sensibili; una imagine che manca di anima solo perché l’anima non è presente come qualcosa di palpabile.

 

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Le “molecole della vita” riprodotte in laboratorio

Le “molecole della vita” riprodotte in laboratorio

 

Abbiamo letto di recente su un noto settimanale un articolo intitolato “Hanno inventato la vita” che ci informano che nei Laboratori dell’Università della California è stato condotto un esperimento che ha reso possibile generare alcune molecole di acido nucleico che dovrebbero dar vita ad altre molecole viventi. L’autore dell’articolo ha evidentemente solo registrato oggettivamente il fatto, e se questo fatto dovesse mostrare, sotto l’apparenza di un esperimento scientifico, una contraddizione radicale, questa non può essere addebitata né a lui né a qualunque scienziato in particolare, ma a una mentalità che prevale in alcuni circoli scientifici, e piú specialmente in quelli dove viene coltivato il materialismo dialettico.

 

Tommaso d'Aquino

Tommaso d’Aquino

 

Oggigiorno, purtroppo, leggiamo spesso libri o articoli di contenuto scientifico, nei quali, sulla base di resoconti di indagini ed esperimenti sempre piú audaci, viene annunciata con molto compiacimento l’imminente possibilità di ricreare la vita in laboratorio. Quando leggiamo tali asserzioni, siamo portati alla conclusione che l’uomo sia stato dotato invano del dono dell’intuizione mentale; che invano la saggezza orientale ci ha dato il Vedanta; che invano Aristotele ha costruito il suo sistema logico e Tommaso d’Aquino ha creato quel sistema di pensiero spirituale che ha illuminato la sua epoca, e invano Hegel ci ha dato quel Vedanta vestito con gli abiti della filosofia moderna che è la sua Scienza della Logica.

 

Esaminiamo da vicino il tema della “forza vitale” e l’ipotesi della possibilità di una sua nuova creazione. Nel caso sopra citato, va subito affermato che la formaldeide e l’acido nucleico sono effettivamente molecole organiche, ma non sono di per sé viventi, ed infatti, nella relazione a cui ci riferiamo, è detto che l’acido nucleico agisce da “ostetrica” della molecola proteica che è la “madre”. Possiamo quindi supporre che si siano formate sostanze organiche – acido nucleico e formaldeide – ma in questo caso non si può parlare di molecole viventi.

 

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A parte questo però, e tornando al problema generale relativo al tentativo di creare la vita – un tentativo che sembra essere al centro dell’indagine scientifica contemporanea – va chiarito che qui si fa confusione tra la forza vitale e il medium nel quale essa si mostra. Usando il linguaggio tantrico diremmo che la Shakti è confusa con la Māyā. E qui è necessaria una finezza di pensiero che liberi il ricercatore dal mito materialistico. “Vita organica”, “forza vitale” sono concetti corrispondenti a realtà non percepibili dai sensi; realtà di cui si può avere solo una conoscenza intuitiva che le vede lavorare entro una veste fisica, ma non di per sé percepibili ai sensi, né tali che possano essere ottenute da altri elementi sensibili.

 

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Dovrebbe essere chiaro che non posso dedurre la sostanza composta dai dati fisicamente percepibili di alcuni elementi; da loro posso solo ottenere la sua manifestazione, che mi dà l’idea corrispondente. È per l’attività interiore del mio pensiero che alcuni fattori sono riconosciuti come “elementi”, e un altro come “un corpo composto da essi”; è la mia capacità pensante che stabilisce un confronto tra loro. Il concetto di elemento e quello di sostanza non ricevono il loro contenuto dalla percezione ma dal pensiero. Ed è cosí con il concetto di “forza vitale”.

 

È proprio la percezione di un corpo dotato di vita che mi trasmette l’idea della forza vitale; ma non potrei mai ottenere quell’idea dalla percezione degli elementi chimici che sono tenuti insieme da quella forza. Tale pretesa nasce dalla confusione tra un concetto che io formo sulla base di un dato percepibile ai sensi, e quello che formo sulla forza di un dato ideale – o intuitivo – che infatti scaturisce dalla percezione sensibile ma che non è in sé percepibile dai sensi.

 

Dato che la “forza vitale” non rientra nell’àmbito dei nostri sensi, cioè non rientra nella sfera della nostra esperienza diretta, come fanno le cose che appartengono al mondo inorganico, non possiamo crearla chimicamente. Supponiamo di non avere la possibilità della percezione fisica dell’acqua, ma di essere in grado di gestire normalmente idrogeno e ossigeno. Se, per catalisi, i due elementi fossero composti, un organo di percezione che raggiunga il livello in cui la forza vitale è una realtà di per sé, sarebbe in grado di riprodurla. Ora, si potrebbe rilevare che il pensiero stesso dovrebbe essere quell’organo, se il pensiero fosse sperimentato di per sé, come una forza attiva, prima che si consolidi in pensieri, vale a dire se il pensiero fosse sperimentato come buddhi; ma è evidente che l’ostacolo maggiore sulla via dello sviluppo di tale possibilità è il pensiero materialistico, il pensiero separato dalle sorgenti della sua forza, e per questo incapace di riconoscere la propria natura interiore, ovvero la propria autonomia.

