Oltre il mito della normalità

Pedagogia
Oltre il mito della normalità

PER UN’OSSERVAZIONE DEI BAMBINI

Padre figlio

 

Prima di osservare i bambini è necessario accordare il nostro sguardo all’essere stesso del bambino.

 

Il primo ambiente che il bambino abita è lo spazio originato dalla comunione degli sguardi. Lo sguardo ha la capacità di riportare l’osservazione al suo stato noumenale. Il bambino non è la somma delle sue manifestazioni e nemmeno il prodotto delle supposizioni che indirizziamo al suo essere. Il bambino, in modo del tutto inconsapevole, accorda il suo essere alla sonorità del nostro sguardo. Quello che pensiamo, le aspettative che nutriamo, sono per il bambino una realtà in grado di dar forma al suo essere. L’ambiente è per il bambino essenzialmente un luogo di comunicazione. L’ambiente è lo spazio in cui si invera il processo di comunicazione, lo spazio in cui si i nostri pensieri e i nostri sentimenti prendono forma. L’ambiente per il bambino è essenzialmente un luogo di comunicazione.

 

La cura è nello sguardo. Questo è il primo gesto pedagogico.

 

Vengono ora presentati alcuni pensieri formulati in modo aforistico. Ripercorrendo tali pensieri si potrà chiarire perché è cosí importante, quando osserviamo un bambino, creare uno spazio in cui annullare ogni forma di preconcetto.

 

Nove pensieri o aforismi. Sono il mio esercizio quotidiano per disidentificarmi dai preconcetti e dal fluire scomposto dei pensieri che vorrebbero frapporsi fra me e il bambino osservato.

 

 

La natura si presenta all’uomo con le caratteristiche del mistero o dell’enigma.

 

Percepire (per – capio, prendo mediante me stesso) è cogliere in modo disaggregato gli elementi che ci circondano.

 

È il pensiero, la forza connessiva del pensiero, a stabilire relazioni tra le percezioni.

 

È il pensiero, non la percezione, a determinare la qualità del nostro osservare.

 

L’esperienza sensibile ci fa prendere atto di quel che c’è ma non di quel che è.

 

‘Urtiamo’ il contenuto del mondo ma il contenuto del mondo non si svela attraverso l’esperienza sensibile. È solo l’esperienza di pensiero, l’esperienza connessiva, a svelarci l’essenziale.

 

L’esperienza sensoria pura è priva di significato.

 

Il contenuto dell’esperienza sensoria è dato dal pensiero.

 

Il bambino non è il prodotto dell’ambiente ma è estremamente vulnerabile all’ambiente che lo circonda.

 

 

Se l’osservazione del bambino non è irrorata da meraviglia e stupore, vuol dire che non sto osservando il bambino e la mia osservazione diviene autoreferenziale: osservo me stesso, il mio sapere, rispolvero conoscenze acquisite negli anni di formazione, arrivo a confrontare i comportamenti di questo bambino con quelli di un altro. L’essere del bambino, in tutto questo, non c’è: l’essere del bambino non vive in un sapere obliato o nei termini di un’algida comparazione. L’Essere si rivela nella progressiva relazione con il mistero dell’altro, attraverso l’incontro.

 

Accogliere ciò che il bambino ci porta incontro in una disposizione interiore di magnanimità, di assenza di giudizio. Ciò che vediamo del bambino e che vorremmo giudicare rivela sfumature del bambino, ma il suo essere non è contenuto in quelle forme. L’essere del bambino si può rivelare, ad esempio, attraverso i tratti dell’irrequietezza o dell’aggressività… ma questo non vuol dire che egli sia irrequieto o aggressivo.

 

L’osservazione giudicante è un non-luogo. O si osserva o si giudica.

 

L’esperienza sensibile non ci rivela l’essenza delle cose. Il lampo e lo strepito del tuono reste­rebbero due fenomeni tra altri fenomeni se non ci fosse l’attività di pensiero a porli in relazione offrendo una chiarificazione alla loro manifestazione.

 

Adesso sappiamo cos’è il lampo perché qualcuno ce l’ha detto, perché l’abbiamo studiato, perché l’abbiamo scoperto. Abbiamo dunque il concetto di lampo e sapremmo riconoscerlo tra mille altri fenomeni. L’enigma della natura si svela unicamente nella regione del pensiero.

 

Non possiamo conoscere il bambino cosí come facciamo con il lampo. Non posso limitarmi alla conoscenza del concetto di bambino per comprendere chi ho davanti. Ci facciamo una rappresenta­zione dei bambini e finiamo per convincerci che essa possa trattenere l’infinito: che essa possa sinte­tizzare l’idea di infanzia. Chiamiamo questa rappresentazione normalità ed in virtú di essa compiamo errori grossolani (“Mentre gli altri bambini hanno raggiunto questi obiettivi lui non è ancora maturo”). Vorremmo normalizzare i bambini, appiattire la vastità dei loro comportamenti, delle loro emozioni per poterli classificare come farebbe un botanico oppure un entomologo.

 

Ciò che mi viene riferito sul bambino non potrà mai sostituire il reale contenuto del mio osservato: ogni sguardo genera un ambiente nuovo, vasto e diverso. Perché allora sosteniamo un’educazione basata su raffinati criteri di uniformità?

 

Se ogni essere umano è unico e irripetibile dobbiamo allora cercare con ogni essere umano una via unica e irripetibile verso la comprensione.

 

Dobbiamo creare dei luoghi in cui permettere a genitori e insegnanti di scambiarsi “sguardi” sul bambino, non giudizi o supposizioni: osservazioni poetiche, colme di stupore. E questo dobbiamo renderlo possibile! Le osservazioni – come tutto ciò che accade entro una dimensione comunicativa – possono incoraggiare o intralciare l’impulso biografico del bambino. Ogni sguardo gettato sul mistero del bambino ne arricchisce o impoverisce il mistero. Etichettare il bambino vuol dire esprimere un razzismo raffinato. Decidiamo di inserirlo nella lista degli irrequieti, degli indisciplinati, dei bambini modello. Abbiamo invece bisogno di spazi fondati sulla comunione degli sguardi.

 

Rugiada

 

Vi è dell’ineffabile nella relazione con il bam­bino: tocca a noi imparare a  proteggere la rugiada dal vento.

 

Possiamo dire che il bambino è estremamente sensibile all’ambiente che lo circonda, alle aspet­tative che l’ambiente ha su di lui, ai pregiudizi nutriti su di lui. Il bambino può arrivare a di­ventare la somma dei nostri pregiudizi e timori oppure – e questo ci riempie di abominevole orgoglio – a rappresentare la somma delle nostre aspettative.

 

Da un lato abbiamo uno sguardo che dequa­lifica e dall’altro uno sguardo che opprime e costringe.

 

Quel che avviene tra il bambino e l’ambiente avviene in una dimensione comunicativa. Se questo è vero, se il bambino non è conformato dall’ambiente ma è sensibile all’atmosfera che c’è nell’ambiente, allora è possibile prendersi cura del bambino iniziando a creare uno spazio di osservazione in grado di ospitarne la regalità, arrivando financo a riconoscerne il diritto all’incomprensibilità.

 

Questo spazio è sia uno spazio interno all’educatore, al maestro, al genitore, che uno spazio sociale. Costruire attorno al bambino una comunità in grado di ospitarne il mistero è molto piú arduo che realizzare uno spazio giochi con giochini montessoriani o steineriani.

 

Ciò che ci introduce in questo spazio è l’attenzione  e  l’esercizio.

 

 

Nicola Gelo (1. continua)