 

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Razzo

 

Oggi gli scienziati in generale si occupano di energia atomica, di eventi fisici del cosmo, della possibilità del volo interplanetario, come se queste cose fossero il punto culminante della scienza. Ma tutto questo, va detto, è il punto culminante della scienza della vita inorganica, di una scienza che si occupa di ciò che è privo di vita. Una sfera dell’essere molto esigua.

 

Un piú arduo compito per lo sforzo scientifico sarebbe quello di risvegliare nell’uomo la facoltà di percepire la forza vitale. Questo implicherebbe la necessità di sperimentarla e di acquisire una conoscenza del vero segreto dei pianeti e del cosmo, non attraverso i mezzi meccanici dei cosiddetti razzi interplanetari – mezzi che ovviamente devono essere soggetti a limitazioni fisiche – ma attraverso la percezione diretta, comunione essenziale di un ordine affine al lhag thong della tradizione tibetana o al dhyâna della metafisica indú. Cosí come l’uomo possiede ora mediante la vista la percezione diretta della forma e del colore delle cose, cosí un giorno potrà acquisire la percezione diretta della vita, vale a dire una percezione che penetri oltre quelle forme in cui la vita si rende manifesta. Una chiara distinzione deve essere condotta tra i due piani; ed è la missione della Scienza e dello Spirito condurre l’umanità a questa esperienza. Dobbiamo renderci conto che questo tipo di Scienza ci viene dall’Oriente come tradizione, e vive in Occidente come lo spirito che ispira la sua filosofia costruttiva.

 

idee

 

Nell’epoca attuale è il colore, la forma, la temperatura, la vita di un dato corpo che risveglia l’idea di una forza, impercettibile ai sensi, che circola in esso. Non sarà mai possibile estrarre dagli elementi chimici la realtà di una tale forza costruttiva.

 

Gli scienziati che affermano di poter produrre, per mezzo di sostanze e di operazioni fisiche, qualcosa che non può essere afferrato fisicamente, sono nella stessa posizione nella quale sarebbe uno che si sforzasse di produrre un’idea chimicamente (nel caso dell’uomo, l’idea può essere incarnata o meno in un atto; dipende dalla volontà dell’uomo; ma nel caso di una pianta, idea e forma coincidono).

 

Solo chi parte dall’assunto che il pensiero sia un prodotto del cervello fisico – senza mai spiegare con nessuna teoria dell’evoluzione da che cosa il cervello stesso è stato prodotto – è in grado di giungere a conclusioni cosí infantili che, però, essendo state condite con un pizzico di logica scientifica, sono generalmente accettate.

 

Scienziato nucleare

 

Il fatto che gli scienziati pos­sano inventare macchine, comporre e scomporre l’atomo, scoprire nuovi dispositivi, non significa che siano dotati di saggezza, di un senso interiore delle proporzioni, di solidità di pen­siero; anche le menti ottuse pos­sono fare calcoli matematici e le loro correlative espressioni sul piano fisico; anzi, tali menti pos­sono farlo piú facilmente di altri, in quanto tali calcoli si sviluppano lungo una linea di progressione che, oltre un certo limite, diventa automatico, secondo le possibilità che in ogni caso sono previste.

 

Ma il sentiero lungo il quale deve viaggiare questa progressione è quello della materia inorganica; può essere raggiunta solo nel mondo minerale o nell’aspetto inanimato degli oggetti, e la sua massima espressione è la macchina, vale a dire un’altra creazione inanimata. Stiamo parlando qui di una forma esteriore di creazione che non solo non implica la presenza di valori morali, ma non implica neppure quella del pensiero positivo, capace di contemplare se stessi e di distinguere un valore concettuale da un altro. La prova di questo è offerta dalla mancata comprensione della forza vitale di cui anche gli scienziati piú avanzati sono colpevoli.

 

La ricerca scientifica, la tecnologia, l’attivismo sarebbero senza valore se non fosse per l’attività del pensiero. Il limite posto su di loro – che è meccanico e automatico – è il limite autoimposto al pensiero quando ha rinunciato alla conoscenza del proprio potere e della propria fonte spirituale. Quella sorgente potrebbe essere lucidamente sperimentata come l’essenza, l’anima, la forza interiore delle cose, che alcuni sperano invano di raggiungere un giorno per mezzo di esperimenti fisici. Quello che serve è capire che la vita è qualcosa di molto diverso. È Yoga, l’azione della mente interiore; la conoscenza nell’antico significato di quella parola.

 

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Queste considerazioni, che possono sembrare astratte, arrivano realmente alla sostanza dell’errore commesso dall’uomo moderno; indicano la marcia costante di tutta l’umanità verso una delle piú gravi catastrofi della storia umana.

 

Ciò che ci lascia perplessi è l’approvazione data all’indirizzo seguito dalla scienza da quegli stessi uomini che, consapevoli della loro missione spirituale, dovrebbero essere i primi a comprendere le vere origini di quel materialismo, di cui percepiscono la natura pericolosa quando assume un carattere politico, mentre non si chiedono mai fino a che punto il loro modo di pensare possa esserne responsabile.

 

 

Massimo Scaligero

 


 

Tradotto da: East and West, Aprile 1955, Vol. 6, No. 1.

 

Link all’articolo originale inglese: “Aspects of Mâyâ in modern science”